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Tamer, o la natura dipinta come non l’avete mai vista

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di Fabian Negrin*

Sono un disegnatore, un illustratore di libri per l’infanzia, non un critico d’arte. La mostra in questione, però, è la mostra più bella che io abbia visto negli ultimi anni, un insieme di immagini che mi ha obbligato ha scriverne. Fumettologica, poi, è un sito sul fumetto, non sull’arte, eppure ci sono infiniti punti di contatto fra le immagini dell’Alto e del Basso, fra le persone che disegnano supereroi e quelle che affrescavano i muri e i soffitti delle chiese, fra i tatuaggi degli avambracci di Popeye e gli ex-voto, fra Tiepolo e Little Nemo. Dunque, anche se in ambiti diversi, disegnatori e lettori di fumetti potrebbero (dovrebbero) essere interessati alla mostra di Marzio Tamer.

Forse possiamo riconoscere la vera pittura dal fatto che le riproduzioni – nei cataloghi, nel web – non ci preparano minimamente all’esperienza di trovarci coi nostri occhi davanti ad essa. Un’esperienza visiva che la materia pittorica fa diventare spirituale, mistica, sconvolgente, proprio attraverso le sue caratteristiche più specifiche – lievissimi tocchi di pennello, velature appena percettibili – che rendono l’opera essenzialmente irriproducibile (con buona pace di Walter Benjamin, che forse in realtà ci parlava del fatto che la vera pittura già allora cominciava a scarseggiare…).

Entrare dunque al Museo di Storia Naturale di Milano per vedere la mostra di Marzio Tamer, per chi non avesse già visto opere sue e per chi avrà occhi per vedere, è andare incontro a un’autentica sorpresa. Passeggiando per le tre sale (a cura di Stefano Zuffi e Lorenza Salamon) occupate da acquerelli e tempere all’uovo su tele di piccolo e grande formato raffiguranti Lupi, Animali, Paesaggi, si ha l’impressione di assistere a un rito antico dove i materiali pittorici sono stati utilizzati con tale dedizione e sapienza da far comparire, davanti a noi, delle vere presenze, vegetali, animali e minerali che vediamo, finalmente, come per la prima volta.

I Lupi e gli Animali (uccelli, cervi, elefanti, rinoceronti) sono rappresentati su sfondi neutri e omogenei, ‘in posa’ potremmo dire, immobili, come le dame e i gentiluomini ritratti dai pittori del Rinascimento e del Barocco. Così decontestualizzati emergono come individui, degni di essere ritrattati in ogni loro piccolo particolare e sfumatura, con non diversa meticolosità da quella che, guardandosi allo specchio, Rembrandt usava per i propri autoritratti.

Questa descrizione minuziosa di luci, ombre, pellicce, piumaggi, rughe, venature, questa resa maniacale di un tetto di ferro, di un muretto a secco – la rappresentazione assolutamente virtuosistica dell’acqua che scorre! – ci porta pian piano ad avvicinare gli occhi ai dipinti quasi fino a sbatterci il naso per vedere fin dove si può continuare a percepire dettagli. (Non è inutile portarsi una lente.)

A distanza ravvicinata, scopriamo una galassia infinita di tratteggi, punti e macchie di pittura che sono gli elementi che fisicamente costituiscono le immagini, una distanza dove i peli del lupo smettono di essere peli per diventare pura astrazione, microcosmo o appunto galassie. Quando poi lo spettatore si ri-allontana l’immagine ridiventa lupo. Una ricerca metafisica sicuramente, enfatizzata dall’immobilità delle posizioni con cui gli animali sono stati ‘catturati’, e dai grandi spazi, apparentemente vuoti ma in realtà pieni di sottigliezze, che spesso incombono misteriosi sopra e ai lati degli animali, e nei quali (soprattutto negli sfondi chiari) gli animali sembrano sciogliersi.

Nei paesaggi, spesso composti attorno a una diagonale che struttura il dipinto (una fila di abbeveratoi, la pendenza di una collina, un canale di irrigazione) raramente troviamo una luce diretta. Di solito è filtrata dalle nuvole, da un fantasmatico cielo bianco, quasi bianco, quasi grigio che aleggia sopra la terra, e nel quale prati, alberi e sassi finiscono per scomparire, come se prima o poi tutto dovesse diventare cielo.

Nei titoli si menzionano Volaia, Asciano, Tormo, luoghi diversi dell’Italia, ma non si direbbe che l’intenzione dell’artista sia la rappresentazione del suo paese, bensì ritrarre quello specifico albero, quel masso, quel particolare rapporto fra masse scure che racchiudono una zona luminosa che troviamo molto spesso nei paesaggi di Tamer. Pure la stagione e il momento del giorno sono affrontati in modo tangenziale, l’inverno verrebbe da dire, ma non perché ci sia la neve bensì per la luce rarefatta e fredda che avvolge i soggetti. Anche se, a ben vedere, potrebbe trattarsi della particolare luce di quei giorni uggiosi non rari a Milano (la città dove Tamer abita) in qualunque momento dell’anno.

C’è su tutto, sia negli animali che nel paesaggio, un intenso esercizio di sottrazione. Pochissime, nel dipinto, sono le cose da rappresentare, un lavoro di pulizia minimalista si direbbe, durato anni a giudicare dai pochi più vecchi dipinti in mostra fatti con l’acrilico. Ora, come i pittori di altri tempi, il Nostro prepara da sé i colori e le superfici delle tavole. Come se già questo fosse il vero e proprio inizio dell’atto di dipingere?

Visitando la mostra certamente potrà venire in mente il sommo pittore americano Andrew Wyeth, la ricerca di Marzio Tamer, però, è autonoma e personale, e, caso mai, si immerge in un fiume carsico della pittura del Novecento dove nuota non solo Wyeth, ma anche Lucian Freud, Edwar Hopper, Felix Nussbaum, Balthus e tutti quelli che felicemente hanno continuato a dipingere lontani dalle più chiassose avanguardie.

Marzio Tamer. Pittore di Natura
Dal 5 novembre 2017 al 7 gennaio 2018.
Museo di Storia Naturale di Milano, Corso Venezia 55, Milano.
Ingresso gratuito.

*Fabian Negrin è uno dei principali illustratori attivi in Italia, vincitore dei premi Andersen (2000) e Lo Straniero (2005). 

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