Vi racconto una storia. C’è un giovane ragazzo esperto di arti marziali che con suo padre girovaga per la Cina, prima di fare ritorno in Giappone. Entrambi si ritrovano vittime di una magia: se toccano l’acqua fredda si trasformano, uno in una ragazza, l’altro in un panda. Per tornare come prima gli basta toccare l’acqua calda. A questo ragazzo viene imposto un fidanzamento con la bella Akane, decisamente riluttante, che presto scopre la verità sul magico segreto del suo fidanzato. Il coronamento del loro amore è minato da situazioni improbabili e personaggi assurdi, alcuni dei quali vittime della stessa magia.
Vi sembra una storia assurda? Be’, lo è, ma nelle mani della regina del manga, Rumiko Takahashi, è stata capace di assurgere a titolo cruciale nella storia del fumetto giapponese in generale e degli shonen in particolare, ma anche di diventare una delle opere di maggior successo mai pubblicate in Giappone, un fumetto destinato a essere pubblicato per ben dieci anni, a partire dal 1987, accompagnato da una serie televisiva animata (di 161 episodi), tre lungometraggi d’animazione, episodi OAV (cioè destinati al mercato Home Video), live action e videogiochi.
Un successo clamoroso, non solo in patria ma anche in Italia, nonostante il solito ritardo rispetto all’uscita originale (nel 1990 il manga, nel 1997 l’anime). Sto parlando di Ranma ½, opera seminale della Takahashi che a settembre 2017 compie trent’anni.
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Un punto su cui, secondo me, è importante soffermarsi riguarda la collocazione di Ranma ½ nella stratificata e complessa produzione della Takahashi. Dopo aver concluso un lavoro importante come Maison Ikkoku (di cui ho parlato QUI), la Regina dei manga decide di iniziare una nuova storia che contenesse le suggestioni tipiche del suo lavoro ma che al tempo stesso rappresentasse una novità.
Ranma ½, infatti, è un contenitore di generi all’interno del quale si muovono i personaggi che compongono un universo narrativo, come da marchio di fabbrica dell’autrice. Il manga è la conferma del percorso autoriale della Takahashi, ma è innanzitutto una love story: come Maison Ikkoku prima, Lamù prima ancora e Inuyasha successivamente, Rumiko Takahashi costruisce le sue storie come moderni simulacri atti a celebrare il difficile percorso dell’innamoramento.
Lo fa usando gli stereotipi del genere portati però all’eccesso: i fraintendimenti, le gag, le interruzioni sono tutti elementi che si istituiscono come tappe di un percorso di cui già conosciamo la conclusione. In Ranma ½, così come negli altri lavori “takahashiani”, poco ci interessa il finale, siamo più intrattenuti dal presente, dai meccanismi del racconto, dall’immanenza della storia. Ma se è vero che questo è uno shonen la cui macrotematica è l’innamoramento dei due protagonisti, è altrettanto vero che la Takahashi con Ranma ½ ha deciso di introdurre degli elementi action che diverranno cruciali in seguito, in particolare per Inuyasha.
Su suggerimento del suo editor, il manga si compone di brevi storie autoconclusive, dove l’obiettivo è quello di divertire il lettore attraverso una semplicità tipica dell’autrice. Tutto quello che solitamente potrebbe essere considerato un difetto, nel lavoro della Takahashi si trasforma in pregio, grazie alla sua abilità nel convertire ciò che è semplice e piatto in un concetto universale.
Una delle accuse più frequenti rivolte all’autrice riguarda proprio la piattezza di alcuni personaggi, specialmente quelli di contorno: non c’è un vero e proprio sviluppo, un percorso di formazione, una crescita reale, eppure essi sono tutti elementi essenziali per la riuscita della storia, attori di un teatro dell’assurdo il cui fine è, molto semplicemente, far ridere il lettore. E in questo Ranma ½ riesce benissimo.
