L’invasione aliena e il viaggio nel tempo: sono due dei temi d’oro della fantascienza ma anche della proto-fantascienza. Germogliano nel romanzo scientifico, che fonde atmosfere fantastiche con un pensiero strutturalmente logico e razionale. A fare per la prima volta capolino si può trovare ad esempio H.G. Wells con la doppietta La guerra dei mondi e La macchina del tempo, entrambi del 1895.
Il vero viaggio nel tempo, a differenza di una semplice proiezione nel futuro per raccontare possibili sviluppi dell’umanità (penso a Parigi nel XX secolo (1861) di Jules Verne e Le meraviglie del duemila (1907) di Emilio Salgari), ha numerose complicazioni che costringono a pensare in modo alquanto raffinato sia i lettori che l’autore. C’è il tema dei paradossi temporali, quello degli universi paralleli, il bisogno di raccontare e ragionare costruendo nuove leggi coerenti interne alla storia che poi devono essere rispettate: un buon esempio al riguardo è Time’s Arrow di Arthur C. Clarke.
Nel racconto, pubblicato nel 1950, gli scienziati riescono a viaggiare nel tempo e decidono di visitare con la loro macchina la preistoria, creando un paradosso mortale. Due variazioni sul tema, nel fecondo settore delle ‘short stories’ americane, molto amate per le pubblicazioni su rivista a cavallo della Seconda guerra mondiale, sono A gun for dinosaur di L. Sprague de Camp e la mia personale preferita A sound of thunder di Ray Bradbury.
Sull’invasione aliena, poi, le possibili declinazioni sono praticamente infinite. Anche perché l’alieno è simbolo dell’altro, ma di un altro non conoscibile: può essere una divinità, un essere spietato, un microbo mortale, un’entità non comprensibile o semplicemente malvagia.
La capacità di proiettare sul niente dell’alieno (che per definizione non esiste, dato che non ne abbiamo mai avuto esperienza) i nostri pensieri lo rende una sorta di test di Rorschach dell’umanità. Anche a costo di improvvise e sorprendenti inversioni di campo e di prospettiva, come nel fulminante racconto Sentinella (1954) di Fredric Brown, scelto da Carlo Fruttero (ancora senza Franco Lucentini ma con Sergio Solmi) per la storica antologia Le meraviglie del possibile, pubblicato da Einaudi nel 1959 e apripista per la fantascienza come fenomeno culturale “alto” nel nostro dopoguerra.
Con i suoi 29 racconti di 20 autori diversi Le meraviglie del possibile ha segnato il primo passo della cultura ufficiale del nostro Paese per la scoperta della fantascienza. La rivista da edicola Urania, per dire, era uscita nel 1952 per idea e con la guida di Giorgio Monicelli e con le copertine del maestro Kurt Caesar, seguendo il filo delle riviste americane, in particolare Galaxy Science Fiction: non era letteratura alta e continuava a dialogare con il genere del mistero e dell’horror ante litteram.
Viaggio nel tempo e invasione aliena invece sono i due strumenti scelti anche per una delle principali opere di fantascienza del Novecento: L’Eternauta. Il che (consentite, dopo una lunga introduzione, anche questa larga iperbole al vostro cronista della science fiction) apre una serie infinita di mondi.
Fantascienza e fumetto sono infatti sposati da tempo immemore. Anzi, il binomio viene studiato relativamente poco perché sarebbe troppo profondo e articolato per essere portato avanti senza rimettere in discussione le principali definizioni della narrativa di anticipazione, che solitamente viene rappresentata soprattutto come genere letterario o cinematografico.
Il fumetto invece la porta su altre piste e uno in particolare, L’Eternauta, il “vagabondo dell’infinito”, alias Juan Galvez, è l’esempio che voglio seguire qui. L’Eternauta è sia il titolo che il protagonista del dramma scritto da Héctor German Oesterheld e disegnato da Francisco Solano López per la prima volta nel 1957. È un’opera molto amata e molto citata, dalla storia editoriale piuttosto complessa.
Pubblicata per la prima volta, appunto, nel 1957 e poi riscritta in buona parte nel 1969, arrivò in Italia nel 1977 (dapprima nella seconda versione, più cupa ed esplicitamente politica, stante anche l’adesione del suo autore al movimento clandestino Montoneros), dopo il golpe argentino del 1976 che nel 1977 fece entrare Oesterheld nelle liste dei desaparecidos, e morire probabilmente un anno dopo, seguendo la sorte delle sue quattro figlie (due delle quali incinte) e dei loro mariti.
