di David Harper*
traduzione di Manuela Capelli
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Sktchd nel giugno del 2016 e qui tradotto per gentile concessione dell’autore. Chew è pubblicato in Italia da Bao Publishing.
Sono diversi anni ormai che scrivo di fumetto. Ho iniziato su Multiversity Comics nel maggio 2009, e se all’epoca eravate lettori attivi di fumetti o se seguivate il settore, saprete che le cose erano piuttosto differenti. Uncanny X-Men era al suo primo – e unico – volume dopo 48 anni. I fumetti digitali erano agli albori: ComiXology aveva meno di due anni ed era pressoché l’unico sito. Le entrate derivanti dalla vendita diretta quel mese si attestavano sui 25 milioni di dollari. In breve, i libri di fumetti erano in una situazione incredibilmente diversa.
Ma da allora c’è una costante: un fumetto che iniziò il mese dopo quello in cui lo feci io e che per me costituisce l’indicatore di quello che sarebbe stato l’avvenire dei fumetti. Era una stranezza a dir poco, e la settimana in cui uscì venne completamente ignorato dal sottoscritto. In effetti, fu l’ex editore-capo di Multiversity, così entusiasta dalla qualità del libro, che praticamente mi obbligò a recensire il primo numero della serie.
«Perché non hai recensito Chew?» mi chiese in preda alla frustrazione.
Dovete comprendere che la lunga serie Image Comics di John Layman e Rob Guillory arrivò in un periodo in cui era facile passare inosservati. I fumetti su internet avevano uno spazio dagli orizzonti molto più ristretti, e anche la Image era differente. Oggi prediletta fra gli editori di fumetto, Image all’epoca deteneva solo il 3.78% del mercato in termini di unità complessive (oggi si aggirano normalmente fra il 9 e il 10%), e l’arrivo di nuovi titoli della “I” non era atteso col fiato sospeso. Certo, The Walking Dead era il loro fumetto di punta anche allora, ma vendeva due terzi in meno di quanto non faccia adesso. Non solo, Chew parlava di un poliziotto che riceveva impressioni psichiche dal cibo dopo che un’influenza aviaria aveva ucciso milioni di persone, ed era realizzato da due autori di cui non avevo mai sentito parlare. Non era il tipo di fumetto in grado di generare delle attese, quantomeno perché suonava davvero molto strano.
Tuttavia lo lessi, e lo trovai formidabile. Mi sentii sciocco ad essermelo perso.
Avanti veloce di sette anni e mi ritrovo a gestire un mio sito, Uncanny X-Men è al suo quarto volume, ComiXology conta i propri utenti nell’ordine delle centinaia di milioni, il mercato è quasi il doppio… e Chew? Ha vinto l’Eisner e l’Harvey Awards, è stato un best seller del New York Times ed è stato pubblicato in 11 lingue. Sebbene ci siano stati successi maggiori, secondo me, Chew è la massima aspirazione per un fumetto creator-owned, e rappresenta meglio di qualunque altro le speranze e i sogni di ciò che si riesce a ottenere raccontando le proprie storie. Il mese prossimo, con il 60° numero – che dovrebbe uscire entro la fine dell’anno – inizierà il suo ultimo arco narrativo, che porterà la storia a un termine.
Per celebrare l’imminente inizio della fine della serie, esaminerò la storia dietro al fumetto con l’aiuto di Layman, Guillory e un paio di altri, e analizzeremo il suo impatto in generale.
La Storia dietro Chew
Anche senza conoscerlo direttamente, molti lettori di fumetto hanno avuto fra le mani fumetti su cui John Layman aveva lavorato ben prima di Chew. Due dei miei fumetti preferiti di sempre sono Planetary e The Authority, e Layman editò parte del primo – di Warren Ellis e John Cassaday – e subentrò nell’ultimo quando arrivarono Mark Millar e Frank Quitely.
