Premio Eisner per il miglior graphic novel nel 2009 con Portami Via (Rizzoli Lizard), autore di spietati romanzi di formazione come Imperi (Panini 9L) e autore attento alle istanze politiche di rinnovamento della lotta per i diritti civili, sia con Il silenzio dei nostri amici (Bao Publishing) che con il recente pluripremiato March (Top Shelf), dedicato alla figura di John Lewis, Nate Powell da anni, oltre ad aver un curriculum ricchissimo come musicista e produttore d.i.y., è attivo nel campo sociale. Era abbastanza palese come il vissuto si riflettesse in un’opera complessa e, al contempo, delicata come Portami Via, dove Powell narrava l’intrecciarsi dell’adolescenza – periodo fotografato con grazia dal Charles Burns di Black Hole – con la caotica caduta nel vortice del disturbo mentale attraverso la storia di due fratellastri. La sequenza finale – stordente ed enfatica nel suo mutismo – conducevano il lettore in un mondo ormai eroso dallo sciamare delle voci nella testa di Ruth. Powell si mostrava osservatore attento e discreto del disagio della sua protagonista, e ben si intuiva come l’elemento biografico e il rapporto con suo fratello si riversasse in pieno nella sua opera, senza necessariamente dover intraprende la strada dell’autobiografico (dove imponente e insormontabile c’è la presenza de Il Grande Male di David B.).
Ora Psycho Pop, nuova collana di Edizioni BD, fa luce sulla produzione giovanile di Powell. Condizioni, infatti, raccoglie i lavori prodotti tra il 1998 e il 2004 e apparsi principalmente su Walkie Talkie e Tiny Giants. La scelta di pubblicare le opere giovanili di Powell risponde all’idea di voler “parlare della vita nelle sue accezioni più inquietanti e struggenti”, privilegiando quei fumetti che tematizzano la diversità e la sofferenza in maniera creativa e emotiva. Il tema fondamentale attorno a cui ruotano i racconti di Condizioni è, pertanto, l’adolescenza visto come conflittuale territorio di passaggio, dove per caso fortuiti c’è il rischio di perdersi. Scrive Powell nella prefazione:«Sono stati anni in cui facevo fatica ad abbracciare la sessualità e il suo potere, per cui quelle storie sono piene di tensione e buchi nell’acqua, romantici e sessuali. Volevo impressionare tutti, me ne ciondolavo in giro come una specie di vampiro psichico». Ma, il lettore di Powell non troverà solo storie d’amore incomplete e egotismo à go go, troverà un talento che si fa nel mentre: un laboratorio di sperimentazione e di ricerca.
L’acerbo stile con cui Powell tratta una materia incandescente come la vita si smussa e si si sfronda sfogliando le pagine. La prima storia, che da il titolo al libro, proviene dagli anni di apprendistato alla School of Visual Arts di New York: lo stile e la soluzioni narrative sono ancora tremolanti, impacciate e nervose, ma emerge un’urgenza sincera, una volontà di mettere su carta sentimenti e pensieri, una sorta di diario emotivo della gioventù della suburbia americana. Powell fotografa la profonda provincia americana, emaciata e statica, come il protagonista – stretto nella sua t-shirt dei Misfits – sempre sull’orlo di una possibilità rimandata. Ma, già in Cavarsi i denti, pubblicata su Walkie Talkie #1, prima esperienza di autoproduzione, l’adolescenza si intreccia con il tema della diversità, che esplode in tutta la sua forza in Compagnia, dove Powell attinge a piene mani dalle sue esperienze personali: il protagonista, infatti, è ispirato a suo fratello Peyton. Le tavole sono un pieno preludio allo stile del Powell più maturo, così come il segno più deciso, minuzioso e barocco, senza comunque farsi carico e cadere quindi nel puro estetismo: tutto è funzionale alla storia.
Il talento di Nate, però, viene fuori nel racconto lungo Mondi Satellite, scritto durante un tour estivo con i suoi Soophie Nun Squad nell’estate del 2001 e messo su carta nell’autunno dello stesso anno. Slacker, apparizioni spettrali, voci interiori e apocalissi personali si ingarbugliano in un racconto corale con un basso continuo fastidioso: qua Powell non riesce ancora a lasciare che la narrazione fluisca indipendentemente dal narratore: la sua presenza è fastidiosamente tangibile a volte. Basterebbe aprire Portami Via per notare come i flussi di coscienza – non più ripiegati su un ego ipertrofico e che cerca di leccarsi le ferite mentre scrive e disegna – si innestano perfettamente nel tessuto narrativo.
Condizioni è, quindi, un diario emotivo, contrassegnato da punti di talento e illuminazioni che mostrano già la strada del Powell più maturo, ma è anche un documento della provincia americana divisa tra produzioni d.i.y. – la salvezza di intere generazioni di giovani americani – e la desolata persistenza di un tono di sconfitta nel mostro scontro quotidiano con quella complicata cosa che è chiamiamo, semplicemente, vita.
p.s. Vi consigliamo di accompagnare la lettura seguendo le indicazioni musicali di Nate Powell. Certo si oscilla dall’heavy metal dei Judas Priest al crust punk dei His Hero is Gone, passando per il death metal degli Amon Amarth, non roba molto leggera, ma il mondo di Powell è il mondo del d.i.y. americano, di gruppi hardcore-punk old school e progetti musicali che sfumano l’uno nell’altro rompendo ogni limite di genere.