Paolo Parisi sembrava essere scomparso. Coltrane, edito da Black Velvet nel 2009 e ristampato da Coconino Press nel 2017, aveva rappresentato una piacevole eccezione al piattume derivante da lavori alimentari e creati su commissione e spesso privi di uno studio attento delle fonti. Parisi stupiva per la capacità di mettere in scena la vita del jazzista americano, giocando tanto con le fonti letterarie – tra cui Blue Trane. La vita e la musica di John Coltrane, fondamentale testo di Lewis Porter – quanto con quelle musicali, e creando un correlativo visivo dell’andamento progressivo della suite: un flusso di coscienza innervato in una struttura rigida e uniforme.
Leggi un po’ di pagine in anteprima di Blues for Lady Day
All’epoca, in un’intervista per il blog collettivo Conversazioni sul Fumetto, si esprimeva così al riguardo:
La scelta di A Love Supreme, 1964, non è casuale. […] Immediatamente ho pensato a 4 parti = 4 capitoli da quali partire per sviluppare un discorso “sonoro” su Trane, la sua vita, il suo iter artistico…L’immagine quindi diventa predominante per creare, modificare, evocare un immaginario che nell’istante stesso in cui è rappresentato è vero, reale, tangibile, sonoro. Da qui la scelta di usare le foto come parte integrante di quel mondo dei jazz club, delle session di registrazione, delle copertine degli LP e dei relativi interni o booklet… c’è un parallelo tra geometrie e una sorta di stream of consciousness. L’idea che l’improvvisazione sia un metodo necessariamente “casuale”… è diffusa. In realtà…è possibile “improvvisare” solo se hai un pieno controllo di cosa stai facendo. Il controllo del mezzo crea geometria, l’uso “improvvisato” ne crea frazionamento, rottura, salti, montaggio sincopato.
È lo stesso beat sincopato che caratterizza la sua ultima opera, una nuova biografia “musicale” ispirata alla vita di Billie Holiday, la leggendaria Lady Day. Sampayo e Muñoz avevano già dedicato una biografia a fumetti alla voce di Billie, una specie di commiato funebre immaginato da un giornalista a totale digiuno: una rapsodia in nero delle vicende umane che ben si levaga al segno del fumettista argentino. Parisi sceglie ancora una volta una struttura più rigida, ma al contempo piena di groove, in leggero ritardo sul beat, libera, sincopata.
L’utilizzo di alcune delle canzoni più belle della regina del blues permette di parlare per assonanza di episodi di vita vissuta, ricorrendo non all’immaginazione, ma a frammenti storici: foto, articoli di giornali, racconti, copertine di dischi, che vengono inglobati nel flusso narrativo.
Parisi sembra cercare un segno ancora più rarefatto e semplice per non distrarre il lettore dalla messa in scena, dal volore politico di quello che sta rappresentando sulla pagina. Blues for Lady Day è un fumetto notturno, in cui il peso dell’insonnia e dell’attesa diventa cifra e simbolo della condizione umana: nel buio della notte la solitudine diventa insostenibile e i suoni assumono un peso differente.
Non è un caso che il libro, dopo l’incipit affidato a Stormy Blues – I lose my man/I lose my head/I lose my money/Feel like almost dead – abbia nell’incontro della Holiday con Van Vechten uno dei momenti più importanti. La sessione fotografica con la Holiday fu memorabile: Van Vechten trascorse poche ore a ritrarre la diva, ma quella notte gli sembrò non finire mai. Tutto era incominciato sotto i peggiori auspici. Gerry Major, il giornalista che aveva organizzato l’incontro, le aveva chiesto di indossare un vestito per la seduta, ma, incurante, la Holiday era arrivata in orario con un abito scuro e con un’espessione altrettanto deprimente, come ha ricordato Van Vechten in un articolo del 1962 apparso su Esquire.
Nonostante la delusione, Van Vechten iniziò a fotograrla, ma i risultati tardavano. Ad un passo dalla rinucia, il fotografo mostrò una sua foto di Bessie Smith. Furono proprio quelle foto a rendere l’atmosfera più rilassata. Anzi, riuscirono anche a convincere la Holiday a indossare un drappo. Nelle pagine notturne di Parisi si percepisce l’intesa creatasi tra i due. Il commento musicale è illuminate, Me, Myself and I: a metà strada tra un claudicante ragtime e un blues pesto e sornione, tra il gioco e la verità, tra la maschera della diva e la debolezza della donna.
Per salti e strappi, Parisi mette in scena il dramma delle negritudine, la volontà di riscatto e le pastoie di un pensiero patriarcale e reazionario, che non riesce a gestire una personalità esorbitante come quella di Lady Day: gli arresti, le persecuzioni, le accuse contro la donna volevano distruggere la diva, icona di un riscatto e di un’emancipazione che si stava facendo largo a spallate tra la folla, che reclamava attenzione in maniera beffarda e sfrontata.
Le sfaccettature della complessa personalità della Holiday vengono fuori attraverso racconti minimi. Se la Holiday di Sampayo e Muñoz rimaneva relegata nell’area del mito – un po’ come il loro Carlos Gardel, più l’analisi di un’idea che di un uomo – Parisi la rende donna: volubile, capricciosa, debole, ma al contempo eterna come la sua voce.
Blues for Lady Day
di Paolo Parisi
Coconino Press, 2017
112 pagine in scale di grigio, € 17,00