Nel 1988 Roberto aveva undici anni e leggeva tre fumetti: Topolino, Topolino e Topolino. Solo Asterix e i Transformers della Marvel riuscivano a spezzare occasionalmente la sua monomania. Letti appena usciti o recuperati nei mercatini, gli albi di Topolino dal 1400 al 1700 li conosceva a memoria.
In quell’estate, Andrea di anni ne aveva venti ed era sotto servizio militare. Leggeva pochi fumetti e quei pochi non recavano la firma di Walt Disney in copertina: gli piacevano Lanciostory, Skorpio e Dylan Dog. Sarà solo una quindicina d’anni dopo che riscoprirà il gusto per le avventure di Topolino e Paperino, i classici e le storie che si era perso nel frattempo.
Anche Francesco, nel 1988, era un ragazzino. Le storie di Topolino e Paperino erano il suo principale interesse e quando andava al mare si assicurava che nelle edicole della spiaggia ci fossero fumetti Disney da razziare. In villeggiatura riuscì perfino a trovare un numero di Lustiges Taschenbuch (la versione tedesca dei Classici Disney), contenente storie che i lettori italiani avrebbero letto soltanto un paio di settimane più tardi. Se solo avesse conosciuto il tedesco avrebbe potuto leggere la conclusione di una maxistoria che stava andando avanti da settimane, Paperolimpiadi, scritta e disegnata da Romano Scarpa, uno dei più importanti autori della scuola disneyana italiana.
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A Francesco piaceva soprattutto trovare il nome dell’autore delle Paperolimpiadi, Romano Scarpa, scoperto anni prima, quando l’editore aveva iniziato ad accreditare gli artisti presenti in un determinato numero. Gli piaceva a tal punto che una volta strappò la pagina con gli “Scarpa” da una guida del telefono di Venezia trovata in una cabina, per cercare l’indirizzo e poterlo incontrare. Lo trovò anni dopo, ma ormai Scarpa si era trasferito in Spagna con la famiglia.
Scarpa si sarebbe probabilmente sottratto alle lusinghe del fan. Non si curava molto del riconoscimento, gli piaceva l’idea di camuffarsi dietro al nome di Disney e far credere che a realizzare quelle storie ci fosse ancora Walt o Floyd Gottfredson. Chiese perfino di poter mettere il nome di Walt Disney nelle sue tavole, finché il papà di Topolino era in vita. E di certo non gli piaceva la parola “artista” associata ai fumetti, suoi o di chiunque altro. L’Arte, per lui, stava altrove.
Da grandi, Andrea, Roberto e Francesco hanno visto in Scarpa un autore che fondamentale nella loro crescita personale o professionale. Andrea, Castellani, è diventato famoso con il nome di Casty e ha mantenuto viva l’eredità di Scarpa con le sue storie su Topolino. Pure Roberto, Gagnor, è finito a scrivere per il settimanale, diventandone uno degli sceneggiatori più noti e omaggiando Scarpa nella sua storia olimpionica Londra 2012: Caccia all’oro. E Francesco, Spreafico, è diventato il curatore del sito romanoscarpa.net e fonte importante nella costruzione dell’opera omnia dell’autore.
Il più disneyano tra gli autori Disney
Nato a Venezia nel 1927, Romano Scarpa fu animatore e fumettista tra i più rappresentativi della tradizione Disney italiana, autore di centinaia di storie celeberrime (Paperino e le lenticchie di Babilonia, Topolino imperatore della Calidornia, Topolino e l’unghia di Kalì, Zio Paperone e l’ultimo Balabù, Paperino e la “Fondazione de’ Paperoni”) e creatore di moltissimi personaggi, tra cui Atomino Bip Bip, Trudy, Brigitta, Filo Sganga, Paperetta Yé-Yé, Gedeone de Paperoni e Plottigat. Insieme a Floyd Gottfredson e Carl Barks, ha contribuito al canone disneyano in maniera fondamentale.
