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“Quimby the Mouse”. Memorie di traduzione

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di Leonardo Rizzi*

Chris Ware mi riempie di ammirazione e di paura. È la metà degli anni Novanta e i pacchi di fumetti che arrivano dagli Stati Uniti, quando contengono la sua rivista Acme Novelty Library, sono spesso molto più grandi del normale. Ogni tre mesi quella pubblicazione dalle dimensioni irregolari e sorprendenti è sempre l’oggetto più meraviglioso che esca dal cartone, come fosse un frattale che non si finisce mai di scoprire. Ogni tavola è tanto piena di elementi da darmi la sensazione che sia necessario stare fermo, sprofondare in poltrona, con una concentrazione che non mi sembra di avere. È un po’ spaventosa questa sensazione, la promessa di una lettura misteriosa di cui magari non sarò all’altezza.

Chris Ware
Chris Ware

Certo, non succede con tutti i numeri di Acme Novelty Library. Gli albi piccoli, quelli che contengono il serial di Jimmy Corrigan, le splendide avventure di Rusty Brown e quello che è uno dei racconti di fantascienza più belli che abbia mai letto, sono maneggevoli. Invitano l’attenzione con il loro numero limitato di elementi. Invece, Dio, le tavole di Quimby the Mouse… le vedo e ne percepisco la genialità, ma il senso complessivo di quello che vogliono dire e fare continua a sfuggirmi. Allora, faccio quello che devo fare. Con la voce piena di meraviglia le faccio ammirare ai miei amici, perché in maniera superficiale ne possano cogliere la genialità. Nessuno di noi si immerge davvero, profondamente, là dentro.

E poi, come sempre succede, passa il tempo.

Chris Ware diventa un monumento del fumetto contemporaneo. La sua creatività già matura e splendente in quelle pagine raggiunge l’Olimpo. Qualcuno lo definisce “Il maggior fumettista contemporaneo”. Come dargli torto, se guardo la sua coerenza, il suo continuo senso di invenzione, la sua capacità di rivoluzionare il mezzo di comunicazione? Eppure il volume di Quimby resta sempre in un vecchio scaffale, rimpiazzato dalle novità del mese sulla scrivania.

quimby the mouse

Sono passati vent’anni e Igort decide di pubblicare il volume Quimby the Mouse per la sua neonata casa editrice Oblomov e me ne assegna la traduzione. Mi avvicino a Chris Ware con incoscienza, con il senso incauto che tutto si possa fare al mondo, quando lo spezzetti in frammenti piccoli. Ora ho la sensazione che la traduzione sia un’occasione di scoperta: la possibilità di entrare in un mondo e di poterlo vivere per tutto il tempo che merita, trovando emozioni insospettabili a una lettura superficiale.

Le prime pagine passano e ancora non so bene che cosa aspettarmi. Ware ha un senso dell’umorismo sottile e caustico che pervade ogni elemento del volume. Certo, questo è un compendio del materiale sperimentale che Ware ha realizzato durante gli anni del college. È un monumento alla finzione, con la sua capacità di falsificare strip degli anni Venti, cartoon del New Yorker, ninnoli e trovate, costumi editoriali, réclame e linguaggi desueti. Manca una vera e propria unità narrativa, ma è normale che sia così. Ogni settimana, Ware sperimenta con la creazione di un quotidiano che poteva essere di cent’anni fa, intingendolo di uno humour corrosivo e post-moderno, di una falsa modestia sincera e sarcastica al tempo stesso, e di quei suoi topolini sperimentali che vivono in un continuo teatro dell’assurdo.

quimby the mouse

L’unità del volume arriva un po’ alla volta. Mi rendo conto, con meraviglia, che queste impressioni sono una gigantesca opera di ricostruzione del passato; un’elegia dei ricordi dell’infanzia di Ware, del suo rapporto con la nonna, la prima a farlo innamorare della narrazione e a rendergli vivida l’esistenza. Affiorano alcuni scorci nuovi: l’ambientazione di una storiella di questo minuscolo topolino è la cucina di sua nonna; la biblioteca fa parte di quella sua casa meravigliosa dove i pomeriggi passavano dorati, dove regnava la sacralità delle abitudini di tutti i giorni.

