Il duo Marco Taddei e Simone Angelini è tornato questa primavera nelle librerie italiane con un nuovo libro, intitolato Malloy (presentato in anteprima a Napoli Comicon). Il libro ha seguito l’ottimo riscontro di pubblico e critica ricevuto dal precedente Anubi (per noi tra i migliori graphic novel usciti nel 2015, QUI la nostra recensione).
Del libro ha parlato sulle nostre pagine Marco Apostoli QUI, ma dopo essere entrati nello studio di Simone Angelini, qualche curiosità in più sul lavoro del duo mi era rimasta. Non sono stato, lo ammetto, tra i più entusiasti lettori di Anubi, ma ho trovato interessante l’evoluzione che Angelini e Taddei hanno maturato nel corso di questi anni. Per questo, nella conversazione che segue abbiamo voluto approfondire come si colloca nel percorso dei due autori Malloy, un libro singolare che porta nello spazio profondo un tema tanto prosaico quanto complicato: le tasse. Una storia che, in realtà, dalle tasse parte ma alle tasse non si ferma.
Dopo il buon successo di Anubi, come vi siete mossi dal punto di vista creativo?
Angelini: Malloy non è figlio del successo del libro precedente, sarebbe banale vederla così. Abbiamo proposto Malloy a Panini Comics durante Lucca 2015, con Anubi che faceva i primi passetti in fiera. Diego Malara e Stefania Simonini, curatori della collana 9L, ci tenevano d’occhio e ci hanno seguiti negli incontri fatti nei mesi successivi per la promozione di Anubi, non come spie della CIA ma come simpatici compagni di bevute. Da li in poi, si sa, l’alcool fa miracoli, e siamo arrivati alla firma del contratto. Creativamente ci hanno lasciato molto spazio e al tempo stesso sono stati presenti, propositivi e disponibili. Non pensavo di trovare la stessa libertà che si ha nella piccola editoria e soprattutto di esser spalleggiati e lanciati tra le loro proposte come cavalli di razza. Temevo inizialmente che Malloy si perdesse nel ricco ventaglio di pubblicazioni, come spesso accade per un “indipendente” che arriva in una grande realtà. Il lavoro sul libro è durato circa 6 mesi: spedivo ogni inizio settimana un pezzetto di storia di 15 pagine, inchiostrato, colorato e completo di testi e balloons. In redazione si era creato l’appuntamento “Malloy del lunedì”, una sorta di serie tv a fumetti da scaricare dalla mail.
Taddei: Sottoscrivo. E aggiungo: Anubi è stato un episodio particolarmente fortunato, ma abbiamo sempre molti spunti e molte idee. Malloy è solo la punta di un iceberg che continua a crescere sotto il pelo dell’acqua. Vediamo come vanno le cose, stiamo già pensando ad un nuovo progetto, ma se avessimo una pensione (anche minima), giornate di 48 ore e secchi di vitamine, sarebbe tutto più semplice.
Molte cose differiscono tra Anubi e Malloy. Qui c’è una impostazione più classica, la ricerca di un segno più dettagliato (non raggiunto appieno, imho), il colore… Come mai?
A. Mi fa piacere la tua osservazione sul segno: è in continua evoluzione, per fortuna, un perfezionamento sviluppato sul campo di battaglia dell’editoria. Se da un lato ho fatto una scelta di narrazione visiva e sequenziale ben precisa per i due libri, dall’altro sono consapevole che disegnare un seguito di Malloy sarebbe più semplice che farne uno di Anubi. Ultimamente sto tornando a lavorare su piccole storie scritte e disegnate da me, dopo 6 anni di ritmi serratissimi dal primo Storie brevi a Malloy sentivo la necessità di riprendere fiato e continuare con la ricerca. Sarà benzina preziosa per il prossimo libro con Marco, che non parlerà né di Anubi né di Malloy… Suspense.
T. Sono libri molto differenti ma affini. Indissolubilmente. Come amici che non si vedono da trent’anni, quindi separati da chissà quali differenti esperienze di vita, che però si rimettono subito a parlare dei fatti loro come se trent’anni fossero non più di tre ore trascorse a fare una pennichella.
Perché una figura così singolare come il gabelliere? È un termine così vetusto…
A. Malloy è una space opera picaresca, proiettata in un futuro lontanissimo ma al tempo stesso a noi molto vicino, almeno per alcuni aspetti.