Rispetto ad altri professionisti del fumetto, Scarpa era, per sua stessa definizione, «il più disneyano». Gli altri erano «troppo personali, molto lontani da quello che era il genere Disney» e le caratteristiche dei personaggi, secondo il veneziano, venivano maltrattate «in virtù di una maggiore personalità, in senso nazionalistico, campanilistico; li ho sempre visti legati un po’ troppo al nostro mondo, che è piccolo in confronto a quello che è il mondo universale disneyano».
Nel 1988 Scarpa aveva più di trent’anni di attività alle spalle. Paperolimpiadi arrivò in un periodo relativamente calmo per il fumettista – che continuò a lavorare alle sue storie senza che altri eventi sconquassassero la sua quotidianità (la cronologia ragionata vista nella sua opera omnia rimane in silenzio dal 1971, anno di nascita della figlia Sabrina, alla fine degli anni Ottanta, quando gli fu dedicato per la prima volta un saggio, Romano Scarpa – Un cartoonist italiano fra animazione e fumetti) – ma agitatissimo per il Topolino libretto: Mondadori, che curava i fumetti Disney dal 1935, aveva consegnato i diritti alla neonata divisione italiana della Walt Disney Company. Il direttore Gaudenzio Capelli traghettò tutte le testate nella nuova fase e alla saga di Scarpa toccò il compito di essere la prima storia importante a varare il nuovo corso.
L’incarico fu tanto preciso quanto aleatorio: una storia che ruotasse attorno alle Olimpiadi di Seul, previste per quell’estate. Scarpa di storie a sfondo sportivo-olimpionico ne aveva già realizzate (Topolino alle Olimpiadi, Pippo e i parastinchi di Olympia, Paperino ai mondiali di calcio) ma il discorso agonistico era sempre rimasto ai margini della trama, relegato a spunto, ridotto a pretesto.
Successe la stessa cosa qui: il veneziano la prese larga e costruì una vicenda che aveva al centro del proprio racconto la silice viola, un minerale rarissimo che serviva per la costruzione di apposite lenti che provocavano un effetto esilarante su chiunque venissero puntate. Le lenti sono state create da Archimede e Paperone vuole brevettare l’invenzione. Inizia così una gara tra lui, Rockerduck e Filo Sganga (in combutta con Brigitta) a chi reperirà le ultime scorte di silice viola presenti sul pianeta.
In seguito, una varietà modificata di silice viola, portata dall’atleta paperolese (ma di origini coreane) Kim Don-Ling, darà vita alla premonitor, una telecamera in grado di mostrare il futuro, che Paperone vuole utilizzare per dare in anteprima i risultati delle Olimpiadi. La premonitor diventa l’oggetto del desiderio per Banda Bassotti, Gambadilengo, Trudy e Plottigat e solo l’intervento di Topolino riconsegna la telecamera al papero. L’arrivo degli alieni Paperoidi, bisognosi degli ori olimpici per far ripartire la loro astronave, è solo l’ultimo ostacolo al ricongiungimento di Kim con la sua amata Chen Dai-Lem.
Le Paperolimpiadi
Negli otto episodi della saga, pubblicati tra il luglio e il settembre 1988 (Topolino nn. 1705-1712), trovarono dunque spazio le creazioni di Scarpa: Plottigat, Trudy, Brigitta, Filo, Cavillo Busillis e i Paperoidi, quest’ultimi nati nel 1981 come tentativo di cogliere le mode fantascientifiche che provenivano da est (i robottoni giapponesi) e ovest (Star Wars). La gran parte di queste creazioni erano servite allo sceneggiatore per colmare i vuoti relazionali della banda Disney: aveva dato una compagna (e un cugino) a Gambadilegno, a Paperone aveva assegnato una pretendente e un altro rivale in affari suo speculare, Filo Sganga, «pieno di buone intenzioni, ma goffo, incapace, inetto, che perde sempre». Qui invece introdusse due nuovi nomi che servirono ad agganciarsi al paese organizzatore: Kim Don-Ling e Chen Dai-Lem, paperi coereani (lui del sud, lei del nord) legati da una storia d’amore adolescenziale ma delicata, seguendo i propositi dell’autore, ovvero «suscitare una curiosità misteriosa per un mondo, quello disneyano, dove c’è sempre possibilità di salvezza».
