Un Balloon Quote anomalo quello che riguarda la vignetta finale del manga Ashita no Joe (letteralmente “Joe di domani”), arrivato in Italia con il titolo di Rocky Joe. Anomalo perché, di fatto, la vignetta non ha alcun balloon. Ma il punto è proprio, paradossalmente, questo: uno dei momenti più importanti della storia del fumetto giapponese è stato segnato da una vignetta priva di balloon.
Il 13 maggio del 1973 compariva su Weekly Shonen Magazine l’ultimo episodio di questa serie amatissima, simbolo di un’intera generazione di ribelli e dell’epoca delle rivolte studentesche, che si rifletteva anche nei fumetti sportivi di allora, impregnati di ardore, nichilismo e grande senso del sacrificio. Disegnato da Tetsuya Chiba e scritto da Asao Takamori (lo stesso autore – con lo pseudonimo di Ikki Kajiwara – di Tommy la stella dei Giants e dell’Uomo Tigre, ugualmente imperniati sullo sport e il senso del dovere), pubblicato tra il ’68 e il ’73, il manga è il romanzo di formazione – nichilista e autodistruttivo – del pugile Joe Yabuki. Un ragazzo che dai bassifondi arriva a sfidare il campione del mondo, in una saga lunga venti volumi, cioè circa quattromila tavole a fumetti.
In anni in cui i giovani di tutto il mondo manifestavano e occupavano le università, Joe incarna le frustrazioni dei giovani giapponesi, storicamente non molto inclini alla disobbedienza. Il manga divenne la bandiera di una generazione, che alla morte di Rikishi, eterno rivale del protagonista e altrettanto amato dai lettori, organizzò la messa in scena di un vero e proprio funerale.
Nel 1970 va in onda il cartone animato e, nello stesso, anno un gruppo di nove terroristi dell’Armata Rossa Giapponese fugge in Corea del Nord dirottando un volo nazionale della Japan Airlines (il primo dirottamento della storia del Giappone). Al momento della partenza, il gruppo proclamerà: «Noi siamo Ashita no Joe!», rendendo evidente quanto l’eroe del manga fosse divenuto un modello da imitare.
Tutti, perlomeno in patria, sanno come finisce la storia. Joe rimane traumatizzato dalla morte del suo rivale e precipita in una spirale decadente che solo dopo molto tempo lo porta di nuovo sul ring. Affronta avversari sempre più forti, annullandosi completamente, finché sfida il campione del mondo sapendo di non poterlo battere. L’incontro termina ai punti e Joe, sconfitto, muore seduto al suo angolo, con un sorriso di soddisfazione sul viso. Quello che voleva, fin dall’inizio della storia, era bruciare tutto, fino in fondo, fino a diventare “cenere bianchissima”.
La fine di Rocky Joe, con questa frase, insieme alla vignetta finale muta, è entrata da allora nella memoria collettiva giapponese, in cui Joe è ricordato come icona di sacrificio e cieca dedizione.