T. La fantascienza è un genere in cui, rispettando sempre l’intelletto del lettore, puoi fare tutto. La sua dimensione anarchica e allo stesso tempo critica ci ha subito affascinato. Gabelliere è un termine vetusto, ma nello spazio tutto è vetusto: stelle, pianeti, buchi neri, divinità…
Non ho trovato troppo surreale il tema. Del resto la questione tasse è argomento popolare di discussione. Cercavate di raccontare anche la “dura realtà”?
A. La tematica non è affatto surreale, si parlerà sempre di tasse, anche tra 10.000 anni. Allo stesso tempo Gabelleria e balzelli sono pretesti per spostarsi in lungo e in largo tra pianeti e galassie.
T. Anche se c’è un tipo che va in giro per il cosmo per riscuotere le tasse dell’intero creato, Malloy non parla affatto di riscuotere tasse, anzi le tasse sono solo un frammento dell’universo contenuto nel libro. Il surreale, il bizzarro e il grottesco sono termini di una poetica che ci intriga e che, a mio parere, è l’unica lente valida per mettere a fuoco nitidamente le grandi contraddizioni dei nostri tempi. Malloy è un fumetto di fantascienza “d’azione” ma anche “adulta” e in quanto tale desidera toccare i nervi dell’odierno per far scattare nel lettore una qualche riflessione. Da sempre il genere “fantascienza” serve ad aprire strade, sollevare questioni, sciogliere enigmi, complicare le cose.
Il libro nasce da una storia breve, che in seguito avete deciso di ‘espandere’. Per quali ragioni?
A. Per ragioni estemporanee, in un gioco spazio temporale di scatole cinesi, come spesso ci accade. Eravamo alla famosa Lucca 2015 di qualche domanda fa, per promuovere Anubi. [Flashback] Il personaggio di Malloy era nato in un mercato rionale di Roma tra banchi di patate e dimostrazioni di aspirapolveri nel 2013, durante la promozione di Altre storie brevi e senza pietà. Avevamo creato tutto rapidamente nel giro di qualche mese per la storia breve che poi sarebbe apparsa su B-Comics – Crack. [Flashforward] Lucca 2015. Cosa proporre a Panini Comics? Perché non ripescare il Gabelliere e rielaborarlo per bene? A Marco l’idea piacque subito e l’idea che Malloy fosse morto decapitato alla fine di quella storia breve non ci turbò più di tanto. Da qui, flashforward o flashback alla prima domanda… mi sono perso.
T. L’idea di Simone era stimolante: ci dava la possibilità di ampliare l’universo del Paravatz e riutilizzare un personaggio a cui mi ero molto affezionato. E poi farlo tornare in vita senza troppe spiegazioni mi pareva una di quelle cose che mi fanno dormire meglio la notte.
Perché un cambio così repentino dalla realtà distorta di Anubi allo spazio profondo?
A. Avevamo bisogno di cambiare aria. Non farsi trovare dove si è attesi è la cosa più bella che c’è.
T. Sottoscrivo, ma ripeto: Anubi e Malloy non sono così diversi. Ambientazioni e personaggi sono veicoli del racconto e quindi liquidi e variabili, ma la puzza di muffa viene sempre dalla stessa cantina.
Ho trovato interessante la lingua, brillante e con un lessico piuttosto inconsueto. In particolare nel fumetto d’azione. Come lavorate a questo aspetto e perché vi interessa?
A. Lì ci si diverte Marco.
T. La vita è abbastanza stronza per farti venire voglia di scrivere un fumetto in cui un esattore delle tasse parla come un furfante del 1500 mentre galoppa da un pianeta ad un altro a bordo di un incrociatore spaziale. Detto questo, penso che un personaggio debba essere ben caratterizzato in tutto e per tutto, dall’aspetto grafico al suo “come parla”. Puoi immaginare come, soprattutto nel fumetto, questa combinazione sia vitale per produrre un buon risultato che soddisfi autore e lettore. Il personaggio di Malloy, nato come uno spavaldo agente del Paravatz, stimolò MISTERIOSAMENTE i miei ricordi di Francois Rabelais. Mi chiesi: perché non sposare alla figura dell’efficientissimo gabelliere un linguaggio intriso di acume tardo medioevale per farne il perfetto guascone? Ci piace azzardare cose del genere, scommettere direi, perché forse siamo noi per primi, nel nostro intimo, nient’altro che degli spennati furfanti, dei patetici millantatori, degli incalliti giocatori di morra.
