Tom Gauld è così semplice, conciso, calmo. A tratti viene da pensare a Picasso. Non per lo stile, per carità, e neanche per la profondità artistica. Il quarantenne fumettista e illustratore scozzese sarebbe il primo a ridere di un ipotetico paragone. No, è per il metodo, come diceva Picasso: «Ci ho messo quattro anni a dipingere come Raffaello, ma una vita per imparare a dipingere come un bambino».
Gauld ha un solido background artistico, ha studiato all’Edinburgh College of Art e al Royal College of Art. A differenza di altri autori emersi dalle nebbie del web (e Gauld non è solo questo) che utilizzano uno stile semplice, essenziale, conciso, a tratti infantile (viene da pensare a Xkcd, ad esempio), quello di Gauld è un lavoro di sintesi, non è né una semplificazione né primitivismo o candore espressivo. È un lavoro complesso, che interpreta lezioni difficili nell’arte del fumetto, come la capacità di considerare le vignette in maniera separata dall’intreccio narrativo. Le vignette, come per Chris Ware, non sono schiave della storia ma servono a pilotare altri aspetti narrativi funzionali e collegati alla storia.
Gauld ha anche una dimensione ironica, distaccata, capace di cogliere l’assurdo nella caotica vita contemporanea. E di far emergere, a fianco di una apparente lentezza e mancanza di obiettivi, spessi strati di interpretazioni che nascono non dalla lettura del testo, bensì dal sottile senso di alienazione che provoca.
Mooncop è questo: semplice, calmo, distopico, lontanissimo da tutto quello che solitamente pensiamo essere un graphic novel. E anche breve (purtroppo un po’ costoso, nell’edizione Mondadori) ma essenziale, conciso nel suo focus: l’esperienza di vedere tutti gli altri trovare una apparente via di fuga da un mondo che sta cadendo a pezzi (ed essere felici per loro), in contrasto con un mondo interiore segnato da un fallimento in cui la depressione neanche troppo strisciante è solo una fatica in più da affrontare per continuare a vivere.
Mooncop infatti racconta la vita sulla Luna del futuro, ormai colonizzata, che un singolo poliziotto conduce con uno strano, rassegnato stupore: il satellite è abitato, ma i suoi inquilini sembrano avere perso interesse a vivere questa straordinaria esperienza. Se ne stanno andando uno dopo l’altro, e il povero poliziotto si trova ad essere sempre più solo.
In questo racconto ‘lunare’ – vale proprio la pena usare questo aggettivo – c’è la leggerezza senza il disincanto, ma anche la capacità di provare emozioni profonde per quanto paralizzanti. E poi c’è l’educazione, il senso del dovere e dell’appartenenza a qualcosa che non ha più senso. O meglio, il cui senso è stato rubato da qualcuno che vive lontano centinaia di migliaia di chilometri, eppure decide e dispone per tutti.
La storia è fragile e delicata al punto da non poter essere anticipata senza togliere poesia e senso. È un racconto di alienazione ma anche di formazione, perché dove chiude una porta ne apre un’altra e mostra come si può continuare ad andare avanti, a funzionare anche in contesti totalmente sterili. Quali sono le ambizioni del poliziotto lunare? Guardare fuori dall’oblò del suo appartamento al settimo piano, ricordarsi quanto siano belle le dune lunari, le stelle, la Terra levante.
A cinquant’anni dalla enfatica conquista della Luna, questa forse è la lettura che rimette un senso non tanto al progresso scientifico (quello è sempre straordinario, per definizione) quanto all’esperienza umana che dovrebbe prevalere.
Leggi anche:
• Un po’ di pagine da “Mooncop” di Tom Gauld
• 15 fumetti sulla Luna
• Tom Gauld, il reinventore della striscia
• “In cucina con Kafka”: Tom Gauld tra cultura alta e pop
• Endless Journey: il libro di Tom Gauld dedicato allo scrittore Laurence Sterne
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui.