In attesa della versione italiana del suo ultimo lavoro lungo (Crawl Space, fuori come sempre dalla canadese Koyama Press) ecco che l’occasione di tornare a perderci nelle surreali pagine di Jesse Jacobs arriva grazie alla nuova uscita degli speciali di U.D.W.F.G. di Hollow Press.
La formula della casa editrice rimane sempre quella: una storia breve (in questo caso 32 pagine), totalmente inedita, presentata in una veste di lusso e in versione bilingue. Un ottimo modo per lasciare ad autori come Shintaro Kago o Paolo Bacilieri tutta la libertà necessaria a dare sfogo alle loro visioni meno classificabili, premiando sia loro che i lettori con un libro davvero prezioso.
Leggi un’anteprima da Vivono in me
Dopo due nomi così noti e con alle spalle una carriera ben definita era il momento di dare spazio a una voce non ancora del tutto sdoganata, nonostante tre titoli già pubblicati in mezzo mondo e alquanto celebrati. Con Vivono in me, l’autore di E così conoscerai l’universo e gli dei e Safari Honeymoon (entrambi per Eris Edizioni) decide di allontanarsi dalle sue bizzarre cosmogonie per avvicinarsi in maniera del tutto personale a certo horror politico anni ’70. Nella migliore tradizione del genere anche in questo pugno di pagine ci sono un sacco di aspetti macabri ed eventi bizzarri messi ad allegoria della portata principale del menù: le sferzate al nostro modo di vivere.
Come il filone ci insegna, sono il consumismo e la società moderna a essere il vero male, incarnato in questo caso da un’abitazione in vendita, non zombie o famiglie di cannibali. Da questo punto di vista nulla di particolarmente originale. Quello delle haunted mansion, sottogenere in cui Vivono in me cade con entrambi i piedi, è uno dei filoni più codificati della narrativa di genere. Dal gotico La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe in avanti la casa è sempre vista come metafora perfetta della minaccia di turno. Dopotutto cosa c’è di più perturbante di trovare il male in quello che dovrebbe essere il rifugio per eccellenza dal mondo esterno? Viviamo in un momento storico che ci viene venduto in ogni maniera come particolarmente infelice e pericoloso, quindi non c’è da stupirsi se l’attenzione di certo intrattenimento di massa si sia spostata verso una continua celebrazione di valori comunemente considerati come tradizionalisti e di chiusura verso l’interno.
Basta accendere la televisione per trovare un sacco di programmi legati alle tematiche della casa, sia che si tratti di trovare quella dei propri sogni o di rendere più confortevole la propria. Anche tutti i filoni legati al matrimonio o alla genitorialità in fondo parlano della stessa cosa, per non tirare in ballo tutto il macrogenere culinario. Tutti sognano di fare i cuochi ma in realtà non si spingono mai più in la del proprio tinello. Jacobs intercetta questa tendenza, prendendosi tutto il tempo del mondo visto che non si tratta certo di sentimenti emersi da poco, e ci costruisce il suo bravo Rosemary’s Baby in chiave casa stregata.
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Il messaggio, se non lo si fosse capito, non brilla certo per acume e spirito di rilettura del presente. Anche il fatto di essere così espliciti non aiuta di certo, tornando a una dicotomia fatta di forma e contenuti – il messaggio non andrebbe inserito come sottotesto, dovrebbe essere fuso alla forma – che si sperava superata ormai da anni. Il tutto comincia a funzionare invece a meraviglia quando Jesse Jacobs si ricorda di essere Jesse Jacobs. Ovvero quando si torna a parlare di fumetto. Fin dalla splendida copertina, un incrocio tra l’approccio razionale al segno degno di Chris Ware e una sorta di balorda geometria sacra, passando al nero degli interni il canadese si conferma uno dei migliori autori emersi a livello globale negli ultimi anni.
Ogni pagina, senza mai sfuggire a una rigida griglia a sei vignette, è una continua idea visiva resa ancora più straniante dalla banale colloquialità di testi. Dopotutto si parla di una agente immobiliare che sta cercando di vendere una casa a una giovane coppia di fidanzati, desiderosi di iniziare la loro nuova vita da famiglia perfetta. Cosa potrebbe andare storto? Si tratta solo di stanze rovesciate o in continuo mutamento, di improvvisi cambi di proporzioni, di succhi gastrici a impregnare l’aria, di una folle gestione del tempo che riesce a rendere visivamente esplicita una narrazione circolare senza spenderci una parola scritta.
Aldilà delle critiche sociali e delle invettive anti-tradizionaliste – tutte ampiamente condivisibili ma qui troppo didascaliche per avere un reale significato – quello che rende imperdibile Vivono in me è l’infinita immaginazione di un fumettista in grado ormai di manipolare il linguaggio a suo piacimento. Il disegno si è fatto più minimale rispetto allo splendido accumulo di Safari Honeymoon, ma la maniera con cui nelle sue tavole convivono algidità e gusto del grottesco quasi puerile rimane qualcosa di fantastico e inimitabile.
Jacobs non ha mai fatto mistero di mettere alla base delle sue sceneggiature stimoli sopratutto visivi e questo è chiaro nella maniera in cui non ci si riesce a immaginare le sue storie rese in altra maniera se non dal suo tratto, esempio perfetto di tutto il nuovo underground statunitense. Graffiante e ruvido ma al contempo incapace di rinunciare alle influenze più pop (non abbiamo ancora ricordato per la millesima colta che Jacobs ha lavorato a Adventure Time, vero?).
Immaginazione, umorismo nerissimo, un sacco di stile e di voglia di spingere il fumetto ai suoi limiti, senza mai distaccarsi troppo dal genere e dall’evasione. Vivono in me non è una breve fuga dai lavori lunghi di un autore ormai lanciatissimo, ma l’ennesima conferma di come la sua poetica possa funzionare in ogni contesto e di come il suo bacino di idee sia ancora lontanissimo dall’essere scontato o facilmente codificabile, che siate tipi che passano le serate a guardare Fine Living o meno.
Vivono in me
di Jesse Jacobs
Hollow Press
32 pagine, b&n – 12€