Anche se stava avendo successo come editor, il suo obiettivo era quello di scrivere, ma DC/Wildstorm – l’editore dei suddetti fumetti – non voleva che gli editor scrivessero. Così Layman finì per fare il freelance, lavorando fra gli altri sulla serie di Gambit e su Tek Jansen di Stephen Colbert. Fu un periodo di alti e bassi, in cui si alternavano discreti successi e momenti di magra. Fu proprio durante un periodo di magra che gli capitò un’opportunità al di fuori dei fumetti che cambiò le carte in tavola.
«All’epoca, mia moglie si occupava di giornalismo, il giornale stava morendo, e avevamo appena avuto un bambino. Contemporaneamente, un mio amico che lavorava in Nintendo mi raccomandò per un ingaggio su un videogioco. L’Activision voleva assumerlo e lui disse che non poteva per un conflitto di interessi, ma aggiunse: ‘Ehi, perché non prendete il mio amico che fa fumetti.’ E loro: ‘oh, i fumetti sono fighi, vediamolo.’» racconta Layman. «Così scrissi un video game, e mi pagarono qualcosa come dieci volte quello che prendevo per un fumetto, se non 15 o 20 volte tanto. Una follia. E uno dopo l’altro i lavoretti cominciarono a piovere dal cielo.»
«Con i fumetti non riuscivo a fare una lira, ma con i video game facevo soldi a palate.»
Uno dei giochi che gli proposero di fare era una chicca, ed era anche legato al suo vero amore: i fumetti. Un’azienda chiamata Cryptic fece a Layman una grossa offerta. Volevano che fosse il loro autore in-house per un grosso gioco multi-player online che stavano sviluppando per la Marvel, con alle spalle lo scrittore superstar Brian Michael Bendis, che aveva avuto l’idea. Avrebbe dovuto trasferirsi, ma lo avrebbero pagato molto e, pensò Layman, sarebbe potuto essere un ottimo modo per rimettere un piede in Marvel. Così accettò il lavoro.
Nel frattempo, c’era questa storia che non gli dava pace: un fumetto comico su un’influenza aviaria dai risvolti cannibaleschi al quale stava pensando da un po’. Ogni tot anni c’è una nuova apocalisse all’orizzonte – il virus Zika è la paura di oggi, per esempio – e Layman ci si voleva inserire in un modo alla Saturday Night Live. Ma l’idea non era ancora completamente sviluppata. Aveva il poliziotto cannibale, l’idea che il poliziotto dovesse mangiare delle cose per ricevere impressioni psichiche, i polli illegali a causa di una devastante epidemia di influenza aviaria e una donna che con i suoi scritti invita ad assaggiare il cibo, ma questo era tutto, confida Layman. Quindi, ecco l’epifania: tutta l’idea ruotava intorno al cibo.
«Improvvisamente l’universo della storia si arricchì,» disse Layman. «Non credo di aver fatto questa connessione in modo cosciente prima di averla proposta a chiunque.»
Layman era convinto dell’idea, ma gli altri intorno a lui erano meno ottimisti.
«Succedeva che mi presentassi e William Christensen di Avatar mi diceva tipo ‘non vorrai di nuovi propormi quello stupido fumetti sui cannibali.’ Alcuni dei miei colleghi amici ribadivano ‘è un suicidio.’» confessa Layman.
Lo scrittore B. Clay Moore (Hawaiian Dick, l’imminente Savage per Valiant), era uno dei colleghi a cui aveva parlato. Gli piaceva l’idea, ma era scettico sul fatto che potesse entrare in sintonia con i lettori.
«Quando John mi descrisse i presupposti di Chew, gli dissi che avrebbe assolutamente dovuto farlo, perché c’è del valore nel creare un soggetto originale,» dichiara Moore. «Gli dissi anche che nessuno lo avrebbe letto, e che non avrebbe mai venduto.»
Moore confessa che anche Layman lo sapeva, ma era comunque ben disposto a farlo.
