Assieme a God Country, Redneck, The Ghost Fleet, The Payback e Buzzkill, Babyteeth rappresenta uno dei titoli che hanno permesso allo sceneggiatore Donny Cates di passare da esordiente delle leghe minori a giocatore di serie A in soli tre anni di scrittura professionistica. Un risultato quasi scontato, se si considera che in un lasso di tempo così breve il Nostro è riuscito a piazzare qualcosa come sei proposte di serie o miniserie tra tutte le principali etichette indipendenti del mercato statunitense.
Se per la maggior parte delle sue idee si sono smosse istituzioni come Image Comics e Dark Horse, per questo titolo dedicato alla nascita di un piccolo anticristo ecco farsi avanti Aftershock. Una giovane realtà editoriale in cerca di una rapida affermazione, che nel giro di un paio d’anni è stata capace di attirare nomi affermati come Paul Jenkins, Mark Waid e Garth Ennis e al contempo di investire su talenti emergenti come quello di Cates. Purtroppo, però, con Babyteeth le cose non sono andate bene come ci si sarebbe aspettato, soprattutto dopo aver letto altri lavori ben più convincenti dello sceneggiatore.
Se in altri titoli a sua firma una certa dose di azione tradizionale sopperiva l’inesperienza in fase di sceneggiatura, qui le cose paiono complicarsi un poco. Al centro di tutta la serie troviamo una giovane ragazza che partorisce un sedicente anticristo, con tutte le complicazioni derivanti da una situazione così straordinaria.
Il giochetto di Cates è abbastanza scontato: rileggere in chiave soprannaturale e ancora più esasperata un evento come la maternità di un’adolescente, in grado già di per sé di portare scompiglio in tante famiglie. Un’eventualità con un richiamo di pubblico enorme, visto che negli anni scorsi c’è anche chi ha costruito su questo tema un programma televisivo di grande successo.
Qui, per avere il quadro completo, aggiungete alla lista degli ingredienti anche la mamma scomparsa, il padre costretto a lunghe trasferte lavorative e la sorellona borderline. Il tutto immerso in un contesto narrativo che lancia di continuo nuovi elementi sul piatto – organizzazioni segrete, rozzi sicari, demoni piovuti dal cielo – in una sorta di horror vacui che non permette a nessuna di queste idee di assumere un giusto peso.
I meccanismi narrativi paiono ingolfarsi e le pagine girano a vuoto, nel continuo tentativo di voler creare sempre più aspettative. Un gioco rischioso che di tanto in tanto richiede anche qualche contentino al lettore. Cosa che invece qui non succede mai, e ogni evento significativo viene risolto in qualche vignetta a effetto, con la fretta di dare in pasto al lettore elementi ancora più assurdi.
Donny Cates pare ossessionato dall’idea di creare una sorta di enorme teaser per qualcosa che arriverà più avanti, ma la situazione gli sfugge di mano e le cose non cambiano di una virgola nelle 144 pagine di questo volume. Mi rendo conto che nel progettare una serie basata sulla decompressione il primo trade paperback possa essere considerato come introduttivo all’universo narrativo, ma bisogna anche tenere bene in mente come in uno spazio simile c’è chi riesce a scrivere storie memorabili. O quantomeno a dare un senso compiuto a un arco narrativo che un minimo di compattezza interna dovrebbe averla per definizione.
Qui Cates pare giocare al Robert Kirkman di turno, dimenticandosi di come perfino lo sceneggiatore di The Walking Dead stia rischiando molto con la sua mania di tirarla per le lunghe in Outcast. Se Kirkman non avesse la mega-hit zombi alle spalle, dubito che il ritmo della serie a base di esorcismi gli sarebbe stato perdonato (anche da noi). Senza contare che nel suo carniere di autore di successo Kirkman può vantare l’esperienza di oltre 170 numeri di The Walking Dead e di ben 144 di Invincible. Che piaccia o meno, non si tratta proprio dell’ultimo arrivato.
Alle matite di Babyteeth troviamo Garry Brown, talentuoso ma ancora acerbo. Abbiamo imparato a conoscere il suo tratto ruvido e muscolare sulla serie Black Road scritta da Brian Wood, dove si trovava decisamente più a suo agio, mentre su queste pagine non riesce a essere convincente come ci si aspetterebbe. Anche a costo di dare l’impressione di quelli che si accaniscono, il problema non è suo. Quando gli si dà la possibilità di disegnare lui si dimostra pienamente all’altezza, vedi la creazione grafica del demone procione o qualche scena più concitata.
Le magagne arrivano quando si tratta di riempire pagine e pagine di parole. Allora tutte le sue incertezze vengono a galla, soprattutto in una questione delicata e complicatissima come la gestione della recitazione dei personaggi. Molto meglio vederlo alle prese con vichinghi pronti a spaccare qualche testa su Black Road o aspettare ancora qualche numero per farsi un’idea di come se la possa cavare sulla nuova serie Crude, scritta da Steve Orlando.
Perlomeno, il suo tratto materico e sempre corposo risulta adatto al tono cupo della serie, così come le sue anatomie spigolose danno carattere a personaggi – il padre o la sorella, per esempio – che anche in fase di scrittura risultano scolpiti nella roccia. Peccato che la protagonista della serie sia una sedicenne sul punto di una crisi di nervi, non un ex-marine pronto a tutto pur di difendere la sua famiglia.
Questa è l’ennesima dimostrazione di come Babyteeth per ora si confermi una serie piuttosto traballante, dove l’indubbio talento di chi ci ha lavorato viene soffocato da un’idea di fondo che avrebbe necessitato di ben altre strategie per essere sviluppata. Magari ci sbagliamo e dal prossimo volume Cates ribalterà completamente la situazione dimostrandoci quanto siamo nel torto, ma per ora l’interesse non riesce davvero a essere tenuto vivo.
Babyteeth vol. 1
di Donny Cates e Garry Brown
traduzione di Stefano Formiconi
saldaPress, maggio 2018
brossura, 144 pp., colore
14,90 €