HomeFocusAffinità e divergenze tra Alan Moore e H.P. Lovecraft

Affinità e divergenze tra Alan Moore e H.P. Lovecraft

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Con il terzo volume di Providence si conclude la più che ventennale esplorazione e rivisitazione dell’universo lovecraftiano – finzionale e non – da parte di Alan Moore. Dei due precedenti volumi dell’edizione italiana, che raccolgono i primi dodici albi di questa serie si è già parlato in due lunghi articoli (QUI e QUI), lungi però dall’essere esaustivi. Ma a questo punto è forse il caso di lasciare da parte un’analisi dettagliata dei rimandi fra questa opera e il corpus lovecraftiano e spendere invece qualche parola in più circa il rapporto fra i due autori. Chi vorrà invece proseguire in un’analisi certosina, quale quella che si è tentata di fare fin qui, troverà, ne siamo certi, sufficienti spunti e importanti fonti bibliografiche nei precedenti articoli.

Una sola, necessaria, precisazione che vale per in generale per tutti i volumi di Providence ma in particolare per questo terzo: sarà utile, per apprezzare a pieno il sorprendente finale, recuperare la lettura sia de Il cortile (racconto e fumetto) che di NeonomiconMoore, sempre validamente coadiuvato da Jacen Burrows ai disegni, affronta dunque il terzo e conclusivo atto prendendosi molti rischi ma riuscendo, diciamolo subito, ad annodare tutti i fili e incasellare tutti i frammenti dispersi nel corso della tessitura di un arazzo che parte dal racconto del 1995 Il cortile (successivamente anche adattato a fumetti dal fedele Anthony Johnston) e si conclude appunto con il volume in oggetto.

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Alan Moore

Come abbiamo visto in precedenza, il punto di vista dell’autore circa la poetica, l’ideologia e lo stile letterario di Lovecraft ha subito importanti evoluzioni, che si sono riflettute in Neonomicon e, in misura più evidente, in Providence. Anche se abbiamo speso più di qualche parola su questo cambio di prospettiva, vale la pena sentire l’opinione del diretto interessato. Nel 2016, infatti, quasi a testimoniare l’avvenuta pacificazione fra lo sceneggiatore inglese e il solitario del New England, Moore è stato chiamato dalla Folio Society a scrivere una nuova introduzione per la riedizione della lussuosa The Call of Cthulhu & Other Weird Stories.

In questo testo Moore individua almeno tre fasi della propria relazione con Lovecraft. Una prima in cui, adolescente, rifiutava totalmente la sua opera, sia per via delle posizioni xenofobe che vi venivano espresse, sia per le presunte manchevoli doti letterarie dell’autore. Un autore “sgraziato”, che si produceva in una prosa da “iperventilazione” e  satura di arcaismi. Opinioni, queste, che Moore mutuava dai sui numi tutelari letterari.

In seguito, la sua considerazione si sarebbe fatta più morbida e sfumata:

Più tardi, al limitare dell’età adulta e forse più fiducioso nelle mie opinioni, ho riletto le sue storie e corretto la mia opinione attraverso un punto di vista più favorevole e condiscendente. Vedevo ormai Lovecraft come un talento selvaggio, uno il cui genio trasmetteva il proprio terribile senso di terrore cosmico al proprio pubblico nonostante le sue limitazioni letterarie.

Una sorta di talento istintivo, insomma. Un’immaginazione potente, un immaginario urgente e selvaggio purtroppo non servito da uno stile adeguato. Opinione questa, va specificata, sostenuta di fatto da molti degli “ammiratori” di Lovecraft, autore che, per via di una prosa non di facilissimo accesso, è molto più spesso citato di quanto non sia letto. È questa la fase della carriera del fumettista durante la quale viene scritto il racconto Il cortile.

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Lovecraft con la sua bibioteca

Moore non rinnega, come è possibile notare anche nei capitoli conclusivi di Providence, l’atteggiamento xenofobo di Lovecraft, ma lo contestualizza all’interno delle peculiari condizioni, culturali, geografiche e personali in cui lo scrittore americano si era trovato a vivere. Quello che però suscita in Moore il più acceso entusiasmo è proprio la lingua, lo stile letterario. La strabordante aggettivazione e gli arcaismi diventano, nella sua analisi, elementi di una strategia attenta a restituire ciò che in realtà è al di là dell’esprimibile.

