Spesso le rivoluzioni avvengono nel silenzio generale. A maggior ragione se questi moti partono da Topolino, il settimanale di Panini Comics che passa dall’essere un oggetto dato per scontato a un prodotto ignorato dai più, salvo eventi specialissimi. In occasione del cinquantesimo compleanno di Paperinik, la rivista ha pubblicato sul numero 3316 Paperinik, tutto cominciò così, una storia scritta e disegnata da Marco Gervasio in cui le origini del supereroe vengono riscritte.
Tutto cominciò così è un rifacimento delle origini del personaggio, descritte nel 1969 da Elisa Penna, Guido Martina e Giovan Battista Carpi in Paperinik il diabolico vendicatore, in cui Paperino trovava il diario e il costume di Fantomius, ladro gentiluomo del primo Novecento, e assumeva l’identità di Paperinik per vendicarsi delle angherie inferte da Zio Paperone. Il personaggio di Fantomius è stato poi sviluppato da Gervasio in un ciclo di storie cominciato nel 2012 e culminato di recente con l’introduzione di una macchina del tempo con cui il ladro può viaggiare tra le epoche.
Quello del 2019, però, non è un semplice remake – come ce ne sono stati tanti in passato (la stessa Paperinik il diabolico vendicatore era già stata ripensata come storia a bivi nel 2014 intitolata Paperinik in: i destini di un eroe) – ma un’operazione di retro-continuity, tipica del fumetto statunitense, un po’ meno di quello italiano, mai abituato a pasticciare con il canone narrativo dei propri personaggi. In questo senso, Tutto cominciò così rappresenta una prima volta molto importante nell’universo disneyano.
Non si tratta di andare a indagare il passato del personaggio cercando collegamenti con il presente – come possono essere le storie di Paperino Paperotto (la versione giovanile di Paperino) – ma di insinuarsi nelle pieghe di una narrazione diventata canonica. Giocare cioè con la memoria dei lettori, svelando nuovi dettagli o ribaltando convinzioni granitiche.
La redazione di Topolino sa che i lettori sono ormai svezzati a sofisticazioni narrative di un certo peso – perfino un blockbuster di larghissimo consumo come Avengers: Endgame rifiuta costruzioni lineari – ed è interessante vedere come altri meccanismi vengano implementati in un mondo che fino a poco tempo fa era rimasto abbarbicato a dinamiche ultra-classiche.
Quello di tornare indietro e riscrivere eventi del passato non è in assoluto una cattiva abitudine, dipende soltanto come la si utilizza. La prassi, diventata uno strumento croce e delizia degli autori Marvel e DC Comics a partire dagli anni Duemila, ha prodotto una delle peggiori storie dell’Uomo Ragno, Peccati del passato, in cui si scopriva che Gwen Stacy aveva avuto due figli da Norman Osborn, ma anche una delle migliori di Capitan America, Il soldato d’inverno. Il problema è che, andando a toccare equilibri delicati, è più facile ottenere risultati infelici.
In origine Paperinik, lo ricordava Alberto Brambilla, non era un supereroe, ma un vendicatore di torti personali; la prima storia del personaggio, in pieno stile Martina, presentava un andamento «aggressivo, cinico, pieno di personaggi violenti, che si maltrattano e si insultano, anche se sempre con un linguaggio molto forbito». Alla fine, Paperino non si assumeva il ruolo di difensore o supereroe e solo dopo alcune prove Martina lo trasformerà in un vigilante urbano.
Tutto cominciò così vuole porsi come un punto di partenza per attualizzare la caratterizzazione martiniana, come ha scritto Gervasio nel forum del Papersera: «La strada da me intrapresa è proprio quella […] di Martina. Il mio Paperinik non difende il deposito e non fa la ronda notturna sui tetti. Paperinik/Paperino la notte dorme nel suo letto. E se esce di casa è per “qualcosa di personale”, non per difendere il deposito o la città».
Dunque, tornare al Paperinik del 1969 e proporre Diabolico vendicatore al pubblico contemporaneo significa innanzitutto edulcorare i passaggi critici della sceneggiatura, e poi ricontestualizzare un personaggio che – dati i tempi moderni e le nuove, sensibili, linee guida aziendali – ora come ora avrebbe diverse difficoltà a vedersi pubblicato su Topolino.
