La casa editrice J-Pop ha pubblicato una nuova edizione integrale del manga di Ryu delle caverne, scritto e disegnato a cavallo tra il 1969 e il 1970 da Shōtarō Ishinomori, uno dei fumettisti più prolifici di sempre, con un totale di 128mila tavole disegnate, e figura titanica del manga.
Ryu è più noto in Italia per la sua versione anime: 22 episodi di mezz’ora ciascuno, prodotti nel 1971 da Toei e trasmessi da noi nel 1979. Fa dunque parte della prima leva di anime arrivati nel nostro Paese, poco dopo i vari Goldrake e Grande Mazinga per intendersi.
Manga e anime però, come spesso capita, condividono in maniera piuttosto imprecisa la medesima storia. Nel cartone animato ci sono due cambiamenti principali rispetto al manga: il tono meno violento e la totale rimozione degli elementi fantascientifici dalla storia. Più vari aggiustamenti, diversità, motivazioni e arco di sviluppo di alcuni personaggi.
La storia creata da Shōtarō Ishinomori è costruita con il mestiere di uno dei cantastorie giapponesi per eccellenza. Parte in piccolo, violenta e crudele, costantemente sull’orlo della tragedia, con personaggi che compaiono quasi per caso e poi non se ne vanno più (il cattivo Taka, il fratello cacciatore Kiba), altri che muoiono subito in maniera truculenta (la scimmia-madre Kitty), seguendo uno spirito che la sigla del cartone animato (interpretata dal mitico Fogus e scritta da Marcello Casco, Paolo Lepore e Paolo Moroni su musiche dell’originale giapponese) aveva colto con drammatica precisione, nonostante come detto il cartone fosse molto più addolcito rispetto al manga originale.
Un mondo ostile,
che a tutti quanti paura fa,
solo un ragazzo va,
è Ryu, grande Ryu!
Ryu va’, Ryu va’,
ragazzo senza età,
col cuore in gola,
va’ che presto finirà!
Non avere paura mai,
corri corri e vai che laggiù,
risplende il sole per Ryu,
Ryu il grande Ryu!
La sigla di chiusura (sempre degli stessi autori e interpretata dalla figlia di Paolo, Georgia Lepore) presenta invece un lato completamente o quasi assente dal manga: la dolcezza degli interludi, il senso “umano” della vita fin troppo ferina, l’idea romantica di una speranza:
Un milione d’ anni fa,
o forse due,
c’era chi, parlava al vento ed alle stelle,
era Ryu, ragazzo che nel cuore aveva,
favole, favole, per chi le saprà sognare!
Fantasie lontane di un mondo antico,
la poesia che torna da quel passato,
storie che noi viviamo,
che viviamo tutti con Ryu.
Ryu…
Il Ryu del cartone animato è più adulto e moralista rispetto a quello del manga, è capace di empatia, è vicino alla compagna per la quale manifesta un affetto e un legame “disneyano” nella sua totale desessualizzazione. Il personaggio del manga invece è forse più sbozzato, dinamico, violento, bestiale (e traumatizzato dalla bestialità dell’ambiente che lo circonda), con scene truculente che riconducono il lavoro di Ishinomori nel solco più splatter e violento di altri suoi manga, esaltando il dinamismo delle linee e gli schizzi di inchiostro che sporcano la pagina con il sangue e le interiora.
Il Ryu del manga, che non ha caso ha uno sviluppo fantascientifico nella seconda metà del racconto (che non anticipiamo per evitare spiacevoli spoiler), è un ragazzo diverso, più duro e crudele della sua contropartita saggia, dura ma benevola del cartone animato. È più genuino, se vogliamo, ma soprattutto è un agente meno complesso che si muove all’interno di un mondo relativamente semplice, con obiettivi abbastanza chiari.
Sempre nelle pagine del fumetto si capisce con maggiore chiarezza la dinamica (meno platonica rispetto all’anime) con la bellissima Ran (donna-femmina) e il piccolo fratello di lei Don (intelligente-combinaguai che potrebbe tranquillamente essere il sidekick di una storia di robottoni). Quest’ultimo assolve al doppio ruolo di movimentare la trama cacciandosi nei guai e di porsi come fratello/figlio adottivo per Ryu, aiutando i lettori a percepire la tensione sessuale profondamente repressa nella coppia dei protagonisti.
Nel manga prende corpo anche una narrazione più complessa, su piani diversi, piena di piccoli particolari. Non c’è solo la brutalità della lotta per la sopravvivenza ma anche l’intelligenza necessaria a sviluppare nuove soluzioni, “inventare” modi per risolvere problemi. Sino ad arrivare alla caratterizzazione dei personaggi, che sono come detto più tridimensionali e complessi rispetto all’anime.
La ricca vena narrativa di Shōtarō Ishinomori, la sua capacità di sposare la catena di montaggio del manga giapponese tradizionale – vero e proprio esercizio di produzione artistico-industriale – con il mestiere del cantastorie è affascinante. E viene esaltata ancora di più dalla velocità del suo tratto, dalla ricchezza delle ambientazioni e dai panorami “primordiali” che è capace di evocare.
Visto con gli occhi di un giapponese, il manga è anche “scandaloso” perché ripropone una cultura tribale e fatta di clan, in cui il “diverso”, il Ryu che è bianco a differenza di tutti gli altri, è più simile a quanto il tribalismo nipponico ha sempre disprezzato: le popolazioni originarie dell’Okkaido e delle isole limitrofe, cioè gli Ainu, hanno vissuto secoli di discriminazione come gli aborigeni australiani o i nativi americani, e rispetto ai giapponesi delle isole maggiori hanno un colorito della pelle più chiaro.
Ryu è contemporaneamente giapponese fino al midollo, soprattutto come rappresentazione grafica dell’eroe nipponico di Ishinomori, ma anche occidentale (gli anni Sessanta sono gli anni, per la generazione dei baby boomer giapponesi, del superamento del rifiuto degli stranieri, che da “gaijin” diventano eroi), e pure Ainu, oltre che in qualche modo “magico”, “diverso”, alieno.
La sua diversità spicca apparentemente solo dal colore della pelle, ma in realtà sta nella sua umanità e intelligenza, in parziale conflitto rispetto a tutto il mondo attorno a lui. Un mondo che lo considera “diverso”, maledetto e portatore di sfortune abissali, vittima sacrificale che però si ribella e prende in mano il suo destino trasformandolo in una costante ricerca esistenziale oltre che personale.
Ci sono tanti piani di lettura per Ryu delle caverne, e non sono limitati solo alla figura centrale dell’eroe, ma coinvolgono un po’ tutti i personaggi. Alla fine ne esce una storia più ricca e sfaccettata, che porta il riconoscimento del talento enorme del suo cantastorie, cioè Shōtarō Ishinomori.
Ryu delle caverne
di Shōtarō Ishinomori
traduzione di Cristian Giorgi
J-Pop, maggio 2019
brossura, 512 pp., bianco e nero
15,00 €
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