HomeRecensioniClassic"Un ragazzo gentile". La letteratura carnale di Shin’ichi Abe

“Un ragazzo gentile”. La letteratura carnale di Shin’ichi Abe

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Con Un ragazzo gentile, Canicola Edizioni prosegue con convinzione la traduzione dei nomi più rilevanti del movimento gekiga (corrente giapponese di seconda metà del Novecento dedita a fumetti drammatici e introspettivi). Dopo aver portato per la prima volta in Italia i lavori di Yoshiharu Tsuge – a partire da L’uomo senza talento del 1986, fino alla riedizione dei principali racconti autobiografici degli anni Settanta e Ottanta, Il giovane Yoshio e La stanza silenziosa che, insieme ai coevi volumi Oblomov (Nejishiki, Fiori rossi, Destino), rappresentano una significativa per quanto disorganica operazione di recupero di questo autore importantissimo – ora è la volta di Shin’ichi Abe, un altro nome non meno interessante, che si pone sulla scia del maestro Tsuge pur mantenendo una propria voce peculiare.

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Il volume Un ragazzo gentile raccoglie una serie di racconti brevi di Abe, molti dei quali pubblicati all’interno della rivista Garo. Considerato uno dei principali successori di Yoshiharu Tsuge, Abe si pone a pieno titolo tra gli esponenti del watakushi manga, il “fumetto dell’io”: storie che partono da un dato autobiografico per descrivere la solitudine, la disperazione, la povertà all’interno di una società competitiva e crudele come quella del Giappone del Dopoguerra.

Come già in Yoshihiro Tatsumi (tra i fondatori del movimento gekiga) o, per citare un’opera di cui si è molto parlato ultimamente seppur lontana dal genere, ne Il diario della mia scomparsa di Hideo Azuma, le biografie di questi giovani mangaka sembrano avere molti tratti in comune tra loro: vite trascinate in una disperazione assoluta, spesso a un passo dal suicidio (e dai molti tentativi falliti), con scarsi riconoscimenti artistici o materiali, dove il sesso è più evocato che vissuto e l’alcolismo rappresenta una soluzione facile e veloce per sfuggire dall’abisso.

In quest’ottica, le vicende di questi autori possono essere accostate alle biografie di molti scrittori americani del Dopoguerra, da Raymond Carver a John Cheever a Richard Yates, con i loro racconti minimalisti permeati di una sottile amarezza, tra le pieghe di una quotidianità alienante e senza scopo. Ma qui, in questi manga, l’elemento biografico e individuale non può prescindere da un elemento di critica sociale, che è connesso alle caratteristiche della società giapponese.

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In particolare, nel racconto A un passo dalla solitudine (1971) Abe cita esplicitamente un passo di Osamu Dazai, scrittore e poeta giapponese vissuto ai primi del Novecento e riscoperto nel Dopoguerra, tra gli artefici e ispiratori della corrente burai-ha, un movimento letterario che si riprometteva di contestare lo stile di vista razionalista giapponese e la disciplina imposta dall’occupazione americana attraverso opere e condotte decadenti, nichiliste e dissolute.

Oltre a Osamu Dazai, il lavoro di Abe sembra in generale riferirsi a un altro importante ispiratore burai-ha, Ango Sakaguchi, promotore di una nuova forma di letteratura chiamata nikutai bungaku (“letteratura della carne”), basata su una descrizione realistica dei desideri fisici e degli impulsi sessuali considerati come strumento di liberazione e fonte di conoscenza della natura umana.

I racconti di Abe qui raccolti possono essere tutti in qualche modo ascrivibili alla letteratura della carne: la condotta anticonformista dei personaggi si rivela in piccoli gesti imprevisti e dissimulati (come ne Il gatto, 1971, o in Acconciatura, 1971), o in rapporti carnali che rivelano la consapevolezza della propria fragilità (come in Spalle leggere, 1971).

Talvolta questi rapporti sfociano in atteggiamenti possessivi o in gesti irrispettosi nei confronti della donna (Nel cuore di Asagaya, 1972), in altre occasioni è invece lei che prende il sopravvento, per rivelare un segreto nella solitudine di un’attesa (Miyoko, l’atmosfera di Asagaya, 1971), o per esprimere un’eccitazione incontrollabile (Vita privata, 1976) o infine per raccontare una giornata di frustrante solitudine (Miyoko, l’aria di Tagawa, 1994). Lo stile di Abe si evolve nel corso degli anni, passando da un tratto sottile che richiama il maestro Tsuge a un bianco e nero più netto e corposo che si concentra sui corpi e sulle ombre, su densi tratteggi che esprimono la materia e danno peso ai volumi.

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Come per altri autori appartenenti al gekiga, l’elemento biografico alimenta e definisce il percorso dell’opera di Abe. Dagli anni Settanta, la sua vita si sfalda inesorabilmente, fino a trovare un nuovo ordine attraverso la disciplina religiosa. Abbandona quasi del tutto l’attività di mangaka, con sporadici ritorni e diversi fallimenti, che lo portano a frequenti ricoveri ospedalieri.

Negli anni, il suo lavoro si ridurrà a un insieme di narrazioni caotiche e informi, ma la sua importanza di autore in patria sarà sempre più riconosciuta e apprezzata. Questa raccolta assume pertanto un valore di testimonianza di una carriera intensa e travagliata, ma carica di significato. Ed esprime, attraverso queste undici storie, il compendio di un autore maturo, che merita di essere approfondito.

Un ragazzo gentile
di Shin’ichi Abe
traduzione di Vincenzo Filosa
Canicola Edizioni, settembre 2019
brossurato, 186 pagine, bianco e nero
17,00 €

Leggi anche:
Una storia completa da “Un ragazzo gentile” di Shin’ichi Abe
“La stanza silenziosa”, la maturità di Yoshiharu Tsuge
L’influenza culturale di Yoshiharu Tsuge

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