Nonostante il titolo, Paperolimpiadi presentò un cast sterminato che permise al disegnatore di includere il personaggio favorito, Topolino – l’everyman borghese –, giocare con Paperone, arcigno ma di buon cuore come lo scriveva Barks (invece che cinico e violento come lo sceneggiavano Guido Martina e tanti altri autori coevi) e tenere a bada Paperino, visto solo come una fonte di gag. Nel volume Sognando la Calidornia Scarpa lo vidimava come «un pasticcione nato, un inconcludente, un buono a nulla, uno scansafatiche».
Come ha scritto Andrea Tosti, «l’intero corpus scarpiano è segnato dal gusto per la sperimentazione, dalla ricerca di soluzioni originali ma non pretestuose, dall’attenzione per l’intreccio», e Paperolimpiadi rispetta queste considerazioni grazie all’idea di base (la “premonitor”), agghindata da un corollario di situazioni comiche, avventurose e romantiche, che sanno esaurire la loro funzione nel tempo di un episodio lasciando spazio all’evento successivo. Ogni puntata è infatti autoconclusiva eppure inserita in un arazzo più grande che va a comporre una narrazione sterminata. Con le sue 250 pagine fu per un periodo la più lunga storia Disney realizzata da un autore unico.
Invece del mistero che innervava molte sue storie, Scarpa cercò un’altra impostazione per reggere le centinaia di pagine della trama e preferì il respiro da kolossal: la vicenda si snoda tra Stokfish (città immaginaria dell’altrettanto fittizia Norvezia), Topolinia, Paperopoli, l’oceano Pacifico e Seul.
«È vero, l’olimpiade quasi non si vede ma si parla dei valori che ne stanno alla base, e questo è l’importante» ci racconta Casty, fumettista che ha recuperato lo spirito di Scarpa per le proprie storie su Topolino, diventando uno dei pochi esempi italiani di fumetto neo-silver, cioè quel filone, teorizzato dallo storico Peter Sanderson, che recupera le atmosfere della Silver Age e ne aggiorna le intenzioni come rimedio alla cupezza dell’era oscura dei fumetti. «Si parla di amore per lo sport (i due ragazzi coreani, ma anche Qui, Quo, Qua), di lealtà (l’episodio coi Paperoidi), di amicizia e di sana competizione. Sarebbe stato forse fin troppo facile infilare i nostri in una serie di gag “olimpioniche”, inserire campioni dai nomi storpiati per strappare qualche risata: Scarpa invece sceglie di raccontarci le cose che ci ruotano intorno, e lo fa dimostrando un grande rispetto per l’evento».
Lo stile di Scarpa si era evoluto negli anni tanto per moti personali dell’autore quanto per esigenze aziendali e necessità di stare sul pezzo. A guidarlo nella ricerca grafica era soprattutto la filmografia Disney: all’inizio della carriera, il suo tratto era prima morbido come gli sbuffi di Biancaneve, poi seguì la linea aguzza de La carica dei 101, mentre le masse si fecero stilizzazioni geometriche, per poi infine approdare negli anni Ottanta a una forma elegante che recuperò uno stile giovanile ma riempito con l’esperienza macinata sul tavolo da disegno. «I personaggi quasi guizzano tra le vignette» dice Casty, «tant’è che spesso addirittura ne debordano».
Da non dimenticare l’apporto alla storia degli inchiostratori Valerio Held, Sandro Del Conte, Maurizio Amendola e Luciano Gatto. Per Held in particolare l’esperienza costituiva una novità: era nuovo del settore e questa era la prima storia Disney che inchiostrava. Dopo il liceo artistico aveva lavorato in uno studio di architettura e per una casa editrice di Monaco, per poi finire sotto l’ala di Luciano Gatto.