Oesterheld, prima di venir preso dai militari argentini, stava lavorando al seguito dell’ Eternauta, che venne scritto in clandestinità e terminato probabilmente dal suo editore. Dopo L’Eternauta parte seconda ci saranno anche la Parte terza del 1983 scritta da Alberto Ongaro, Il mondo pentito del 1997 scritta da Pablo Maiztegui e disegnata di nuovo da Solano López, El odio cosmico del 1999, inedito in Italia, sceneggiato da Pablo Muñoz e Ricardo Barreiro, e infine L’ultimo Eternauta (conosciuto anche come L’Eternauta, il ritorno) del 2003, scritto da Pablo Maiztegui e disegnato ancora da Solano López.
Ma niente supera la capacità di dare piacere della prima versione, soprattutto restaurata con le tavole originali rimontate nel formato orizzontale da tabloid anziché in quello verticale da rivista come l’abbiamo conosciuto per più di trent’anni in Italia.
L’opera che racconta le gesta del “vagabondo dell’infinito” è importante: ne abbiamo parlato varie volte, raccogliendo molti fili lasciati da quel creatore di miti estremamente potente che è stato Héctor Oesterheld.
La historieta che inizia e finisce nella stanza di uno sceneggiatore di fumetti nella Buenos Aires del 1957 ha come protagonista Juan Galvez, uno strano personaggio che appare dal niente e racconta di una misteriosa nevicata che, in una sera come quella, è entrata nella borghese vita di pacifico orgoglio in una grande città dell’America Latina (una Buenos Aires non ancora distrutta dalla dittatura e dalle crisi economiche provocate in buona parte dall’eccessiva vicinanza con gli Stati Uniti). La nevicata è l’inizio di un’invasione aliena.
Il racconto è lucido, scandito con grandissima maestria ed è una profezia tragica della dittatura sorta nei decenni successivi. La riscrittura operata da Héctor Oesterheld alla fine degli anni Sessanta rende ancora più cupa ed esplicita la tragica situazione economica dell’America Latina e dell’orgogliosa Argentina, prossima alla fine temporanea della democrazia. È una riscrittura militante, esplicita, ma che niente toglie alla capacità che ha avuto Oesterheld di intuire e raccontare il suo futuro, il futuro della sua gente, velando la dittatura con l’immagine della spietata invasione aliena.
Nel saggio Memorie dell’Eternauta (001 Edizioni, 2010) scritto da Fernando Ariel Garcia e Hernan Ostuni – giornalista il primo, medico il secondo, entrambi figure centrali nel panorama fumettistico argentino – il racconto di El Eternauta e del suo creatore desaparecido è un modo per raccontare la storia dell’Argentina del secondo dopoguerra. Héctor Oesterheld è simbolo tra i più importanti e fragili, non solo per una generazione di argentini: un dramma che peraltro abbiamo completamente rimosso dalle nostre coscienze di europei se mai ne abbiamo avuto contezza.
Eppure, nell’Eternauta c’è la concezione stessa di “eroe collettivo”, la metafora dell’invasione aliena improvvisa, silenziosa, non dichiarata, con la nevicata luminescente e mortale sopra Buenos Aires, i livelli stratificati di alieni che portano agli Ellos, “Essi”, creature pronte a cancellare tutto in ragione del proprio tornaconto, metafora non tanto del corrotto regime militare e politico argentino, quanto delle multinazionali nordamericane e dello sfruttamento sistematico e cieco di tutto il Sudamerica, Argentina in testa.
Riprendo quanto scrissi al riguardo un po’ di anni fa:
• La storia dell’Eternauta, le sue memorie, si sovrappongono a quelle dell’imperialismo, a quelle di una concezione del mondo che ha fatto dell’Argentina dei colonnelli un esempio non lontano da altre modalità di affermazione del potere economico. (…)
• I contatti dell’Eternauta con l’Italia sono tanti: a partire dall’omonima testata, dal rapporto con Linus ed Oreste del Buono, dalla tradizione del fumetto italiano e di quello latinoamericano delle historietas, con Hugo Pratt (e pochi altri autori di altissimo livello) a fare, per un periodo, da ponte fra i due mondi.
