Che il commercio delle reliquie fosse uno dei settori più importanti dell’economia del turismo religioso nel Medioevo è facilmente intuibile dalla massa enorme di traffici più o meno leciti che segnano le innumerevoli mappe della fede cristiana.
Altrettanto notabile era il florilegio di agiografie scritte per giustificare la santità di uomini più o meno pii. Già Giovanni Boccaccio, agli albori della letteratura in volgare, prendeva in giro la tendenza a creare santi e beati con la famosa novella che apre Decameron dedicata al mitico Cepparello da Prato.
L’agiografia e i martirologi come genere letterario non solo testimoniano la crescente sete di devozioni della religiosità popolare, ma anche per traslare un po’ Borges il germe di un gusto per il macabro e il granguignolesco che arriva sino ai nostri giorni tracimando a destra e a manca ora nella cronaca nera ora nel genere orrorifico sondato in ogni aspetto e esplorato a qualsiasi latitudine.
Lo fallo perduto di David Genchi, pubblicato da Hollow Press in un formato interessante, quadrato, e forse per questo non gradito per i collezionisti amanti dell’ordine, è un piacevole scherzo che cerca di mischiare parodia e popular culture.
L’arte ha dovuto confrontarsi con un repertorio iconologico necessario con rappresentare virtù e passioni, spesso declinate attraverso una prospettiva religiosa. Per questo l’immagine è stata da sempre trattata come ancilla della parola: le immagini sono “letteratura illetterata”.
Non è un caso che il Genchi decida di aprire e chiudere il suo fumetto con una rappresentazione classica, cercando di cogliere il senso delle vetrate bustrofediche che adornando le cattedrali gotiche, ma varcata la soglia quello che ci aspetta è un incubo che sembra partorito dalla mente di Go Nagai.
Genchi narra gli ultimi giorni di Zebedo, timorato di dio, che attende la sua fine intrappolato in una spelonca circondata dal mare. Per tre notti, creature luciferine lo tenteranno cercando di coglierlo in fallo. L’agiografia ci mostrerebbe il pio e devoto omuncolo rifiutare le lusinghe del demonio: in realtà quello che ci viene mostrato va in direzione contraria.
Dal gore al porno, Genchi mette in scena una ridda di bestialità che ci permettono di accostarlo non solo al già citato Go Nagai, ma anche al Miguel Ángel Martín di Psychopathia Sexualis e del poco conosciuto mangaka Takeshi Nemoto (credo che pochi abbiano avuto l’ardire di leggere il suo Monster Men Bureiko Lullaby), soprattutto per le parafilie subscatologiche.
Ma, Lo fallo perduto non si limita all’omaggio e alla citazione, orchestra la parodia con piglio e maturità, mettendo in mostra una gestione ardita e violenta della tavola e con un gusto letterario altrettanto divertente grazie all’uso di un volgare, che sembra strappato ai calembour di Dario Fo.
Le didascalie dal gusto letterario e parodistico commentano la fantasmagoria visiva di Genchi, in cui le tavole si muovono in maniera centripeta coinvolgendo lo sguardo e strappando più di una volta un sorriso.
Sperando che il prossimo lavoro di Genchi non tardi, non posso che accogliere con calore ed interesse Lo fallo perduto, consigliandolo certo a chi nutra un certo irrispettoso – e sottolineo irrispettoso – amore per l’iconografia cristiana e per il fumetto underground più ardito e sfrontato, come quello di Johnny Ryan o Benjamin Marra.
Lo fallo perduto
di David Genchi
Hollow Press, settembre 2018
64 pp., colore
13,00 €