A fine anni Novanta, Sergio Bonelli Editore era in un periodo di rinnovamento, pronta a lanciare nuovi personaggi e nuove serie. Fu in quegli anni che esordirono Brendon, Julia e poi anche Dampyr. Nel settembre 1997, invece, arrivò in edicola il primo numero di una serie intitolata Napoleone, con protagonista Napoleone Di Carlo, un albergatore ginevrino creato da Carlo Ambrosini.
L’autore veniva dall’esperienza come disegnatore del Ken Parker di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, prima di passare a Dylan Dog, con Tiziano Sclavi e anche da solo, su episodi come “Inferni” (n. 46), “I vampiri” (n. 62) e “Il guardiano della memoria” (n. 108). Dopodiché, la Bonelli gli assegnò il lancio di Napoleone, durata 54 albi bimestrali, fino al 2006. In occasione del ventennale di una serie diventata rapidamente di culto grazie alla sua grande qualità autoriale, ci siamo fatti raccontare dal suo creatore il significato di questo ventennale (in attesa del ritorno già annunciato del personaggio per una miniserie).
A riguardare Napoleone venti anni dopo, che impressione ti fa? Lo trovi invecchiato?
I personaggi editi da bonelli non sono tenuti a invecchiare, io però Napoleone l’ho fatto invecchiare un po’, ma giusto anagraficamente, spero.
In diverse interviste nel corso degli anni, hai detto che all’epoca dell’esordio il pubblico bonelliano era poco abituato a certe tematiche un po’ ostiche, come la psicanalisi e il surrealismo. Oggi ti sembra che sia più pronto?
Il pubblico che ha seguito Napoleone era pronto anche allora, la vasta platea in realtà credo che continui a pensare al fumetto come puro intrattenimento.
A proposito di psicanalisi, tre dei comprimari fissi, Lucrezia, Scintillone e Caliendo, sono manifestazioni dell’inconscio del protagonista, che hai deciso di visualizzare come personaggi a loro volta (così come capitato anche con tratti dell’inconscio di altri protagonisti occasionali delle singole storie). Era un modo per rendere più fruibili certi concetti al tuo pubblico?
Ho cercato di rendere plasticamente le immagini dell’inconscio. I tre spiritelli sono parti della psiche di Napoleone, tre diversi aspetti del suo carattere che in qualche modo, anche lui come tutti, deve conciliare. In ogni caso, pur avendo scomodato Carl Jung, Napoleone resta un fumetto di serie. Ho guardato al genere del noir francese degli anni sessanta, alla Georges Simenon per intenderci, ovviamente plasmato in modo arbitrario per poter contenere i miei personaggi.
Del personaggio mi piaceva molto il fatto che non aveva un canone ben definito, al contrario di Tex, per fare un nome famoso. Quindi ogni sceneggiatore e ogni disegnatore riusciva a dargli la propria interpretazione, ma mantenendo una forte coerenza di insieme. Era una cosa voluta o necessaria, a causa delle tempistiche di produzione? Quali erano le difficoltà nel mantenere tutto unito?
Un canone inderogabile ce l’ha, ed è il rispetto per il carattere e la personalità del personaggio e del mio modo di scrivere e raccontare le sue storie. A tenere tutto unito, come dici tu, è la scrittura dell’autore.
Napoleone è sempre stato definito un fumetto “giallo”, ma questa affermazione può voler dire tutto e nulla allo stesso tempo, dato che la categoria comprende le cose più disparate. Quali tendenze del giallo ti interessavano di più?
Noir, più che giallo, come già detto. Mi interessavano il noir francese e le atmosfere di Simenon, senza trascurare il Philip Marlow di Raymond Chandler. L’impermeabile che indossa Napoleone è un chiaro segnale che siamo in quel solco.
Ricordo che, quando il personaggio esordì, c’era questa smania di trovare a tutti i costi un “erede” di Ken Parker, al quale tu avevi peraltro collaborato. Una sorta di “bonelliano d’autore”, per usare una definizione un po’ forzata. Anche Napoleone fu coinvolto in questo gioco, ma ritengo che forse discendesse più dal Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Che poi a sua volta un po’ discendeva da Ken Parker, in realtà. Quale pensi che possa essere un “albero genealogico” più adatto per il tuo personaggio?
La scrittura di Ken Parker fu innovativa per il western bonelliano, in Dylan Dog diventarono innovative le tematiche e rivoluzionaria la scrittura. Non si tratta di “discendere”, ma di coglierne e saperne vedere il potenziale.
A parte il fatto che tutta questa smania di trovare il “bonelliano d’autore” io non l’ho vista: di certo, senza il precedente di Dylan, Napoleone non sarebbe potuto nascere in Casa Bonelli.
L’intervista completa, più estesa, è pubblicata su Annuario del Fumetto di Fumo di China n. 22. La rivista è acquistabile in edicola e in fumetteria.