«Lo farò anche se è un suicidio. È come… sai… voi dite che non venderà, ma a me in realtà non interessa. Lo farò,» racconta. «Era un po’ il mio ultimo respiro nel fumetto.»
Vi starete forse chiedendo in che modo i lavori sui video game facciano parte di questa storia. Di fatto misero a disposizione un elemento essenziale per far partire Chew: il finanziamento. Dopo aver avuto il lavoro di Cryptic, arrivò un assegno per il video game di circa $15,000 che non si aspettava e che gli diede la possibilità di finanziare Chew, visto che gli editori che aveva contattato lo avevano regolarmente e ripetutamente rifiutato, compreso Vertigo Comics. Aveva sempre sperato di avere una tariffa per pagina, ma con questa entrata a sorpresa, era in grado di seguire la strada del DIY.
«Nessuno voleva prendere in considerazione Chew. Decisi che me lo sarei finanziato io stesso. Avrei fato cinque numeri e avrei potuto dire che sono scomparso dai fumetti per un po’, ma ecco il tipo di roba indie figa che ho fatto che spero abbia buone recensioni e spero che la gente apprezzi,» continua Layman. «Chew sarebbe dovuta essere la cosa che mi avrebbe portato altro lavoro.»
A quel punto – che Layman stima essere intorno all’aprile o il maggio del 2007 – cominciò la sua ricerca per l’ultimo elemento essenziale del fumetto: un disegnatore. E la sua ricerca non solo gli procurò un futuro partner; lo mise perfino in contatto con un editore di Image.
«All’epoca, avevo un budget e volevo assumere delle persone. Per cui chiamavo un po’ tutti i miei amici dicendo, ‘hey, ho un po’ di soldi, conosci qualcuno che andrebbe bene per questa cosa?’» racconta. «In verità non chiamai Eric (Stephenson, l’editore di Image) per proporlo. Lo chiamai perché ci conoscevamo. Lui rispose e io gli dissi, ‘hey, sto scrivendo questa commedia su un poliziotto cannibale durante un’influenza aviaria. Ho un budget e sto cercando un disegnatore. Hai qualcuno da propormi?’»
«E lui: ‘beh, no, ma se trovi qualcuno, fammi sapere perché l’idea mi piace.’ E improvvisamente, questo cambiò tutto».
«La cosa che creava un interesse immediato per Chew era proprio il fatto che fosse così diversa da tutto, al punto che non sapevo quasi cosa farne quando John me lo propose la prima volta,» spiega Stephenson. «Non c’era niente di lontanamente simile a Chew sul mercato all’epoca, e secondo me ha costituito uno dei primi esempi dell’avere in mano qualcosa di così unico che sembrava sciocco non dargli almeno una possibilità.»
«Anche la passione di John per il progetto fu decisivo, perché in pratica mi disse che sapeva che il lavoro avrebbe potuto essere non a lungo termine, ma che doveva fare almeno il primo arco narrativo per liberarsi del peso,» aggiunge. «Non si trattava solo di un altro lavoro: era qualcosa che doveva portare a termine.»
Per Image, l’interesse risiedeva nella sua unicità. Stephenson promosse il libro come qualcosa «senza mezzi termini, come The Walking Dead, ma su una strada tutta diversa.» All’epoca – e anche oggi in certo qualmodo – il mercato era pieno di fumetti che sembravano tutti della stessa pasta, e a Stephenson piaceva che Chew rifuggisse le formule conosciute.
«I fumetti migliori funzionano perché stuzzicano un desiderio che le persone neanche sanno di avere prima di leggere il primo numero» dice Stephenson.
Questo era ovviamente un enorme potenziale per il libro, ma offrì anche a Layman a) una gratifica extra per i potenziali illustratori, perché il libro aveva già una casa, e b) la possibilità di far interpretare a Image il ruolo del poliziotto cattivo nel caso non fosse piaciuta loro la persona che lui avesse eventualmente scelto come disegnatore.