Tutto cominciò così svela che Fantomius si è materializzato nel futuro grazie alla macchina del tempo ed è sempre stato presente nel corso della nascita dell’eroe, anzi, ha scelto con cognizione di causa Paperino come suo erede. La mossa depriva il papero di ogni merito, nel piano di vendetta e nella creazione della nuova identità. In più, svuota la storia di Penna-Martina-Carpi della sua dolce cattiveria. Il suo bello era che Paperinik, nella sua prima avventura, non era altro che il mezzo con cui un frustrato – certo, anche trattando malissimo i propri nipoti, prendendo a pedate un cane e in generale non avendo una parola buona per nessuno – sfoga le sue insoddisfazioni.
Se non si conoscono i fatti originari e soprattutto se non si ha familiarità con le vicende di Fantomius, quest’avventura perde molto del suo senso. Gli eventi di Paperinik il diabolico vendicatore sono condensati a discapito della chiarezza, i momenti politicamente scorretti sono epurati dalla vicenda; le premesse sono un po’ deboli e bisogna fare largo uso della sospensione dell’incredulità per farsi andar bene certi snodi (come Fantomius abbia individuato Paperino come il soggetto giusto per cedergli il suo ruolo, per esempio).
Le vignette iconiche sono mantenute, così come i dialoghi: resta immutata, a favore di appassionato, l’«ostentazione di plutocratica sicumera», usata da Paperino per criticare la presunzione dello zio dovuta alla sua ricchezza quando quest’ultimo afferma di fare il bagno nell’oro (la battuta perde l’aggettivo “disgustosa”, perché evidentemente il disgusto non è più una sensazione dabbene). È un recupero gratuito se paragonato al vocabolario altrimenti semplice di Gervasio, dove Martina invece manteneva alto il registro del parlato.
Ingentilita la storia originaria, anche a un livello visivo (complici le matite morbide, quasi innocue, e i colori che non si spingono verso tinte troppe oscure), Gervasio sposta l’attenzione su Fantomius, responsabile di ogni singola svolta narrativa e presente in ogni situazione, anche la più banale, al punto da risultare una figura quasi comica; a volte è inserito nell’inquadratura come il protagonista di Dov’è Wally?, spunta dallo sfondo, si nasconde dietro qualche oggetto di scena, in un continuo ammiccamento con il lettore.
Paperino continua a compiere in autonomia le scelte che faceva nel 1969 ma tutta la realtà che ruota attorno, compreso l’incidente che mette in moto la storia, è plasmata con volontà implacabile da Fantomius, spodestando il ruolo del destino nella trama. Più che Paperinik, tutto cominciò così è Fantomius, come lo feci. Far diventare Fantomius il protagonista della narrazione pare una scelta di parte simile a una dichiarazione di forza di Gervasio, che Fantomius non l’ha creato ma lo ha comunque fatto diventare un personaggio a sé.
Non c’è dubbio che, una volta che si voglia omaggiare Paperinik il diabolico vendicatore, un fumetto impresentabile per il 2019 date le linee guida Disney-Panini, e raccontare nuove storie che si inseriscano in quel filone bisogni per forza cambiare certi ingredienti. Ciò che però è rilevante di Tutto cominciò così non è il giudizio sulla storia in sé, quanto più la mancata efficacia dell’operazione.
Tornando al paragone con gli americani, belle o brutte che fossero, Peccati del passato o Il soldato d’inverno rilanciavano dei personaggi, davano loro una nuova sfumatura con cui gli sceneggiatori potevano lavorare, nuovi traumi e conflitti da far gestire ai protagonisti. Tuttavia, la strada qui intrapresa da Gervasio invece che aggiungere, sottrae e depotenzia. Paperino non è più in balia del destino, dal caso, dalle imperscrutabili azioni e reazioni della casualità, di un narratore che sta sopra tutto; adesso è una marionetta nelle mani di un volere concreto, palpabile, più piccolo e definibile che l’ha scelto per non si sa bene quale motivo.
Ci sono tre modi di vedere Paperinik, tutto cominciò così: l’introduzione di una nuova (vecchia) versione del supereroe, che apre il campo ad avventure con un gusto teoricamente più acido; un divertissement di cui nessun fan farà più menzione realizzato da un autore che, con la scusa dell’omaggio, ha voluto far sentire la propria presenza in maniera tracotante; o l’avvicinamento di Topolino a convenzioni narrative stratificate e complesse, che tagliano fuori la fascia di lettori più piccoli e smettono di combattere la contemporaneità, arrendendosi a essa, ma solo sul piano formale, dimostrando come, sul versante dei contenuti, le scelte passate appaiano molto meno pavide di quelle fatte oggi.
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