Qui si parla di una mina vagante, Le Avventure di Phoebe Zeit-geist, oggetto difficile da maneggiare e che da quando apparve disturba la quiete nel placido condominio dei comics. Già il nome del personaggio, Phoebe Zeit-geist, la dice lunga. Zeitgeist è un termine usato da Hegel nelle sue lezioni di filosofia della storia: è il genius saeculi, lo spirito del tempo. E, fin nel modo in cui le pagine di Phoebe vengono pubblicate, le premesse contenute nel nome sono rispettate.
Partiamo dalle date e dagli autori: la storia inizia ad apparire a puntate in bianco e nero nel 1965 su Evergreen Review, rivista letteraria americana che presenta testi di Camus, Nabokov, Brecht, Borges. L’illustratore Paul Davis ricorda ancora con orgoglio che, dopo la pubblicazione in copertina di un suo ritratto del Che Guevara, nel 1968 la sede della rivista sarà fatta saltare in aria dagli anticastristi.
Le Avventure di Phoebe Zeit-geist, scritto da Michael O’Donoghue e disegnato da Frank Springer, apparirà a puntate anche in Francia su Plexus (rivista di arte ed eros), in Italia su Kent (mensile erotico), in Germania su Konkret (rivista di sinistra che ha come caporedattore Ulrike Meinhof), nonché in appendice a una collana di gialli Feltrinelli. Infine il volume a colori Le avventure di Phoebe Zeit-Geist esce contemporaneamente nel 1968 in America per Grove Press e in Italia per Feltrinelli. Nell’edizione italiana, una scritta posta in copertina avverte: “Un fumetto Feltrinelli per adulti”.
L’introduzione (forse del consulente letterario Enrico Filippini, forse di Marcelo Ravoni, allora redattore nella casa editrice e che aprirà nel 1971 l’agenzia Quipos lanciando Altan, Muñoz & Sampayo, Mattotti) parla di «un vero e proprio romanzo per immagini». E conclude beffardamente: «Phoebe è degna incarnazione dello spirito di un’epoca in cui trionfano la passività e la mercificazione (se vogliamo proprio metterla su questo tono…)».
Qui iniziano i problemi. Abbiamo un romanzo per immagini americano datato 1965, quando di solito si parla di graphic novel come genere narrativo nato nel 1978 negli USA con Will Eisner (non senza importanti distorsioni) o nel 1966 Italia con Guido Buzzelli. Inoltre c’è un processo di creazione che possiamo definire interattivo: dato che Phoebe viene uccisa nei modi più efferati in ogni puntata e resuscita in quella successiva, il finale della storia viene deciso con un referendum tra i lettori. E poi c’è una trama che è puro e raffinato divertimento.
La stramba vicenda di Phoebe
In breve: Phoebe ha 24 anni, è ricca, sofisticata, figlia di un aristocratico serbo. Cresciuta nel Tibet del Nord, va a scuola di ballo da un protégé di Djagilev e la sua educazione avviene nei collegi svizzeri. A pag. 10 è drogata e rapita in un ricevimento ad Anversa da un ex nazista, che la trascina appesa a un elicottero per darla in pasto a tigri zannute. Volando in questo scomoda posizione, sballottata tra insegne al neon e semafori, precipita infine in un fiume. Portata dalla corrente, rivive episodi non gradevoli della sua breve ma intensa vita (battaglie aeree, scarafaggi incollati sotto le ascelle, assalti di ragni giganti). È quindi soccorsa in California da un arciere zen cieco, che subito dopo la uccide con una freccia.
Poi “una masnada di industrialotti dediti al culto del sesso e della morte” ficca il corpo di Phoebe nel bagagliaio di un’auto e lo porta nel caveau di una banca colmo di cadaveri femminili. Mentre sta per essere imbalsamata durante una cerimonia necrofila, viene rapita da un tipo azzimato che ha in testa una bombetta e agita una bomba a mano.
Spedita da costui come pacco postale, arriva a Ceylon e finisce nelle mani di uno scienziato pazzo che la copre con le spore di un fungo di sua creazione. Mentre un cane lupo goloso di funghi sta per azzannarla, un eschimese trafigge l’animale con un arpione e salva Phoebe riconoscendo in lei la Principessa dei ghiacci di una leggenda Inuit. È condotta quindi in Alaska, dove uno sciamano la riporta in vita. Ma poi, per una forma di compensazione magica, viene lasciata legata sulla banchisa come cibo per l’orso polare. Il periscopio di un sommergibile, arredato come una reggia e guidato da una coppia di gay dediti al traffico delle bianche, la avvista mentre l’orso si avvicina. I due la recuperano e, indecisi su che farne, alla fine la legano a un siluro decorato con scene di battaglie navali che lanciano in mare.
Intermezzo: una digressione scritta, assolutamente avulsa dal contesto, su vantaggi e problemi che creerà nella cultura e nell’economia egiziana la diga di Assuan in costruzione dal 1960.