E la scelta del colore?
A. È un’arma in più per la narrazione. Una fantascienza grottesca e scanzonata come la nostra non poteva che essere multicolor. Non siamo mica dei geni come Oesterheld e Solano Lopez.
T. Immagina un parco giochi in bianco, nero e grigio: che idea si farebbero i bambini del concetto di divertimento, in un posto del genere? Questa storia aveva bisogno del colore per comunicare il giusto respiro psichedelico-straniante.
Con quali opere, sci-fi e non, vi siete confrontati?
A. Graficamente ho tentato in tutti i modi di allontanarmi dalle ispirazioni, sapevamo bene di navigare in determinati mari, al cospetto di grandi totem. L’importante è che questi riferimenti siano arrivati come piacevoli brezze e non come venti tempestosi. Non sta a me dire quali sono, ma due nomi li spiffero: Fantozzi e Luigi Serafini.
T. Per lo sviluppo della storia ha sicuramente un ruolo la mia passione per Stanislaw Lem. Insieme a Philip K. Dick è uno dei pochi scrittori di fantascienza che leggo con piacere. Malloy e la sua favella ardita e balorda discendono poi dalle nobili pagine del Gargantua e Pantagruele di Rabelais, ma anche da certi ceffi e certe espressioni dialettali abruzzesi delle mie parti.
E tra i fumetti recenti, qualcuno vi è servito da stimolo o ispirazione?
A. Ho letto pochi giorni fa Beverly di Nick Drnaso, bellissimo, il punto d’incontro perfetto tra Ware, Cornella, Clowes e le istruzioni di salvataggio di un aereo. Sto rileggendo Prima pagare poi ricordare di Scozzari nella nuova edizione, che sta al fumetto come la benzina all’automobile. Ho sul comodino Devil Dinosaur di Jack Kirby che mi guarda con quegli occhietti rettiliani e so già che gli vorrò bene.
T. Questa settimana ho letto La Trilogia, il librone di Guido Buzzelli e Puke Force di Brian Chippendale. Assunti uno dopo l’altro ti travolgono e ti lasciano secco. E ho letto anch’io le stesse istruzioni di salvataggio che ha letto Simone.
Ci sono autori stranieri che seguite e vorreste vedere pubblicati in Italia?
A. Tutti i lavori di Joe Daly, più materiale di Jason e poi Benjamin Marra, Charles Forsman, Michel Fiffe, del compare Pedro Mancini, Thomas Scioli, Jack Teagle, Mike Diana, Rich Tommaso, Zè Burnay, Alexis Ziritt, Tyler Landry…
T. Più roba di Jim Woodring, altra roba di Brian Chippendale e Johnny Ryan, sottoscrivo Pedro Mancini. Mi piace un sacco la roba di Aeron Alfrey, ma non sono esattamente fumetti. Questi sono quelli di cui ricordo i nomi. Spero di averli scritti bene, tra l’altro.
Arrivando in fondo a Malloy, la storia sembra un continuo gioco delle parti, una allegoria delle identità, tutto sommato non distante dal discorso iniziato con Anubi.
A. Per citare Malloy: “Non c’ho capito niente ma mi son divertito molto”.
T. Beh mettiamola così: 1) Quando fanno la raccolta differenziata, se butto una bottiglietta di plastica nell’organico c’è qualche addetto ai lavori che ferma le macchine, va sul nastro con i suoi guanti bianchi di latice e accuratamente mi maledice? 2) Chi scrive le barzellette della Settimana Enigmistica? 3) Perché cazzo ogni mattina mi sveglio sempre dentro la mia testa e non in quella del mio vicino di casa o del sindaco di Cupello o di Donald Trump? Su cosa è più interessante indagare tra queste tre cose? Io sono ancora indeciso tra due, e tu?
Ti posso dire solo che mi hanno raccontato che sì, nei centri raccolta della differenziata c’è un nastro con addetti al controllo, e pare trovino di tutto al posto sbagliato. Quindi immagino che se ne raccontino di belle su quella questione (la mia passione è per il dilemma del Tetrapak: dove va gettato?).