Nel frattempo, Rob Guillory stava appena iniziando a farsi strada nel mondo dei fumetti. Dopo sette anni passati a partecipare a convention e a mostrare il suo lavoro a chiunque, aveva messo in fila alcuni piccoli lavoretti, ma se le cose non avessero avuto successo si stava già dirigendo verso una potenziale fine.
«Nel luglio 2008, io e mia moglie elaborammo un piano quinquennale. In sintesi, avrei lasciato il mio lavoro extra-fumettistico ben remunerato per seguire la carriera fumettistica a tempo pieno, e lei ci avrebbe mantenuto a galla con il suo lavoro di vendita ben remunerato. Ma se alla fine dei cinque anni io non avessi avuto niente in mano, avrei cercato un lavoro ‘vero’, seguendo i fumetti come progetto laterale, e avremmo dato inizio a una famiglia,» racconta Guillory. «Quindi all’epoca ero davvero completamente preso. Immaginavo che se era destino che io facessi questa cosa, qualcosa si sarebbe presentato.»
«E letteralmente sei giorni dopo aver lasciato il mio lavoro, mentre stavo facendo le valigie per partire per SDCC, ricevetti la prima mail da John Layman.»
Layman arrivò a Guillory tramite Brandon Jerwa, un collega sceneggiatore che stava lavorando con l’illustratore a un libro di TokyoPop.
«(Jerwa) mi disse che aveva un illustratore di manga, e io dissi tipo, ‘oddio, questa è l’ultima cosa che voglio.’ Ma lui continuò, ‘guarda il suo sito, fa anche delle cose stile cartoon, animate.’» continua Layman. «E dopo averlo visto pensai: ‘oh sì, sono piuttosto belle’.»
Layman diede a Guillory una possibilità, e quasi immediatamente, fu un disastro.
«Gli avevo detto che avevo proposto Chew presso Vertigo, e lui aveva disegnato in questa specie di stile Vertigo, e quindi io tornai e gli dissi, ‘no, no, no’,» racconta Layman. «Secondo Rob, in tutta la sua vita gli era stato detto di disegnare secondo un certo stile. Per cui stava cercando di scimmiottare lo stile Vertigo. Ma io volevo un tipo di fumetto divertente che non repellesse: quando lo descrivo, anche oggi, suona disgustoso, per cui devo specificare “ma è una commedia!’»
«In pratica vorrei qualcuno che solo guardandolo si capisca immediatamente che questo vuol essere un fumetto divertente.»
I primi tentativi di Guillory – che potete effettivamente vedere sul retro della prima edizione Integrale / Onnivora – per poco non convinsero Layman che lui non andava bene. Ma una conversazione permise ai due di capire cosa fosse necessario perché funzionasse.
«Onestamente, non ‘colsi’ subito Chew. Non riuscivo a capire il tono che stava cercando,» spiega Guillory. «Per ironia della sorte, il tono che voleva era esattamente quello in cui ero specializzato, ma all’epoca facevo fatica a credere che qualcuno volesse pagarmi praticamente per fare lo scemo sulla pagina – che è quello che faccio.»
«Avevo modelli piuttosto specifici su quello che i fumetti potessero essere, e non avevo mai letto davvero a un libro così a cavallo fra i generi, proprio come Chew. Non mi fraintendere, Chew è assolutamente il mio genere di fumetto, ma a quel punto non molte persone mi volevano assumere perché non erano sicure che un libro con i miei disegni stupidi avrebbe venduto,» aggiunge. «Alla fine, Layman mi disse semplicemente ‘fai quello che fai tu,’ e io lo feci, dubitando che altre persone lo avrebbero effettivamente comprato.»
«Per fortuna, mi sbagliavo.»
«Rob era importante, penso, perché ha uno stile peculiare,» riporta Stephenson. «Perché Chew funzionasse era necessario che ci fosse qualcosa di un po’ bizzarro nei disegni e gran parte del fascino di Rob deriva proprio da questo. Lui ha il suo approccio — non si può confondere il suo lavoro con quello di qualcun altro — e penso che questo abbia aiutato a rendere Chew un mondo a sé stante.»