Probabilmente è proprio questa volontà di “dire l’indicibile” (che nel fumetto si trasforma in una sfida ancora più ardua, per via della natura intrinsecamente visiva del medium) ad aver spinto il bardo di Northampton a imbarcarsi in un’impresa delicata se non propriamente rischiosa sotto molti punti di vista. Moore non è – e non ci dilungheremo qui sulle motivazioni della sua poetica – nuovo a riflessioni sulla natura del linguaggio e sulle interconnessioni persino mistiche di questo, sulla definizione di una propria identità personale e infine sulla capacità dello stesso non tanto di descrivere efficacemente ma di plasmare il mondo. E per trovare mondi nuovi, o per scalfire la superfice apparente del nostro, servono, naturalmente, linguaggi nuovi o arcani e dimenticati.

Non è strano, dunque, che Moore e Lovecraft, il quale continuamente ribadisce l’impossibilità di descrivere, persino per analogia, ciò che è completamente e spesso letteralmente alieno (ad esempio in The Colour Out of Space, 1928), abbiano trovato un così profondo punto di incontro.

Ed è proprio in questa “indicibilità” che Moore rileva con tanta precisione in Providence. Un’indicibilità che ha come inevitabile correlato la totale mancanza di comprensione e che porta inevitabilmente a fatali conseguenze. Moore, servendosi delle parole del protagonista Robert Black, individua proprio in questa catena – che ha come primo anello l’impossibilità di descrivere e quindi comprendere alcuni fenomeni o manifestazioni – la principale differenza fra l’opera di Lovecraft e quella della maggior parte dei suoi coevi colleghi autori di narrativa fantascientifica e orrorifica.

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La copertina del terzo e ultimo volume di Providence

Dal diario di Robert Black: «Rileggendo i paragrafi che ho appena scritto, mi rendo conto di dover prendere la decisione se Jonathan [personaggio del futuro primo romanzo di Black, Ndr] debba morire o sconfiggere queste “orribili conseguenze” al termine del romanzo. Lo ammetto, sono più incline alla prima possibilità, anche se questo significherebbe l’eliminazione di un personaggio al quale, ne sono sicuro, a quel punto mi sarò già affezionato. Ritengo però che un finale in cui la minaccia viene tranquillamente sconfitta, come il Dracula di Stoker, sdrammatizzerebbe e sminuirebbe tutto l’opprimente senso di terrore che l’autore ha fatto tanto per amplificare. In base a come penso debba essere un vero terrore soprannaturale, gli esseri umani non dovrebbero avere la benché minima possibilità neanche solo di comprendere con che cosa hanno a che fare, figuriamoci sconfiggerlo usando caratteristiche stereotipate come la forza d’animo e la perseveranza. E, per quanto io possa risultare ingeneroso nei confronti di Dracula, spero di evitare l’uso di talismani o l’introduzione di debolezze forzate nel mio antagonista (o antagonisti?) da tirare fuori dal cilindro all’ultimissimo momento, in modo da raggiungere un lieto fine».

Moore conclude la sua introduzione per The Call of Cthulhu & Other Weird Stories rivolgendosi ai lettori:

La prospettiva di quasi un centinaio di anni svela H.P. Lovecraft come uno degli scrittori sperimentali più radicali del ventesimo secolo, nonostante fosse travestito da tradizionalista, nonché uno dei pensatori più spaventosamente originali e lungimiranti. Il fardello infettivo della sua prosa delirante e le sue idee allucinanti evocano nelle persone suscettibili un’estasi crescente di trepidazione, come una certa varietà di assenzio che non può essere riprodotta e che non è più in commercio. Sia che siate nuovi al profeta paranoico di Providence o che siate in uno stadio di conoscenza più avanzata per cui sentite di poterlo comprendere, mettete da parte i vostri preconcetti e immergetevi in un autore più insidioso e più magnificentemente visionario di quanto potreste aspettarvi. Invidio i vostri squisiti incubi.

E chi scrive prova la stessa invidia per quei fortunati che potranno leggere con occhi vergini Providence. Buona lettura.

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