Peter Kuper è arrivato a Genova per un incontro presso la fumetteria Comics Corner, in un pomeriggio domenicale che ha preceduto la sua presenza a Lucca Comics and Games 2017. «Non ero mai stato a Genova», mi dice. «Io e mia moglie abbiamo visto il Porto Antico, ma quello che ci è piaciuto di più sono i vicoli».
Durante la passeggiata che precede l’intervista parliamo di tutto, di Italia, di New York, di Gipi, di Manuele Fior e di Daniel Clowes. Incontro sua moglie e noto subito una spilla anti-Trump appuntata sulla giacca. Capisco che non sarà un’intervista incentrata unicamente sul fumetto, anche in virtù del fatto che Peter insegna a Harvard materie che si distanziano dalla Nona Arte.
Kuper ha di recente vinto un premio Eisner per il miglior graphic novel con Rovine, edito in Italia da Tunué, ed è da questo suo ultimo lavoro che parte la nostra chiacchierata.
In Rovine mi ha stupito l’idea che il viaggio in qualche modo abbia un ruolo fondamentale nella crescita e nell’evoluzione dei personaggi. Vale per i protagonisti ma anche per la farfalla. Per te cosa rappresenta il viaggio e come lo vivi in veste di autore o di persona?
Credo che il viaggio abbia un’influenza su quello che faccio perché mi permette di non preoccuparmi di avere un lavoro. Mi permette inoltre di disegnare qualsiasi cosa si presenti di fronte a me: mi faccio ispirare dall’ambiente circostante o dalle architetture o da altre espressioni artistiche in giro per il mondo. Mi ritrovo al di fuori dei soliti luoghi a cui sono abituato.
Per me viaggiare è un po’ come risvegliarmi, riesco a cogliere maggiori dettagli. Ho vissuto in Messico per due anni ed è stato un po’ come essere un turista. In realtà è qualcosa che provo anche a New York: nonostante io viva lì da anni, continuo a provare questa sensazione. Credo che abbia a che vedere in particolare con New York, che riesce a sorprendermi costantemente.
Mi piace l’idea che il viaggio, per i personaggi di Rovine, comporti una fascinazione visiva, mentre per la farfalla il discorso è più particolare: è così fragile eppure riesce a compiere questo viaggio incredibile per cercare di sopravvivere a tutti i costi.
Rovine mescola una dimensione privata ed esistenziale e una dimensione politica e sociale. Quanto sono importanti per te questi due aspetti?
Be’, il privato è politico, quindi… Quello che succede nel mondo degli insetti ha un significato sociale, basti pensare a come si organizzano le formiche per resistere alle minacce portate alla loro stessa esistenza. L’aspetto politico è escluso dal mondo naturale, anzi è qualcosa di innaturale, ma l’ecosistema ha sempre qualche retroscena di stampo sociale.
Non capita spesso di poterlo chiedere: come ci si sente ad aver vinto un Eisner? E quanto cambia la carriera o la vita di un autore?
Quando l’ho saputo sono rimasto di sasso, perché è un grande riconoscimento a quello che ho fatto finora. Qualunque cosa possa aiutarmi a far arrivare il mio messaggio e il mio lavoro al più vasto pubblico possibile lo considero grandioso. Ma credo che la conseguenza più importante riguardi gli editori. Ci ho impiegato cinque anni per poter pubblicare Rovine, dopo averne presentato la sinossi a diversi editori. Era il periodo della crisi economica, e molti editori non capivano quello che volevo fare. Era qualcosa di diverso e al tempo stesso si ispirava ad altro.
Quindi questo riconoscimento mi sta aiutando di più per i libri futuri, che non incontreranno le difficoltà di Rovine. La mia attuale agente, che è la stessa di Robert Crumb, un’agente letteraria fenomenale, è riuscita a chiudere due contratti con due grandi editori. Quindi è ovvio che l’Eisner abbia avuto conseguenze su tutto il mio lavoro.
Dove pensi che stia andando il fumetto contemporaneo?
In una direzione importante. Idee sempre più interessanti vengono fuori da autori altrettanto interessanti. Al fumetto arrivano sempre più autori provenienti da esperienze diversi. Io insegno fumetto ma anche altre materie sociali ed economiche. Incoraggio i miei studenti a mescolare differenti materie, perché il futuro del fumetto è lì.
Il tuo lavoro nasce da un contesto underground. Quanto è importante, oggi, l’underground nel mondo del fumetto?
Per la mia generazione è stato importantissimo. Mad Magazine ha avuto una grande influenza sugli autori della mia generazione, da un punto di vista formale ma anche sostanziale. Trovo ancora fresco tutto il fumetto underground di quei tempi, e attualmente è ancora una grande risorsa, per me.
Sin dall’inizio della tua carriera l’urgenza politica è stata fondamentale. In particolare negli anni Ottanta durante la presidenza Reagan. Oggi non c’è Nixon, non c’è Reagan, non c’è Bush, ma c’è Trump. Cosa significa per un autore di fumetti? E soprattutto: può il fumetto avere un ruolo di coscienza politica collettiva, un po’ come la musica negli anni Settanta?
Il mio interesse principale è la politica. La rivista che curo, World War III, è antifascista e quindi è anti-Trump, che è una forma di fascismo moderno. Ho vissuto l’era di Reagan, di Bush padre e figlio, di Trump. Quello che mi è interessa è lasciare una sorta di documento che attesti che in questo periodo storico c’è chi non è d’accordo con tutto questo. Noi abbiamo visto arrivare ciò che sta succedendo, lo abbiamo visto arrivare in diversi modi, ma sono ottimista: secondo me l’arte potrà avere una grande influenza, così come l’ha avuta su di me.
A questo proposito, in un periodo in cui si tende ad alzare muri e a rafforzare i confini tu ci racconti di una rinascita attraverso la scoperta di una cultura e un paese diversi dai propri.
In Messico ho visto una dimensione storica che negli Stati Uniti non abbiamo. In Messico ci sono stati dei veri e propri imperi, e camminare per le sue strade ti fa provare la sensazione di avere intorno a te la Storia e che qualcosa di enorme è esistito in quei luoghi.
La super-potenza statunitense è in declino, ed è per questo che Trump ha avuto un così forte appoggio, perché è la voce di un impero morente. Conoscere altre culture, avere dei contatti con altri paesi è fondamentale, perché il pianeta è uno solo e alzare muri è un’assurdità dettata dal desiderio di isolamento.
Nel 1990 con The Wall, sulla rivista Heavy Metal, avevi in qualche modo predetto la salita al potere di Trump. Può l’arte avere una funzione di pressione sulla realtà e sugli eventi storici? Arte e realtà possono influenzarsi a vicenda?
Be’, la fantascienza lo sta fa già da molto tempo. L’immaginazione che la fantascienza ha creato ha spinto molti scienziati a lavorare su cose impensabili, il che, a volte, implica scenari distopici. Pensa ai robot, ne parliamo da tantissimo tempo, dagli anni Trenta, e ora siamo vicini al momento in cui i robot cammineranno in mezzo alla strada con noi. Quindi sì, credo che arte e realtà si possano influenzare a vicenda. Pensa a L’implacabile [film del 1987 diretto da Paul Michael Glaser e tratto da un romanzo di Stephen King, Ndr], non siamo molto distanti da quel mondo.
O da quello di Essi vivono di John Carpenter.
Esatto! Solo che non abbiamo bisogno di occhiali, in questo momento.