Una delle cose più interessanti sugli esordi di Chew è come sia Layman sia Guillory fossero in una posizione unica: far diventare un fumetto così eccentrico un successo. L’ho detto prima e lo dirò ancora – Chew è un libro strano da matti – ma perché potesse funzionare aveva bisogno di un paio di autori che fossero pronti a impegnarsi sull’idea in un modo che avrebbe spaventato la maggior parte delle persone. Che si sia trattato di una decisione consapevole o meno non è chiaro, molte persone che creano storie – in un sacco di media – inseguono le idee che hanno il maggior potenziale di successo rispetto a quelle cui loro stessi sono più in sintonia. Molti suggerirono a Layman di fare un fumetto con un supereroe semplicemente perché era quello che chiedeva allora il mercato. Ma a causa del piano quinquennale di Guillory, dei soldi per il videogame di Layman, la politica di non intervento di Image, e l’incastro delle tre cose insieme, riuscirono a fare quello che volevano fare e e vedere cosa succedeva.
«Non avevo mai affrontato una cosa in questo modo, ma non avevo niente da perdere,» confessa Guillory. «Ho visto l’opportunità, ed ero determinato a coglierla.»
E funzionò. Fin dall’inizio il libro entrò in sintonia con lettori e venditori. Anche Layman lo descrive come «questo successo bizzarro», e come rilevato prima, il libro ha registrato un successo che pochi titoli possono eguagliare. Nel suo primo anno, vinse come Best New Series agli Eisner e agli Harvey Awards mentre Guillory ottenne il Best New Talent agli Harvey Awards. L’anno successivo, Chew vinse il premio come Best Continuing Series agli Eisner Awards, e vendette innumerevoli copie delle sue diverse edizioni. Alla fine, della serie usciranno 60 numeri (senza contare i quattro speciali che sono stati fatti), 12 raccolte, 6 edizioni con copertina rigida e tre giganti compendi che vengono chiamate edizioni “buffet”. Al momento è pubblicato in undici lingue, e in Francia, Germania, Italia e Spagna, sono uscite almeno dieci edizioni. In Francia, poi, è un successo – Guillory una volta dichiarò che forse era a causa del loro amore per il cibo – e lì ha un titolo anche migliore: Tony Chu, Detective Cannibale.
Ho chiesto a entrambi gli autori del successo del libro, ed è qualcosa di cui sono molto orgogliosi.
«Ci sono stati un paio di momenti in cui ho fatto un passo indietro e pensato. ‘È tutto vero?’» confida Guillory. «Per molti versi, mi sento ancora giovane nel settore dei fumetti, anche se ho all’attivo circa otto anni di Chew. Ma per lo più, non ho il tempo di fermarmi e capirlo bene.»
«Quando chiuderò l’ultimo numero in ottobre, uno dei miei obiettivi è di leggere la serie per intero. Sarà piuttosto emozionante, penso.»
«Non ha il successo eccezionale che aveva un tempo, ma ora ce ne sono di più, per cui è come se fosse morto per centinai tagli con la carta, ma la carta è denaro», continua Layman. «Per cui stiamo ancora facendo dei buoni soldi, anche se non siamo più così popolari, e francamente, preferisco così, senza i riflettori puntati e noi che non siamo più i beniamini».
Sperano che il libro possa avere ancora più successo più tardi – Layman ha notato che c’è tutto un nuovo pubblico là fuori che aspetta che una serie sia terminata per leggerla tutta d’un fiato – ma come anticipato prima, per molti versi è già incredibile che abbiano raggiunto un tale successo. Oltre al fatto che si tratta di un libro davvero strano – Layman ammette «nessuno lo comprese davvero o sapeva cosa farne, me compreso» – avevano un problema eccezionale di cui occuparsi per un fumetto che sta per toccare i 60 numeri: il suo disegnatore non aveva mai disegnato un numero completo fino a quel punto.