• Il dramma dell’Argentina. Ricordate? Un mondiale di calcio nel ’78 per coprire la violenza del regime dei colonnelli; una improbabile guerra comunque sanguinosa con la corona britannica per un fazzoletto di terra abitato da pochi pastori; la sciagura del governo Menem e il crollo dell’economia, bond inclusi: una forbice tra ricchi e poveri che si allarga e che minaccia di essere esempio per gli altri popoli nel mondo.
• Il fumetto come via popolare per il racconto, la denuncia, la resistenza. Come quel muro adesso ripitturato, che si intravede dai vagoni della metropolitana sotto il ponte General Paz: fino al 2002 c’era un murales, con l’Eternauta, Juan Salvo (da noi diventa Juan Galvez), che cammina verso di noi, la scritta “Resiste”, il tratto evocativo e potente del primo e migliore disegnatore, Francisco Solano Lopez.
• La storia dell’Eternauta-fumetto è dura, spietata, a tratti profetica. Con il campo di concentramento nello stadio, le vie deserte nella calma della devastazione portata dagli alieni, gli uomini trasformati in soldati-robot, così come i Mano, quelli che sembrano essere per un momento i capi dell’invasione, che si scopre essere essi stessi tenuti sotto controllo dagli Ellos con l’innesto di una ghiandola della paura, pronta a ucciderli se si ribellano.
• Ma sopra tutto, l’immagine di quest’uomo reso duro dal dolore, dalla sconfitta, dalla responsabilità di una resistenza di cui è ultimo baluardo: l’Eternauta sconfina tra le pieghe dello spazio e del tempo, rimanendo a camminare per lungo tempo coperto da un’improvvisato scafandro che gli permette di vedere senza essere toccato l’orrore di un mondo sommerso dalla silenziosa e mortale nevicata che si poggia su tutto.
• La forza pazzesca del bianco e nero di Francisco Solano Lopez che racconta il quotidiano improvvisamente stravolto da una catastrofe all’apparenza naturale, poi mortale, poi aliena, comunque silenziosa. Simboli della vita di tutti i giorni che si trasformano in contenitori dell’orrore, stravolti e mutati di senso. I miei ricordi: l’ho letto da piccolo, piccolissimo, eppure affascinato dalla visione di quel sogno quasi nordamericano di una classe media, delle villette terra-tetto di una Buenos Aires in cui si potesse ancora sperare di vivere una vita tranquilla, con degli hobby e del tempo libero, una pensione serena, un viale ordinato con delle villette pulite, all’improvviso cancellato prima simbolicamente dal fumetto e poi tragicamente dalla realtà della storia. L’Eternauta ha intuito il terribile destino dell’Argentina, è stato profetico. È cominciato tutto sessant’anni fa, non è ancora finito. In qualche modo, continua anche da noi.
La fantascienza e il fumetto sono la doppia chiave per entrare nello spirito del tempo e raccontarne la trasformazione alle persone comuni. Il modo per “contare la storia”: popolare, diffuso, capillare. La fantascienza serve così come volano, mediatore, attraverso le due immagini archetipe dell’invasione aliena (riempita dal senso degli “yanqui” imperialisti) e del viaggio nel tempo. Che è poi il meccanismo supremo e sublime del narratore: il quale si sposta dal tempo presente al tempo passato della favola, salvo poi rivelare che è quello il futuro prossimo che attende l’ascoltatore, e poi rientrare in un gioco sempre più vorticoso e serrato di amnesie e di incroci nel tempo soggettivo e nel tempo collettivo dei protagonisti delle vicende di questo racconto.
Anche rimanendo legati alla prima storia, sicuramente la più bella, dalla ricchezza insuperabile di sfaccettature e dettagli che avvolgono e bruciano il lettore (circolarità del racconto e metafiction incluse), la sensazione che un fumetto valga più di un romanzo o di un trattato di storia e sociologia per la sua capacità di cogliere e raccontare la realtà, è fortissima.
La mia semplice considerazione, sotto forma di domanda non retorica, è legata alla scrittura di genere: L’Eternauta sarebbe ancora un romanzo a fumetti (un graphic novel quasi mai citata dagli storici del settore perché non di sangue nordamericano, probabilmente) anche se non fosse una storia di fantascienza, con viaggi nel tempo e devastanti invasioni aliene?
Rileggetelo e chiedetevelo anche voi.