Ángel de la Calle è l’autore spagnolo che alcuni anni fa ha raccontato a fumetti la vita e l’arte di Tina Modotti, fotografa e attivista nata in Italia e attiva in Messico nella prima metà del Novecento. Raccontare vite e Storia quando queste si intrecciano con arte e politica si conferma un proposito imprescindibile per l’autore. Dopo Modotti, il nuovo suo lavoro lungo narra di nuovo un incontro tra Sud America ed Europa, stavolta nella seconda metà del secolo scorso.
Ritratti di guerra è un personalissimo affresco della Parigi di inizio anni Ottanta. Nel suo racconto, de la Calle piega la città alle sue necessità narrative, fondendo e tradendo autobiografia, resoconto storico e digressioni politiche, artistiche, e filosofiche.
Il protagonista è l’autore stesso, ma si fa in fretta a capire che in realtà lui si sta soltanto prestando come attore di una messa in scena più grande di quella che è la sua reale esperienza. In una Parigi di artisti e attivisti, dove le figure si confondono – ed è inevitabile, sembra suggerire de la Calle – il protagonista non è un vero protagonista, è osservatore e relatore. Si trova in città per passarvi un anno ed effettuare delle ricerche sull’attrice Jean Seberg, star di hollywoodiana e regina della Nouvelle Vague, nonché attivista scomparsa in circostanze misteriose.
Ed è sui misteri che avvolgono l’attrice che lo scrittore protagonista (sì, perché in queste pagine è scrittore, non fumettista) cerca di indagare, raccogliendo documenti e testimonianze anche di personaggi illustri. Sono frequenti infatti incontri fittizi con personaggi come il filosofo francese Guy Debord. In un contesto comune, artisti ed intellettuali realmente esistiti si confondono ad altri immaginari, mentre vengono citati, al pari di nomi assai più noti al grande pubblico, anche Lorenzo Mattotti o Jacques Loustal, per mettere in atto una credibilità di base, un humus culturale non solo alto ma stratificato.
Il de la Calle in visita a Parigi è un giovane un po’ sprovveduto, che si trova dentro a un meccanismo culturale e politico più grande di lui, e da esso viene attraversato e travolto. L’autore usa sì il proprio nome e probabilmente alcune esperienze personali, ma fa di sé una figura che si pone in disparte rispetto alla storia, forse addirittura più ignaro rispetto a come sarebbe stato davvero alla stessa età e nello stesso luogo dell’alter ego narrativo. Nonostante un incipit piuttosto divertente, che lo vede protagonista, appare presto evidente come lui sia intenzionalmente soltanto un device narrativo e come non sia di certo il biografismo – né tantomeno il giornalismo a fumetti – lo scopo del racconto.
Di seguito, la sequenza iniziale del fumetto.
Nel suo lungo romanzo a fumetti de la Calle, seppur a fronte di una personale ricerca storico-filosofica, predilige la narrazione di genere alla ricostruzione storica. I suoi personaggi reali sono piegati a esigenze narrative e la riflessione portata avanti dall’autore si dipana tra misteri reali e thriller di finzione. Alla fine dei conti, il suo intento è inoltre meta-testuale: il ragionamento sul ruolo dell’arte nella storia si insinua in ogni risvolto della trama. Sembra quasi non riuscire a mantenere una trama del tutto chiara, sembra non interessargli del tutto, perché senza timore di esuberare con i ragionamenti – e quindi i blocchi di testo – il suo libro diventa quasi un manifesto. Un manifesto non gridato, magari frammentario, perché a cavallo tra narrazione e riflessione pura. De la Calle vuol vedere e riconoscere come l’arte si insinua in ogni risvolto della Storia, magari senza efficacia definitiva, ma con urgenza di certo.
Seppur non senza un lungo filo di rassegnazione e negatività, de la Calle crede fortemente nell’impegno sociale dell’artista e non si tira indietro dal mostrare le scene più crude per raccontare quanto sia facile, anche durante la ricerca del bello, trovarsi di fronte alle più aspre barbarie. Per quanto le convinzioni del personaggio non facciano che vacillare, le condizioni dei suoi comprimari si facciano sempre più incerte e la visione dell’autore si dimostri aperta a una costante riflessione in corso d’opera, il disegno – possibilmente ispirato alle tecniche dell’incisione – è sempre granitico e forte. Ricorda la tradizione politica del wordless novel, anche se qui di parole non ne vengono affatto risparmiate. Ritratti di guerra è infatti una lettura densa, che mette alla prova con i rimandi più disparati, invitando il lettore all’approfondimento, alle verifiche storiche e alla riflessione.
Ritratti di guerra
di Ángel de la Calle
traduzione di A. Di Nobile, D. Aliberti, P. L. Gorla
001 Edizioni, 2017
295 pp in b&n, € 26,00