Rieccoci a Phoebe. Il mare la getta su una spiaggia di Rio De Janeiro, lei finisce in una buca e si ritrova a Brasilia nel negozio di un calzolaio sadico che fa scarpe per storpi e la costringe a indossare calzature da tortura. Costui vorrebbe ridurre alla misura di una noce i piedi della poverina, ma lì scopre un callo e, disgustato, la butta nel bidone della spazzatura. La trova uno spazzino marxista che, facendole percorrere una rotta segreta chiamata “vendemmia rossa” (percorso che cita il titolo di un romanzo di Dashiell Hammett e per varie tappe conduce da un allevamento di cincillà peruviano a un orto botanico di Addis Abeba), la invia in Albania nelle mani di un tiranno comunista.
Siamo a pag.71. Phoebe è nuda da pag. 15 e così resterà fino a pag. 100, al termine di una storia che procede in una esilarante cavalcata tra luoghi comuni del fumetto e del romanzo d’avventura, citazioni del gruppo 63 (un evidente divertimento del traduttore feltrinelliano), agenti segreti, ineffabili lesbiche, scarpine Ferragamo e abiti Courrèges. E non va tralasciato un intermezzo a Macao, che anticipa e irride nella scrittura e nel segno l’esotismo nostalgico alla Pratt, nel 1965 ancora di là da venire (qui, come sarà in Pratt, il riferimento è evidentemente a Milton Caniff).
Phoebe resusciterà infine in un party ad Anversa, popolato da ospiti che si chiamano (e ancora il traduttore si diverte) Gregotti, Gianni, Marella, Stavros, Soraya ecc. La storia si chiude felicemente col motto GIUSTIZIA E VERITA’ disegnato nei colori della bandiera americana.
Una stramba macchina letteraria
Eppure, di fronte a questa sequenza di fuochi d’artificio narrativo, quando i critici di fumetto parlano di Phoebe tendono a soffermarsi sulle sue nudità, sul ruolo di eroina sexy, sulle situazioni sado-maso in cui la ficcano O’Donoghue e Springer. Invece bisogna tornare allo zeitgeist, allo spirito del tempo, gli anni ’60. Il periodo più libero e creativo del Novecento in cui si incrociano James Bond, Serge Gainsbourg, John Cage, Jean-Luc Godard, Malcolm X, i Beatles, Thomas Pynchon, John Barth.
Proprio da questi ultimi e dalla narrazione postmoderna è bene partire, per comprendere che Le Avventure di Phoebe Zeit-geist è una strepitosa macchina letteraria, un esperimento quasi situazionista che fa deflagrare in un colpo solo fumetto e feuilleton, grazie anche al contributo dei lettori allo sviluppo della trama. Un’opera che ha più a che fare con Candy di Terry Southern e Mason Hoffenberg del 1958 e con Fantomas e i vampiri delle multinazionali di Julio Cortázar del 1975, che col fumetto sexy. E per trovare una decostruzione altrettanto compiuta dei rituali della narrazione a strisce, bisognerà attendere Il Garage Ermetico di Moebius del 1976.
Così Le Avventure di Phoebe Zeit-geist suona ancora oggi come una risata anarchica capace di far tremare l’edificio del fumetto: dalla palestra al piano terra dove si allenano i supereroi in crisi, alle soffitte in cui si rimirano l’ombelico i protagonisti della graphic novel. Un Hellzapoppin’ disegnato che incarna perfettamente lo spirito del ’68, e che da allora in Italia non è ripubblicato.
Gli autori
Michael O’Donoghue (1940 – 1994). Dopo la pubblicazione di Phoebe Zeit-geist, diventa uno dei principali collaboratori della rivista National Lampoon e del programma tv Saturday Night Live. Secondo una leggenda urbana la sua morte è legata alla “maledizione di Atuk”, che avrebbe colpito i partecipanti alla trasposizione cinematografica del romanzo L’incomparabile Atuk di Mordecai Richler (quello della Versione di Barney). Tra gli altri coinvolti nel progetto precocemente scomparsi, si possono citare John Belushi, Chris Farley, John Candy. Dopo il sesto decesso, il film è stato archiviato.
Frank Springer (1929 – 2009). Oltre che a Phoebe ha lavora a un’infinità di serie a fumetti ben più convenzionali, tra cui Terry e i pirati, Batman, Detective Comics, Nick Fury, Capitan Marvel, The Avengers, Capitan America, She-Hulk, Spider-Woman, Conan il barbaro, G.I. Joe, Transformers, Star Wars.
* Giancarlo Ascari, in arte Elfo, è autore, fra gli altri, dei graphic novel Love Stores (Coconino Press, 2005) e Sarà una bella società (Garzanti, 2012). Il suo Tutta colpa del ’68, è in uscita in allegato alle edizioni milanesi di Repubblica domani, 19 maggio.