Probabilmente non è il miglior lavoro della Takahashi, privo di alcune sfumature nostalgiche che invece percorrevano le pagine di Maison Ikkoku, forse Ranma ½ è anche troppo lungo e perde incisività in più di un momento, ma è di certo un titolo cruciale, perché ha fatto da apripista (spinto anche dalla trasposizione animata) per un pubblico italiano non ancora abituato al manga.
C’è il sottotesto della sessualità che rimane nascosto nelle profondità della storia ma che permette all’autrice di generare situazioni comiche indimenticabili. C’è un attaccamento sincero e sentito ai personaggi, che come in Maison Ikkoku diventano una seconda famiglia. Sfondare la quarta parete (emozionale) è uno dei punti chiave dell’opera di Rumiko Takahashi così come la semplicità del segno, apparentemente un difetto, una banalità, eppure l’arma con cui conquistare milioni di lettori in tutto il mondo.
Nella sua assoluta linearità, nel suo essere volutamente divertissement puro, nonostante i difetti, le lungaggini, gli appiattimenti dovuti al passare del tempo e alle volte alla mancanza di idee forti, Ranma ½ riesce a trasformarsi in un’opera dal forte impatto innanzitutto per ciò che mette in scena: la crisi dell’identità sessuale. Quello che è un guizzo narrativo geniale (la possibilità di far cambiare sesso al protagonista, con tutte le situazioni che ne derivano) è in realtà un fattore che si incastona in un discorso più ampio e che riguarda l’esplorazione e l’analisi del concetto di sessualità nel manga.
Nel fondamentale saggio Il Manga. Storie e universi del fumetto giapponese (edito in Italia da Tunué nel 2011), Jean-Marie Bouissou ha delineato tre tipi di strategie che l’adolescente adotta per affrontare i grandi cambiamenti/sconvolgimenti tipici di quell’età. Per ciascuna di esse Bouissou identifica tre manga che ben simboleggiano queste strategie. Le tre strategie sono il conflitto (simboleggiata da Dragon Ball di Akira Toriyama), la fuga (Doraemon di Fujiko Fujio) e il capovolgimento umoristico dell’ordine delle cose, simboleggiato proprio da Ranma ½.
Questo, oltre a sottolineare come il manga della Takahashi sia destinato prevalentemente a un pubblico maschile (per l’appunto uno shonen), fa di Ranma ½ il fumetto iconico di quella fase esistenziale in cui le contraddizioni, il disappunto, la confusione, sono compagni quotidiani del giovane lettore che vive quelle avventure tutti i giorni.
Lo spirito di comprensione e condivisione che quella specifica categoria di lettori ha nei confronti dei personaggi creati dalla Takahashi ha fatto sì che Ranma ½ divenisse un fenomeno editoriale. Non solo: Bouissou sottolinea come l’assumere una forma diversa, sia essa quella di una ragazza o di un panda o di un porcellino d’india, permetteva al protagonista/lettore di «sfogare le tensioni accumulatesi per via della pressione sociale, a condizione che tutto rimanesse simbolico e che la vita tornasse alla normalità alla fine del tempo concesso alla celebrazione festiva», spiegando come questa strategia universale si rifaccia a quella dei Saturnalia romani.
Torniamo all’inizio. Di cosa parla Ranma ½? Di un ragazzo che cambia sesso al contatto con l’acqua fredda e, come se non bastasse, è promesso sposo ad Akane, una perfetta sconosciuta di cui si innamora solo in un secondo momento. Semplice e assurdo, no? Ma un manga non è (quasi) mai “solo” semplice e assurdo. Dietro alle trovate comiche, alla semplicità del segno e della storia, un manga come Ranma ½, nasconde, come abbiamo visto, un discorso sottopelle sul complesso processo di innamoramento, sull’appropriarsi della propria sessualità, sui conflitti adolescenziali, sul difficile rapporto con i genitori, sulla necessità di creare una famiglia (allargata, stramba, contraddittoria ma comunque una famiglia) per far fronte alla follia del quotidiano. Se questo non basta a rendere Ranma ½ un manga con una sua precipua importanza, allora non so davvero cosa possa esserlo.