In queste tavole, i piccoli ricordi che emergono sono incastonati nel tempo, resi immortali, insieme ai suoi tentativi maldestri di diventare adulto, all’incapacità di amare, di lasciare andare i luoghi magici dell’infanzia.

Tutto il volume di Quimby emerge in un’altra luce. La maestria compositiva è solo un piccolo elemento. Diventa un viaggio psicanalitico nelle memorie di Ware dolcissimo e ipnotico, in cui riscoprire momenti troppo preziosi per andare perduti. Mi rendo conto che il volume è pieno di sorprese e di umorismo da scoprire un po’ per volta, che si perdono a un esame superficiale.

quimby the mouse

E poi riconosco il pudore che Ware ha per i suoi sentimenti. Se ne vergogna, quasi, e non li vuole svelare davvero. Preferisci prenderli in giro. Eppure, al tempo stesso, li vuole celebrare. È questa tensione che produce le sue architetture di carta, le sue elaborate strategie per nascondere quello che prova. Uno degli esempi più folgoranti è un minuzioso diario di come Ware ha costruito un giocattolo/scultura per sua nonna. Descrive tutti i passaggi nei dettagli più minuti e, in apparenza, inutili; fornisce diagrammi e misure e istruzioni come se quella praticità fosse la cosa più importante del mondo. In realtà, il diario contiene, in filigrana, tra un paragrafo e l’altro, lo struggente resoconto degli ultimi giorni di vita della nonna. Un evento che lui cerca di rimuovere per non soffrire, come se le nostre piccole azioni quotidiane fossero l’unica cosa che conta.

Tutte quelle parole, quelle riflessioni, mi restano dentro. Il volume diventa la cosa più toccante che traduco da tanto, tanto tempo. Questo lungo poema grafico e calligrafico è un atto d’amore per i tempi dell’infanzia da cui è impossibile staccarsi. E quanto mancano quei tempi a noi amanti dei fumetti, con la nostra convinzione che il mondo può avere un senso grazie alle nostre storie.

quimby the mouse

Non riesco ad avvicinarmi alla traduzione senza commuovermi. La verità timida e affettuosa di quelle pagine diventa uno specchio della mia infanzia: riaffiorano gli anni passati dai miei nonni, con il nonno che mi raccontava storie di guerra in un’Africa che non potrà mai essere grande quanto nelle sue storie, mentre la nonna cucinava e mi accompagnava a scuola e dava calore anche ai mesi invernali, dove c’era un cesto pieno di fumetti Corno e Cenisio da ricalcare, pieni di luce.

Non so quanto la mia infanzia sia diversa dalla tua, che stai leggendo queste righe. Non credo che lo sia poi molto, non nei punti dove conta davvero. È l’unico luogo dove io e te non riusciamo più a tornare. Ma Chris Ware ci prende per mano e ce lo restituisce ancora per tutto il tempo che vogliamo, se lo sappiamo cercare in queste sue pagine.


*Leonardo Rizzi ha tradotto in italiano Alan Moore (Watchmen, V for Vendetta, La lega degli straordinari gentlemen, La voce del fuoco, Promethea, Providence), Neil Gaiman (Sandman), Frank Miller (300, Batman: Anno Uno, DKIII, Ronin), Jaime e Gilbert Hernandez (Love and Rockets), Grant Morrison (Batman, Animal Man), Chris Ware (Quimby the Mouse), Warren Ellis (Transmetropolitan), Garth Ennis (War Stories), Scott McCloud (Capire il fumetto) e molti altri autori. Tra le sue collaborazioni: Oblomov Edizioni, Panini Comics, Mondadori, RW Lion, Magic Press, saldaPress e Planeta De Agostini.

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