Per parlare di Storie di Mazzucchelli, raccolta dei racconti brevi dell’autore americano recentemente pubblicata da Coconino Press, devo partire dal mio primo incontro con la sua opera.
Quando all’inizio del millennio in corso arrivò nella fumetteria della mia città Big Man, il racconto che apre anche questa nuova raccolta, avevo vent’anni, il sogno di fare cinema e una passione per il fumetto che si era sviluppata solo da qualche anno.
Leggevo di tutto e questo significava molte cose buone e moltissima robaccia. Ogni tavola era nuova, ogni stratagemma e ogni invenzione inediti. Ad un certo intuito ancora acerbo da fruitore di fumetti, si accompagnava una curiosità vorace che poco permetteva di distinguere fra prodotti di reale qualità e fanfaronate tronfie che nascondevano la propria pochezza dietro soluzioni grafiche che solo allora accoglievo come ardite e una prosa involuta e artificialmente colta.
Insomma, il peggio del fumetto “alternativo”. Per lo più titoli che non sono sopravvissuti agli anni e alla memoria. Eppure Big Man – e successivamente le altre storie brevi di Mazzucchelli pubblicate in Italia da Coconino – rappresentarono il mio incontro con un fumetto che finalmente riconoscevo come “genuinamente intellettuale”.
Ero stato, fino a quegli anni, un lettore molto più accanito e costante di prosa che non di fumetti, se si escludono quei prodotti tipici che hanno segnato (spesso fortunatamente) l’infanzia e l’adolescenza di tanti ragazzi italiani della mia generazione.
Nelle storie di Mazzucchelli riconoscevo, in altra forma, ciò che mi appassionava della tanta letteratura che divoravo in quegli anni: lo scollamento fra l’individuo e la società; la prepotente marginalità dell’esperienza soggettiva; l’impossibilità di interpretare il reale in modo univoco; la mancanza di un vocabolario condiviso che ci renda capaci di interpretare i segni del mondo (nonché la possibilità che tale vocabolario manchi del tutto); una visione dei rapporti umani, e conseguentemente della sessualità, meccanicistica e raramente tenera; la ricerca, destinata a fallire, di una naturalità perduta nel contesto artificiale, dal punto di vista architettonico e sociale, della vita metropolitana; la sopraffazione del forte sul debole. Non a caso uno degli incontri successivi che ebbi con Mazzucchelli riguardò l’adattamento, per la mediazione ai testi di Paul Karasik, di Città di Vetro, romanzo di Paul Auster, scrittore, fra gli altri, da cui Mazzucchelli ha mutuato molte delle tematiche qui sommariamente riassunte.
Insomma, per farla breve, il mio incontro con Mazzucchelli rappresentò un’epifania: il fumetto poteva essere messo sullo stesso piano della “grande narrativa contemporanea”, anche se più dal punto di vista del dialogo con la contemporaneità che per l’esistenza di qualità e strategie narrative intrinseche. Mazzucchelli e altri potevano essere considerati, con un paragone che oggi ritengo in parte improprio, gli Auster, i Pynchon, gli Steinbeck, gli O’Connor, ma anche i Dick, gli Sturgeon, i Farmer del fumetto.
Come spesso accade con le epifanie e con le passioni troppo brucianti, anche il mio entusiasmo (ed erano anni, quelli, in cui entusiasmarsi e odiare molto appassionatamente erano in pratica dei doveri) è stato oggetto di diverse revisioni. Se per me l’adattamento di Città di Vetro conserva in gran parte tutto il fascino originario, alcune metafore visive che al tempo trovai potentissime oggi mostrano grossi limiti dovuti ad un eccesso di didascalismo.
Anche per quel che riguarda la letteratura, una conoscenza più approfondita del medium e una passione che mi ha spinto a cercare sempre più indietro nel tempo mi hanno permesso di relativizzare l’originalità e la forza di molte di quelle soluzioni che trovavo così innovative. Non propriamente un deicidio, ma un percorso di ricollocamento e sistematizzazione che, per forza di cose, porta a un apprezzamento più ragionato e, si spera, maggiormente consapevole.
Inoltre, l’ultimo mio incontro dal punto di vista cronologico con l’autore protagonista di questo articolo è avvenuto attraverso la sua opera più ambiziosa e che solo in piccolissima parte è riuscita a convincermi. Quell’Asterios Polyp che da un lato si offre come una specie di summa organica di quanto sperimentato nella forma dei precedenti racconti più o meno brevi, ma dall’altro ne svilisce, spesso grazie ad un eccesso di didascalismo e di boria, la forza originariamente ruvida e brutale.
Dopo l’orgia di spunti che comunque Asterios Polyp dà in pasto al lettore, e alla parziale delusione seguita alla sua lettura, ho sempre rimandato il reincontro con quei racconti che tanto mi avevano coinvolto, ad un livello molto intimo, personale ed empatico, quando ero ragazzo. Preferivo il bel ricordo ad una cocente delusione.
Il volume Storie, che raccoglie i lavori precedentemente apparsi su Big Man, Phobia e Discovery America (sempre pubblicati da Coconino), mi ha quindi offerto l’occasione per confrontarmi con il mio passato. Cosa resta, dunque, di quanto mi aveva così colpito ormai tanti anni fa?
