Interni è stato un lavoro fondamentale nella carriera di Francesco Ciampi in arte Ausonia, autore del più recente ABC (Coconino Press, 2012) e di una storia per Sergio Bonelli Editore contenuta in Dylan Dog Color Fest n. 16 (2016).
Interni è un racconto in tre volumi originariamente pubblicati tra il 2008 e il 2011 da Double Shot, che vengono ora riproposti in nuova edizione in volume unico da 001 Edizioni. Il libro sarà presentato in anteprima a Lucca Comics & Games 2018 (che si svolge dal 31 ottobre al 4 novembre), per poi arrivare successivamente in fumetteria e libreria.
Ausonia ha curato in prima persona la nuova edizione, corredandola di interventi critici e ricomponendo un lavoro che indagava il significato del ruolo di autore e il suo posto nel mondo, scavando al tempo stesso nella sua identità.
Nella natura stessa di Interni c’è la messa in discussione stessa dell’autore, del protagonista del libro, che è uno scrittore di successo. Ma c’è anche una messa in discussione dell’autore del libro, che sembra proiettare parte di sé nel suo protagonista, un kafkiano scarafaggio antropomorfo che seguiamo nelle sue quotidiane divagazioni alla ricerca di un posto nel mondo.
La riedizione di Interni è l’occasione per parlarne con Ausonia e scoprire cosa è diventato per lui questo lavoro e cosa può aspettarsi da esso un nuovo lettore che non l’abbia mai letto.
Da cosa nasceva Interni e cosa rappresentava inizialmente per te?
Nacque molto spontaneamente da degli schizzi che avevo fatto su degli scarafaggi antropomorfi. Più li guardavo più sembravano raccontarmi le loro vite. Partì tutto come una piccola autoproduzione che volevo presentare a Lucca… ma più disegnavo e scrivevo, più il progetto sembrò ampliarsi e diventare ambizioso. A metà del primo albo capii che Interni sarebbe diventato una trilogia.
E questo, se vuoi, è il racconto scarno degli eventi, in verità è stato tutto più complesso e arzigogolato. Perché la sensazione che avevo da subito è che quella storia mi avrebbe accompagnato per qualche anno e che sarebbe stata davvero importante per me. Qualche giorno fa un amico fumettista mi ha chiesto: «Come si capisce quando la storia che hai in mente merita di essere raccontata?», gli ho risposto: «Se ti trovi a ripensarci mentre lavi i piatti, forse, hai tra le mani una buona storia, ma se ci pensi anche mentre fai sesso: allora hai tra le mani una bomba!». Si è messo a ridere.
Interni è stata una vera ossessione che mi ha accompagnato per molto tempo. E mi è piaciuto, a maggio, tirarlo fuori dagli hard disk e rimetterci mano per preparare questo omnibus targato 001.
Dopo una decina d’anni cosa ha voluto dire riprendere in mano queste pagine?
Molte cose. Resta un libro particolarissimo, un’indagine dall’interno su ciò che è la narrazione, oltre che un fumetto che parla del mio lavoro. A distanza di dieci anni credo che i dubbi che esprimevo su quelle pagine siano diventati ancora più attuali.
E poi in questa decade non ho letto nessun fumetto come Interni, resta unico per approccio, tematiche, soluzioni narrative. C’è molta ironia ma anche un malessere di fondo che da autore, in parte, sento ancora oggi. E poi… se penso che tutte quelle 500 pagine me le sono autoprodotte anni fa, da solo, in totale autarchia… provo molta stima e rispetto per quel trentacinquenne che ero. Ho provato molto affetto per quel me stesso del passato.
C’era qualcosa di autobiografico nel libro, all’epoca?
Non in Albert (lo scrittore protagonista della storia). Non ho mai avuto niente a che fare col suo vissuto. Però le parti del libro in cui parlo io, col mio editor mentale… Beh, sono proprio io. O almeno lo ero in quel periodo. Quel tizio, quell’Ausonia lì, un po’ mi assomiglia ancora.
Ci sono invece elementi che sono diventati autobiografici? Cioè, senti di aver anticipato qualcosa di te in quella storia?
Per certi versi è accaduto l’esatto contrario. In questi anni mi sono riappacificato molto col fumetto e la narrazione in generale, forse proprio perché ho scoperto di approcciarmi alle storie con più leggerezza rispetto ad allora. Tutto sommato, adesso so che non sono così importanti le cose che ci raccontiamo. Semplicemente perché adesso so che niente è realmente importante.
Ho smesso da un pezzo di credere al racconto agiografico che si fa da sempre sul genere umano. Forse dovevo liberarmi di questo fardello: l’esistenza è molto meno seria di come vogliono farci credere. Gli uomini, le nostre vite, sono meno necessari di quello che pensiamo. Anche il dolore e la paura dopo che le hai provate per un paio di volte, seriamente, risultano affrontabili. In Interni, invece, da questo punto di vista, almeno, mostro un’integrità che adesso mi stupisce. Credo di essere molto più punk di dieci anni fa. E stranamente questa cosa non mi fa affatto orrore [ride].
Forse la parte che si è rivelata autobiografica è stata proprio quella riguardante la ripubblicazione. Così come Albert Gruenwald non riesce a pubblicare il suo romanzo Interni, io ho faticato per riportare in libreria questo fumetto. Alcuni editori con cui avrei voluto ripubblicarlo o non lo capivano o lo temevano: un po’ per via delle parti fotoromanzate (ommioddio, che stranezza!), un po’ perché ridicolizzava l’approccio e il formato dei graphic novel.
