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“Multiforce”, la costruzione di mondi di Mat Brinkman

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Mat Brinkman è probabilmente l’ultimo fumettista underground. Affermazione audace, ma mi spiego. Il fumetto underground americano è quello di Robert Crumb, dei suoi sodali e di qualche suo seguace, che arriva fino a Weirdo, la rivista nata appunto grazie a lui. La generazione successiva, cresciuta a partire dal suo esempio, è stata quella del primo fumetto indie e del boom del graphic novel contemporaneo, tra gli anni Ottanta e Novanta (Peter Bagge, Daniel Clowes, Seth, Chester Brown e Joe Matt, per citarne alcuni).

Mat Brinkman ha avuto un periodo artisticamente prolifico tra i Novanta e i primi Duemila, come artista visivo (fumetti e non solo) e musicista in vari progetti estremi (noise e metal). È stato un reietto del fumetto, e tuttora continua a esserlo, aggirandosi nei terreni più lontani dalle luci del mainstream. Se si vuole, quindi, il termine underground gli calza ancora meglio che a molti altri. Non a caso si è praticamente ritirato dalla produzione di fumetti dopo pochi anni di attività. E l’idea di “sotterraneo” tornava più volte durante un incontro che si è tenuto di recente a Bologna in occasione BilBOlbul 2018, al quale era presente con una grande mostra (anche quella in una sala sotterranea, giustamente).

Brinkman ha parlato, tra le altre cose, della sua esperienza negli anni del Fort Thunder (1995 – 2001), vissuta insieme a Brian Chippendale e a chissà quanti altri che ruotavano attorno al magazzino così soprannominato e al seminale collettivo nato nei primi anni Novanta a Providence. Una esperienza unica, fatta di produzioni artistiche estreme di ogni tipo – visive, sonore, performance – che ha segnato il percorso del fumetto contemporaneo, aprendo più vie per il movimento “art comics” e per la libertà espressiva nel fumetto.

multiforce mat brinkman

Dal lavoro di Brinkman traspare urgenza e irrequietezza, al servizio di un immaginario selvaggio e brutale. È un lavoro di evasione senza pretese ideologiche. Non era forse anche questo il fumetto underground delle origini? Non è narrazione autoreferenziale o ombellicale. Qui si va in controtendenza con la maggior parte della produzione a fumetti (indie) degli anni Novanta. È gestualità di ribellione, anche fine a se stessa, e in virtù di questo estremamente visionaria.

Per certo fumetto americano, quello più ribelle degli ultimi anni, Brinkman è un po’ quel che Chris Ware è per il fumetto disciplinato ed elevato, il graphic novel contemporaneo. Come giustamente spiegavano sempre durante lo stesso talk Ratigher e Brinkman, in molti sono influenzati da lui, anche alcuni nomi insospettabili. È facile vedere il legame tra Prison Pit di Johnny Ryan e il lavoro di Brinkman; meno ovvio è rintracciare quest’ultimo nei lavori di Conor Stechschulte, ma il seme c’è.

Parte del mito relativo a Brinkman sta anche nella difficile reperibilità dei suoi lavori, non solo nel loro valore intrinseco. Per anni i suoi pochi fumetti sono stati davvero (quasi) introvabili. Ora tornano disponibili Multiforce e Teratoid Heights per Hollow Press, che li ristampa in edizioni pregiate e disponibili sia in italiano che in inglese.

Multiforce è il lavoro più rappresentativo del percorso fumettistico di Brinkman. Un percorso che si è praticamente interrotto, o che di sicuro segue tempi tutti suoi, esigenze dettate da nessuna imposizione esterna, tant’è vero che una delle sue ultime esperienze a vignette risale a qualche anno fa nel primo volume antologico di Hollow Press.

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Mentre Teratoid Heights raccoglie storie brevi, Multiforce contiene un unico racconto che si svolge per piccoli episodi, ognuno dei quali arrangiato sulla pagina con soluzioni grafiche sempre diverse, disturbanti, disorientanti, e di sicuro singolari. Non stupisce quindi che la nuova edizione di Multiforce somigli un po’ a un volume di Ware: imponente nel formato, audace nell’approccio al contenuto.

La storia è un fantasy brutale e grottesco. Non ha i tratti macabri e gore dei lavori plastici che Brinkman realizza per progetti di giochi di ruolo (che si sono visti anch’essi in mostra a BilBOlBul 2018). Quelli hanno una impronta più crudele, attigui all’estetica del metal più estremo e anche più teatrale (dal thrash anni Ottanta europeo fino al lambire il black).

Attingendo a un immaginario costruito su un imprinting frutto della passione per il gaming anni Ottanta – sia video che role – Brinkman costruisce episodi a fumetti apparentemente caotici e dalla impostazione grafica audace ma che in realtà riescono a radicarsi nella tradizione del fumetto anche più classico. Come il Ware di Quimby the Mouse o delle storie brevi di Acme Novelty Library, Brinkman gioca con la materia primordiale della striscia tradizionale, con racconti brevissimi che compongono un moisaico narrativo che disturba e disorienta con l’idiosincrasia tra dark e ironia substratica.

Si potrebbe dire che i vari episodi in cui si muovono i giganti che attaccano la Cittadel sono come livelli di un videogame fantasy o i turni dopo un lancio di dadi di un RPG. Perché si susseguono scenari diversi ma simili, inseriti nella sequenza degli eventi, come capitoli, ma senza schematica suddivisione. Poche figure si vedono scorrere su sfondi talvolta fissi, in un apparente 2D da retrogame. Ma, a ben vedere, per quanto un immaginario del genere sia fondamentale per l’autore, Brinkman va ben oltre, dando una dimensione profonda al suo disegno. Rivelatoria è stata la mostra di BilBOlBul, da questo punto di vista. Brinkman disegna in modo molto evidente imponendo il suo segno con una forza rabbiosa. È un eremita del fumetto, e come un amanuense medievale decora la sua pagina (in realtà, in prima mano a grafite e non china) in maniera minuziosa.

Gli scenari di fondo delle vignette sono tutt’altro che bidimensionali. Sia quando sono ridotte nelle dimensioni che quando sono ampie o parte di un grosso pattern, le vignette aprono a profondità in cui perdere lo sguardo. Spostandosi di continente, viene a mente – seppur distante nell’estetica e nel background formativo – persino il visionario Tsutomu Nihei, che in Blame modellava strutture e architetture profonde e imponenti. Per dire quanto sia comunque difficile – anche inopportuno – trovare vere corrispondenze e precedenti a cui ricondurre il lavoro di Brinkman (a differenza del sodale Chippendale che tanto più di lui deve a Gary Panter).

multiforce mat brinkman

La capacità più grande di Brinkman sta nel creare mondi coerenti, lontani, definiti nella miniatura e disorientanti nelle loro proporzioni più mastodontiche. L’autore sembra scolpire il proprio disegno, in quella caverna dove ora pare ormai nascosto. Sono primordiali, i disegni di Brinkman. Si compongono su una pagina con un senso di lettura e di giustapposizione che segua regole esterne o canoniche.

Multiforce ha la capacità di trasportare il lettore all’interno di un immaginario di cui Brinkman si cura di dare solo alcuni frammenti, ma – come succede ai migliori narratori – la suggestione è oltre il visibile. Brinkman scaraventa il lettore nudo e disarmato sul terreno freddo della Cittadel, rendendolo un osservatore impaurito e affascinato.

Multiforce
di Mat Brinkman

traduzione di Daniele Ferriero
Hollow Press, novembre 2018
Cartonato, 44 pp., b&n

29,00 €

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