Miss D, la protagonista di Brat di Michael DeForge, non è una semplice teppista. Nel corso della sua vita riesce a elevare l’esercizio del semplice vandalismo a forma d’arte, diventando un’autentica star. Il tutto disprezzando l’autorità, il suo pubblico e l’ordine costituito. Mentre passeggia per la strada la gente le chiede di sfondarle le finestre di casa, i poliziotti si compiacciono quando brucia le loro auto e se decide di abbandonare una conferenza stampa dopo aver pisciato sullo sgabello viene applaudita come una diva.
Miss D è ancora una delinquente, ma non più così giovane come quando si è ritrovata a essere al centro del palcoscenico. Ha trentatre anni, il mondo aspetta con ansia ogni sua nuova trovata ed è ora di cominciare a pensare al futuro. Ma cosa significa continuare a sfidare sobrietà e contegno se nessuno fa nemmeno più finta di esserne sconvolto?
Recitare la parte dei ribelli senza causa da adolescenti ha un senso, ma passati i trenta si rischia di diventare ripetitivi. E così ecco arrivare i crolli emotivi, le interviste tristi rilasciate da ubriaca, il rimuginare sul passato. Tanto nessuno apprezzerà mai le tue ultime cose tanto quanto adorava i tuoi esordi.
Qualche anno fa sarai stata anche una rockstar in grado di seminare panico e sgomento, ma adesso ti limiti ad assumere una stagista non pagata, a spendere parole melliflue sulle nuove generazioni (sperando che magari così avranno un minimo di rispetto nel lasciarti indietro) e a giocarti il tutto per tutto con un’ultima, clamorosa burla. Un’uscita di scena indimenticabile, l’unica maniera per coronare e concludere al meglio la più straordinaria delle carriere come delinquente giovanile. E poi ecco la tanto agognata pensione, dove potrai davvero cominciare a fare quello che volevi.
Con Brat Michael DeForge sceglie di miscelare riflessione esistenziale e puro nonsense, costruendo una parabola ricca di stimoli, dove ognuno probabilmente finirà per metterci del suo nel cercare di decodificarla.
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Brat alterna cinismo sferzante ad aperture su di un’umanità fragile e delicata, umorismo caustico e sgradevole a ritagli di empatia sghemba. Miss D è quello che sarebbe successo se i Ramones fossero riusciti a scalare le classifiche.
La protagonista di Brat comincia a farsi notare cagando letteralmente sul pavimento e finisce per presenziare sulle copertine di tutti i magazine giovanili. Parliamo di una persona incapace di relazionarsi con il mondo, così in lotta con il suo senso di inadeguatezza e con il suo bisogno di amore da finire per rovinare qualsiasi cosa su cui metta le mani. In fondo non è troppo diverso da quello di cui cantavano i quattro finti fratelli di New York, che però hanno avuto una carriera leggermente meno dorata della Nostra.
Raccontare una storia simile con un fumetto significa prima di tutto trovare il modo migliore di disegnarla. DeForge asciuga ulteriormente il suo stile e lo trasforma in qualcosa di simile ai disegni di un bambino. Gli stessi dialoghi sono pieni di richiami all’infanzia, alternando trivialità tipiche dell’adolescenza a termini come “monello” e “burla”.
Alla stessa maniera in una vignetta possono convivere prospettive a tre dimensioni e astrazioni piatte, macchine e animaletti disegnati da un aspirante fumettista di sei anni e soluzioni frutto di una consapevolezza del mezzo mutuata in anni di esperimenti.
In Brat DeForge reimmagina i corpi con trovate sempre diverse. Se la protagonista prende una sbronza da record e si risveglia sfatta e disidratata verrà disegnata come un pugno di linee scheletriche su sfondo bianco. Se impazzisce di rabbia i tratti che la definiscono saranno sempre più scomposti e disordinati, fino a farla quasi somigliare a un mastino ringhiante. Se qualcuno si mette a piangere fiumi di lacrime e di muco lo solcheranno come se si trattasse di un mucchio di fango, quasi sciogliendolo.
L’autore sceglie di astrarre il più possibile, ma non perde mai di vista l’idea di stare disegnando un fumetto. Così le singole vignette a volte risultano incomprensibili fuori dal contesto in cui sono disegnate – spesso si tratta di un paio di linee storte su campiture di colore piatto – ma si rivelano di lettura immediata se calate nelle rigide griglie modulari utilizzate da DeForge per tutta la lunghezza del suo libro.
Come nella scrittura anche nella parte grafica Brat procede per contrasti e incoerenze. Nonostante i colori piatti e squillanti sembrino farla da padrone ci si rende conto al volo come la tinta più piena di tutto il libro sia il bianco, mai utilizzato come banale vuoto. Poi, improvvisamente e senza nessun reale motivo, ecco una singola pagina colorata con sfumature sintetiche da Photoshop. Un atto quasi randomico che trova una collocazione perfetta in un libro basato sulle nostre reazioni imprevedibili allo scorrere della vita.
Rispetto alla varietà e alla sperimentazione di Dressing – l’unico altro libro di DeForge a oggi pubblicato in Italia – Brat potrebbe rappresentare una normalizzazione della poetica del fumettista. La narrazione procede in maniera lineare e sempre comprensibile, mentre il disegno trova il giusto compromesso tra uno stile unico e le esigenze di un volume di centosessanta pagine.
In realtà Brat rappresenta una notevole prova di maturità per un autore come Michael DeForge, da sempre iper-prolifico e ossessionato dall’assorbire più influenze possibili. Questa volta la sua attenzione per i personaggi e per la loro continua evoluzione richiede ritmi diversi, dando forma a un libro meno incentrato sull’immaginazione poliformica del suo autore e più sui meccanismi narrativi necessari a esplorare in maniera profonda i temi fondanti.
Brat entra nell’intimo della sua protagonista – in modo tanto convincente da sembrare che parli a ognuno di noi – sfruttando i meccanismi del fumetto in maniera pura e incontaminata, come solo i grandi autori riescono a fare.
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