Non lo dicevano apertamente, ma pubblicare Interni, forse, per loro, era un po’ come mettersi un nemico in casa. E quindi rimandavano, glissavano, non rispondevano veramente nel merito dei contenuti… dicevano che era un libro importante ma che mi avrebbero fatto sapere, sai: la distribuzione, il catalogo, le nuove proposte, se fai un libro così lo devi affiancare a una proposta novità… robe abbastanza kafkiane [ride].
Cosa hai cambiato in questa edizione?
Niente o poco. Qualche frase qua e là, qualche dialogo… ma solo lavorando sulla forma, non intaccando i contenuti. Ho rimaneggiato le grafiche, invece. La copertina. Ho impreziosito tutto, ho trattato questa raccolta come si lavorerebbe al rifacimento della confezione di un classico. Perché se lo merita, questo libro si è meritato ogni singolo istante che ho speso per lui, anche per questa edizione integrale.
Abbiamo riletterato tutto, abbiamo ingrandito di qualche centimetro le pagine, ho voluto che ci fossero degli interventi scritti da Giovanni Ferrara, Tonio Troiani, Andrea Fontana, Adriano Ercolani, Lorenzo Fantoni, Dario Moccia che hanno scritto cose bellissime. Insomma, sì, avevo dato loro la libertà totale di scrivere ciò che volevano ma l’amore che nutrivano per Interni – e che ignoravo – ha reso i loro contributi quasi celebrativi e… ci sta: questa è l’edizione del decennale, mi piace che abbia anche un aspetto commemorativo.
Cosa avresti voluto cambiare e non c’era proprio modo di farlo?
Ci siamo presi tutto il tempo necessario.
Dopo anni per realizzarlo e anni dalla pubblicazione, che tipo di evoluzione vedi nel tuo lavoro?
Mmmh… non ho lavorato moltissimo in questi anni [ride]. Dopo ABC per Coconino non ho fatto molto altro, e ABC era precedente a Interni anche se è stato pubblicato successivamente. Dunque… non saprei risponderti. Interni mi ha lasciato un po’ orfano, non so. Adesso ho nuovamente del materiale su cui lavorare, ma per anni mi sono tenuto alla larga dai fumetti e dalle storie. Era ancora troppo pericoloso e doloroso per me.
La scelta dell’ampio utilizzo di fotografia – i vari passaggi in forma di fotoromanzo – come la vivi ora?
In verità non era la prima volta che facevo un uso così massiccio della fotografia e del fotoromanzo, già in P-HPC la presenza delle sequenze fotografiche era predominante. Adesso sono su una lunga storia di Dylan Dog e pure lì ci saranno delle parti fotoromanzate, con un Dylan in carne e ossa.
E T.V.B. Morte – il libro a cui sto lavorando adesso – sarà un fotoromanzo puro, senza disegni, senza fumetto come lo intendiamo comunemente. Quindi più che un esperimento, Interni rientrava a pieno titolo in un percorso di ricerca che non si è mai interrotto e che deve ancora dare i suoi frutti migliori.
Magari non tutti sapranno o ricorderanno, ma tu avevi letteralmente bruciato gli originali di Interni, dopo la fine della trilogia. Ci racconteresti la storia, come andò e perché?
Giammai! È così divertente da leggere che non priverò della sorpresa i nuovi lettori [ride].
Ti ha causato problemi in questa fase di riedizione il fatto di non avere più gli originali?
No. Assolutamente. Come scrivevo sul terzo volume di Interni gli originali sono solo delle matrici utili alla stampa. Non servono a nulla e non hanno nessun valore speciale. Una volta scansionati puoi usare quei disegni ogni volta che ne hai bisogno. Basti pensare a tutti quegli artisti che adesso producono solo in digitale. Gli originali in giro sono sempre di meno, i collezionisti se ne faranno una ragione…
Ora più di prima colpisce il fatto che in quel momento la tua carriera avesse ancora molto davanti, ma quella storia ha il gusto del racconto del narratore navigato, quasi di un testamento.
In parte ti do ragione. Giovanni Ferrara (editor di Fandango) ha passato anni cercando di ripubblicare Interni. Si è speso moltissimo. Quando gli chiesi perché credesse così tanto in questo libro mi rispose: «La maggior parte dei libri a fumetti gravitano tutti attorno a un centro, sembrano tutti fratelli, diversi tra loro ma rispondenti alla stesse leggi fisiche, Interni è così lontano da quel centro gravitazionale da sembrare di un’altra dimensione. Alieno. Diverso da tutto».
Quando ho riletto Interni, questa estate, credo di aver capito cosa intendesse. E credo di non sentire quella spinta verso quel centro attrattivo nemmeno adesso. Ci sono ancora moltissime cose da esplorare. Mi muovo sempre in altre direzioni.
«Siamo solo camerieri» si dice a un certo punto dei narratori. In questo momento in cui il fumetto subisce molti veloci cambiamenti (e alcuni autori quelle file che tu illustri per il tuo protagonista le fanno davvero), cosa pensi del tuo personaggio e dei suoi disagi?
Che i suoi timori fossero fondati. E che oggi, quei timori, siano anche maggiori.