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Nello studio di Thomas Campi

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Questa settimana, per la rubrica #tavolidadisegno, siamo entrati nello studio di Thomas Campi, disegnatore di ‘Julia’ (Sergio Bonelli Editore), attualmente al lavoro per il mercato francese. Al solito, abbiamo fatto cinque domande e l’autore, che abita in Cina, ci ha fornito diverse foto.

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A cosa stai lavorando in questo momento?

Ho appena terminato Les Larmes De Seigneur Afghan per Dupuis, scritto dalla giornalista/reporter belga di RTBF, e Vincent Zabus. Con Vincent avevo già collaborato sul one shot Les Petites Gens (edito da Le Lombard) ed ora stiamo lavorando su un graphic novel di 140 pagine a colori, che sarà pubblicato sempre da Dupuis. Sono solo alle prime 2 pagine, e mi sto costruendo un dossier per la documentazione, è una delle fasi più stimolanti ed interessanti di questo lavoro, forse perché quella più creativa, dove iniziano a prendere forma l’universo e le persone che animeranno la storia che si sta per raccontare. E’ un po’ come conoscere luoghi e persone nuove.

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Che strumenti usi per disegnare?

Per i fumetti uso carta Fabriano Schizzi da 120g e Pilot HI-TEC-C 0,25 e 0,4. Da qualche anno mi sono fatto un tavolo da disegno col piano di vetro, così da poterlo usare sia come piano di lavoro che come lavagna luminosa. Non uso quasi mai la matita, disegno gli storyboard direttamente a penna, poi li ingrandisco e salto il clean-up inchiostrando direttamente sul tavolo di vetro con sotto la traccia dello storyboard. Per i neri pieni uso pennello e china cinese e diversi brushpen, ultimamente sto facendo anche qualche esperimento di segno con una stilografica con punta per calligrafia. Nella colorazione delle pagine e nelle illustrazioni da qualche anno lavoro in digitale, usando Mac, Photoshop CS6, tavoletta Wacom Intuos e da circa un mese sto lavorando sul tablet YiYnova 19 MSPU+, considerato l’alternativa alla Cintiq. Ad 1/4 del prezzo posso dire che i risultati sono fantastici. Sto ricominciando anche a dipingere su carta con acquerelli e gouache e ho acquistato i miei primi colori ad olio, vedremo che succederà!

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Hai qualche piccola abitudine prima di metterti al tavolo?

Non sono particolarmente abitudinario. Direi che le azioni più ricorrenti sono trovare la musica giusta per la pagina o illustrazione a cui sto per lavorare. Poi faccio qualche schizzo veloce per scaldare un po’ la mano , se così si può dire, e infine sfrutto la vastità di internet per guardare e alimentare un po’ il cervello con arte di ogni genere, soprattutto visiva, scoprire nuovi (per me ) illustratori, fotografi, pittori, concept artists, musicisti, etc.

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Ci sono fumetti o libri che devono essere assolutamente a portata di mano?

Autori di riferimento ne ho tantissimi e cambiano in continuazione, ma ci sono certi amori che non abbandono mai. Nicolas De Crécy, Pascal Rabatè, Lorenzo Mattotti, Edward Hopper, Isaac Levitan, Georges Beuville. E poi la musica, la raccolta live di Gaber, i CSI, Antony&The Johnson. Credo che questi siano stati gli artisti che mi hanno perseguitato ( o che io ho perseguitato ) nei miei spostamenti.

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Ci spieghi il significato della parola di questo oggetto e ci racconti la tua esperienza in Cina?

Nella lavagna c’è scritto ” JiaYou” che è una tipica incitazione cinese che letteralmente si traduce in dare olio al motore, ed è l’equivalene dei nostri “Forza!”, “Dai che ce la fai!”. L’esperienza cinese è molto complicata da raccontare, perché bisognerebbe prima spiegare questa società, con una dittatura “comunista con caratteristiche cinesi”, che si tramuta nel più totale capitalismo senza etica. Il livello culturale delle persone è mediamente molto basso, e la privacy è un concetto astratto per loro. Io li amo e li odio. Ed è sempre stato cosi, fin da quando abitavo a Shanghai.

Le differenze culturali tra un “laowai” (straniero) e un cinese sono piuttosto forti, questo porta ad alcuni momenti di frustrazione e rabbia. Se rimani tanti anni, le differenze non vengono annullate o alterate, ma impari a conoscerle e soprattutto capisci da dove vengono. Ci si rende conto che il comportamento che per noi può risultare maleducato e ignorante è dovuto al fatto che sin dall’asilo certe cose non vengono insegnate, e che tutti vengono omologati con la ripetizione di slogan, frasi fatte, nozioni false, e l’annullamento dell’individualità e della scelta alternativa. Ti aiuta a diventare più tollerante e a guardare le cose da prospettive diverse. Poi succede che un giorno vedo un vecchietto col viso solcato dalle rughe, le sopracciglia a salice piangente che solo gli anziani cinesi hanno, seduto su un muretto a suonare un’armonica, chiedere un’offerta ai passanti. Mi siedo ad ascoltarlo prendo lo sketchbook e tento un disegno che lo rappresenti. Il vecchio se ne accorge, sorride, finisce il suo pezzo e si avvicina. Emana un odore non molto gradevole misto ad aroma di aglio, ti offre una sigaretta e guarda il disegno. Il suo sorriso diventa pieno di orgoglio e si allarga, si alza apre il piccolo zaino che sta sul marciapiede, estrae una scatola di legno e me la porge. Dentro c’è una bellissima armonica. Dice che è per me. Con i cinesi non puoi accettare subito, cosi inizia il gioco delle parti, io dico “no,no!” lui in qualche dialetto mi parla e spinge la scatola nelle mie mani, andiamo avanti così per 3-4 turni, poi accetto.

La Cina che amo è quel vecchietto, la Cina che odio è quella senza dignità ed etica, che considera il denaro come fonte di rispetto, potere, orgoglio, felicità. Con gli amici si parla sempre di mal di Cina, perché dopo tanti anni che ci vivi senti la mancanza di certi valori dell’Occidente, ma appena fai ritorno in Europa nel mio caso, senti la nostalgia della Cina. Gli odori, il continuo rumore di clacson, le voci nei megafoni degli arrotini, di quelli che aggiustano gli ombrelli, dei banchetti improvvisati per strada per misurare la pressione agli anziani, le mille luci ovunque e sempre. Tutto si muove in fretta e in modo caotico, ti fa sentire vivo, ed è un continuo stimolo. Lo so già che quando me ne andrò mi mancherà tanto, tantissimo.

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