«Attraverso Gatto ebbi l’opportunità di conoscere Romano Scarpa» ricorda Held. «Aveva visto alcune mie tavole inchiostrate e mi propose di aiutarlo a inchiostrarne alcune. Ricordo quando andavo da lui a prendere le tavole da inchiostrare, me le passava a volte dalla finestra al terzo piano, dentro un cestino di vimini». Scarpa, minuzioso e attento al risultato finale, si riservava di aggiustare i dettagli per dare omogeneità alle varie mani di ripasso, ma soprattutto deteneva l’esclusiva sulle pupille degli occhi, che inchiostrava personalmente, in quanto elementi fondamentali per determinare le espressioni dei personaggi.
Una storia figlia del suo tempo
Paperolimpiadi è figlia del suo tempo, non soltanto per i precisi riferimenti storici ma anche perché i parametri narrativi sarebbero cambiati da lì a breve. Lo stesso Scarpa sarebbe stato sommerso dalle polemiche in occasione di Ciao Minnotchka!, una sua storia del 1992 che ironizzava sui regimi comunisti. Eppure ha anche elementi di incredibile modernità, come l’incipit attento alla crescente importanza dell’immagine nella società: «Viviamo in un’epoca in cui tutto è immagine! Avvenimenti, personaggi, luoghi in capo al mondo resterebbero sconosciuti alla maggior parte della gente se non ci fossero la televisione, la macchina fotografica, la cinepresa… Evviva l’immagine-lampo!».
Sarebbero storie impossibili da raccontare oggi, in un momento in cui, come spiega Casty, «c’è un sacco di gente che si arrabbia perché nelle mie storie ci legge messaggi subliminali pro/contro sinistra/destra (anche all’interno della stessa storia)» e perfino una storia innocentissima come Le merendine mutevoli (2014), con protagonista Atomino Bip-Bip, diventa oggetto di critiche (durante una presentazione una coppia ha bollato il fumetto non abbastanza attento al ruolo della donna nella ricerca scientifica).
«Oggi una storia così forse avrebbe meno pagine: a quei tempi era più facile proporre progetti così “titanici”» spiega Roberto Gagnor, che è però convinto che in un fumetto Disney si possa ancora parlare di tutto, «basta trovare la chiave giusta. Magari allontanandosi dalla realtà si può, paradossalmente, esserne più vicini, rispetto ad adattamenti più fedeli, più topical, ma che però rischiano di rimanere troppo legati alla loro epoca. Il punto è: usare il fumetto Disney per parlare di qualcosa di universale, seppur legato a un tempo e un luogo. In questo caso, (anche) un’oppressione dittatoriale e le sofferenze che ne derivano».
La storia uscì in contemporanea in Germania, Svezia, Norvegia, Finlandia e Brasile, diventando da subito una delle fan favorite dell’autore veneziano per la sua capacità di creare «questo senso di avventura globale, quest’idea di un universo Disney in cui succede di tutto, dappertutto», dice Gagnor. Dopo Paperolimpiadi Scarpa si mise a realizzare strisce di Topolino seguendo il modello del suo amato Gottfredson e lavorò a un test di DuckTales, serie a cartoni le cui animazioni la Disney stava cercando di appaltare a studi esteri per abbassare i costi. Pur lodato dagli americani, il risultato fu giudicato troppo dispendioso. La quantità di animazione che gli studi giapponesi offrivano era irraggiungibile, e Scarpa si vide soffiato il progetto da TMS Entertainment (Lupin III, Conan, Akira).
Ma il suo obiettivo principale restò sempre la costruzione quotidiana delle sue storie, come raccontò a L’Europeo: «Ci ho messo tanta e tale passione, che sullo slancio di quell’innamoramento che mi fece portare i primi disegni a Topolino credo di avere fatto qualche cosa di abbastanza notevole».