La prima volta in vita mia che ho letto la parola “Ragnarok” deve essere stato qui oppure qui. Ringrazio Dio di non essere un ragazzino di oggi e di non averla scoperta grazie al terzo film di Thor: sulla mia giovane mente avrebbe esercitato meno fascino di un fumetto con paperi parlanti o di un videogioco RTS pixelloso.
Inizio spoiler
Thor: Ragnarok parte da dove si era rimasti dopo Thor: The Dark World e Avengers: Age of Ultron. Thor ha lasciato la Terra per vagare per l’universo alla ricerca della minaccia che incombe sul regno degli dei; pensa di averla identificata nel pericolosissimo demone Surtur, che sconfigge in scioltezza. Tornato a casa, trova Loki che governa Asgard spacciandosi per Odino. Lo smaschera e insieme vanno a recuperare il padre dall’esilio, giusto in tempo per assistere alla sua morte.
La sua morte libera Hela, dea della morte e figlia primogenita di Odino, da lui rinchiusa secoli prima. Asgard le appartiene, sostiene, e torna per governarla, mentre Thor e Loki finiscono su un mondo alieno governato da Jeff Goldblum, il primo a combattere da gladiatore in un’arena, il secondo ad applaudire i combattenti. Thor incontrerà Hulk e una Valchiria, torneranno tutti insieme su Asgard, libereranno il popolo oppresso e sconfiggeranno Hela e Surtur. La trama è semplice, lineare, come in molti film di supereroi; possiamo accettarlo e passarci sopra.
Fine spoiler
Il problema principale di Thor: Ragnarok è che ogni aspetto sa di già visto. Le ambientazioni, la messa in scena, gli snodi di trama, l’uso delle musiche, i costumi, il design delle astronavi, le coreografie delle battaglie, tutto sembra provenire da altro. A conti fatti nel film non sembra esserci un’unica idea originale né una geniale rielaborazione di elementi noti. È piatto. Non è un film orrendo, intendiamoci. Con quel budget, quella macchina produttiva, è (quasi) impossibile fare un film inguardabile. È tiepido. Inutile.
Il suo peccato principale, probabilmente, è il tentativo di staccarsi dall’immaginario epico di Thor e da quel poco di shakespeariano che Kenneth Branagh aveva messo nel primo film. È già evidente nella locandina e nel logo l’applicazione posticcia di un immaginario e di un design simili a quelli dei Guardiani della Galassia su un personaggio che nulla ci azzecca.
(Fa male – e qui entra in gioco il true believer brontolone – pensare che avevano a disposizione un immaginario immenso kirbyano-simonsoniano e che non siano riusciti a sfruttarlo. Ad esempio queste armature ispirate al Re sono indossate da dei tizi sullo sfondo.)
È la tendenza sempre più presente – e sempre meno sopportabile – dei film del Marvel Cinamatic Universe, la “guardianidellagalassite”: si cerca di replicare la formula fortunata di James Gunn applicata a personaggi che non sono adatti, con registi non altrettanto talentuosi. Risultato: battute imbarazzanti, che non fanno ridere, e momenti comici dove non dovrebbero esserci. O, ancora, brani rock utilizzati in modo errato: confrontate ad esempio la scena di apertura di Guardiani della Galassia vol. 2 (la cosa migliore del film) con la battaglia sul Bifrost in Ragnarok, il modo in cui James Gunn utilizza al meglio gli Electric Light Orchestra mentre Taika Waititi spreca Immigrant Song dei Led Zeppelin.
Secondo problema: i trailer hanno sciupato tutti i colpi di scena più interessanti. Che senso ha che tutta la prima parte della permanenza di Thor sul pianeta alieno sia incentrata sull’attesa dello scontro con un Misterioso Campione se già dai trailer si sa che è Hulk? Che pathos può esserci se Banner dichiara che non diventerà mai più il Gigante di Giada ma nei trailer si è visto Hulk combattere contro un Surtur gigantesco, scena chiaramente alla fine del film?
In tutta onestà, due cose si salvano del film. La prima è il coraggio della produzione di eliminare un po’ di personaggi secondari. È vero, sarebbero probabilmente stati ingombranti o completamente inutili nei prossimi sovraffollati capitoli di Avengers, ma è anche un caso davvero raro nella telenovela Marvel, quella in cui nemmeno Phil Coulson può morire. La seconda è la scenetta – quella sì quasi shakespeariana – della recita ad Asgard con le guest star Matt Damon, Liam Hemsworth e Sam Neill. Ecco, quella è davvero divertente.
Thor: Ragnarok è dunque una delusione, un Crepuscolo degli Dei che non brucia le stelle ma che sembra di più zuppa riscaldata. Avete presente la pasta della zia, tanto buona la sera prima ma che quando riscaldate la schiscetta si rivela collosa, informe e insapore?