Molto, direi. Andiamo nel dettaglio.
• Big Man, una storia sulla non accettazione del diverso, oggi mi sembra molto più ingenua di quanto mi apparve all’epoca, ma l’umanità di Mazzucchelli riesce a conferire a questa cupa (e non troppo originale) fiaba di ambientazione sudista una brutale forza primigenia che la astrae da ogni considerazione eccessivamente intellettualistica. E la figura del gigante a tutta pagina che mi impressionò così tanto al punto da spaventarmi quasi, scolpita dal pennello dell’autore nel legno ruvido, mantiene oggi la stessa carica di inquietudine.
• Near Miss, una delle storie che anche anni fa trovai meno convincenti continua a sembrarmi più irrisolta che suggestiva. Un uomo, terrorizzato dal possibile impatto di un meteorite, si trasferisce nel deserto per monitorare il cielo. Splendido l’incipit e il proseguo: la discesa in un canyon che il segno dell’autore trasforma in un paesaggio alieno e quasi mostruoso. Il resto del racconto, purtroppo, si perde in banalotte riflessioni oniriche sulla forza spaventosa e ancestrale del femmineo e sull’impossibilità di un reale isolamento dalla società moderna.
• Discovering America condivide con Near Miss parte degli stessi limiti. Il parallelo fra un uomo che cerca di costruire da anni – impresa evidentemente destinata a fallire e quindi epica – un mappamondo senza difetti e approssimazioni e l’incapacità dello stesso protagonista a trovare le proprie coordinate nel mondo mi sembrano oggi molto più pretenziose di quanto le trovai geniali all’epoca. La sequenza onirica, in cui il corpo della donna desiderata diventa una mappa su cui il maschio si perde, sfiora il ridicolo. D’altro canto la circolarità che caratterizza questo racconto, come anche il precedente, ne fanno perdonare in parte le ingenuità. L’ostinatezza dei protagonisti, che non si fanno smuovere dai loro intenti, è al tempo stesso eroica e irritante.
• Stop al pelo pubico è un grazioso divertissement in stile manga, stampato su carta rosa. Ancora l’ossessione per la sessualità, ancora un maschio inadeguato al comunque un po’ troppo mitizzato immaginario erotico femminile (controparte, la donna, a cui Mazzucchelli sembra voler associare una maggiore naturalezza nell’approccio alla sessualità). Al tempo stesso però un divertente, buffo ma anche feroce attacco alla censura realizzato attraverso un convincente e originale mimetismo con i canoni di un certo fumetto giapponese di ispirazione underground.
• Dead Dog è sicuramente il titolo di questa raccolta che è invecchiato meglio, forse il vero grande capolavoro dell’autore. Gli elementi che nelle storie precedentemente citate potevano essere considerati come difetti qui esprimono al pieno il loro potenziale disturbante. Una donna sta morendo circondata da foto che testimoniano il proprio passato ma di cui non è più in grado di riconoscere i protagonisti. Un’altra donna, più giovane, l’assiste. Un uomo arriva da lontano. Non sappiamo se è il figlio o il fratello della donna più giovane. Neanche i protagonisti del racconto sembrano essere davvero consapevoli dei rapporti affettivi, famigliari ed erotici che intercorrono fra loro. Labirintico, disturbante, secco. Mazzucchelli inoltre sembra aver trovato uno stile grafico davvero funzionale alla storia. Il tratto grasso, con ombre che sembrano olio da motore esausto, le luci quasi da rappresentazione popolare dei santi, la fisiognomica minimale, definiscono meglio che nei racconti precedenti un mondo in disfacimento in cui si muovono personaggi senza una vera identità.
• Midori è un altro racconto a là giapponese, questa volta espressamente un omaggio al gekiga. Una storia di alienazione e di parziale riscatto attraverso l’alterità. Non particolarmente notevole. Così come Stubs, una storiella umoristica sulla dipendenza (dal sesso, naturalmente).
Le storie che chiudono il volume sono, insieme a Dead Dog, le migliori.
• Blind Date. Uno dei primi lavori di Mazzucchelli dopo l’abbandono, parziale, del mondo supereroico e al tempo stesso un richiamo – forse consapevole – a uno dei protagonisti di quel mondo che aveva contribuito a renderlo famoso: Daredevil. Una donna si benda per andare ad un appuntamento romantico con un cieco. Niente di più, in queste quattro tenere e inquietanti tavole disegnate in uno stile lunare e da “notte americana” con qualche influenza di Charles Burns.
• Phobia. Paul Auster qui è quasi esplicitamente citato. La rilettura dell’hard boiled per narrare una storia sull’indefinitezza dell’identità, rocambolante e divertente, grazie ad una buona dose di autoironia e agli intellettualismi nascosti sotto il tappeto.
• Rates of Exchange. Racconto più tradizionale e minimale degli altri sullo spaesamento di un americano all’estero. In parte diaristico, ma molto sincero e posato.
• Still Life. Forse l’altro vero capolavoro della raccolta e uno dei lavori brevi più recenti dell’autore. Potrebbe essere definito l’unico racconto espressamente surreale del libro. Un sogno descritto con un tratto minimale che sembra essere la versione mostruosa ma altrettanto glamour di una pubblicità di profumi francese.