«Capire come fare le matite, inchiostrare e colorare un mensile era di gran lunga la parte più difficile,» spiega Guillory. «Prima di Chew #1, non avevo mai finito un numero intero di qualcosa. Si era sempre solo trattato di un quattro pagine in un’antologia qua, o un otto pagine là. Non avevo mai terminato un intero fumetto dal punto di vista visuale prima, per cui quello è stato complicato.»
«Nei primi tempi, cercavo solo di farlo al mio meglio, e poi lo lasciavo andare. Credo che qualunque artista impari a trovare un compromesso fra ‘questo disegno non è perfetto’ e ‘ok, ma posso accettarlo vista la scadenza’», aggiunge. «Per cui era difficile. Dubito che avrei potuto mantenere la mia sanità mentale senza i grandi assistenti al colore che ho avuto negli anni – Taylor Wells, Steven Struble e Lisa Gonzales.»
Dopo circa tre numeri, però, Guillory trovò una ‘comfort zone’ che gli permetteva di adottare il suo stile e lasciarsi andare nel modo che gli calzava meglio. Dopo aver lavorato insieme per così tanto tempo, la loro collaborazione era ben oliata.
«Dopo 60 numeri, abbiamo sviluppato una specie di precisa stenografia. Di solito io so a cosa mira, e lui sa cosa porterò sul tavolo. Se c’è qualcosa di speciale che vuole che provi, o qualche nuovo trucchetto con cui voglio divertirmi, è sufficiente una telefonata per essere sulla stessa lunghezza d’onda,» prosegue Guillory. «È un’ottima dinamica.»
Layman confida che nei primi tempi era meticoloso su ogni dettaglio del libro. Non lo scriveva solamente, ma lo letterava e faceva molto lavoro di produzione. Nei primi tempi «agonizzava sugli errori», ma ormai è roba vecchia. Adesso gli è facile a tal punto che ha assemblato il menabò di un numero da ubriaco dopo una convention in India.
«Siccome ho viaggiato molto a livello internazionale, molte volte finivo nel mio hotel a far le ore piccole di notte per mettere insieme un albo. Ormai lo faccio in pochissimo tempo» afferma Layman.
E dopo sette anni, questo ha permesso loro di mantenere non solo una buona qualità, ma anche delle uscite regolari. Anche se qualche volta le tempistiche di uscita hanno subito dei rallentamenti, è sempre stato per motivi personali e inevitabili (per esempio: l’imminente nascita del terzo figlio di Guillory). Quando tutto volgerà al termine, il libro avrà avuto una vita di sette anni e mezzo e avrà visto 64 uscite, se includiamo gli speciali. È un incredibile livello di regolarità quello che ha aiutato il loro successo – dopo tutto, niente più che i ritardi costituiscono per i fumetti il bacio della morte.
Oggi hanno meno l’attenzione puntata, ma questo dipende dal fatto che il loro fumetto è ormai vecchio nel settore. Controllate un diagramma di vendita: là fuori Chew è uno dei titoli coi numeri più alti. A loro sta bene, perché il libro continua a prosperare nonostante la stampa ridotta e il flusso di premi che va esaurendosi. Questo però non significa che la loro influenza non sia più percepita, soprattutto ora che il libro va verso la sua conclusione.
L’eredità di Chew
Ho sviluppato una teoria nel corso della mia carriera di scrittore, probabilmente non largamente condivisa: penso che Chew di Layman e Guillory sia uno dei fumetti più influenti degli ultimi dieci anni.
Potete deridere l’idea, e mi va bene. Ma il mese in cui Chew debuttò, i titoli bestseller di Image erano due libri di Robert Kirkman, Spawn, un titolo di Witchblade, qualcosa creato dall’attore Milo Ventimiglia e un crossover di cui non avevo mai sentito parlare con due superteam Top Cow, Mighty Avengers e Thunderbolts. Non era solo la Image a essere differente; tutto nei fumetti era diverso. Poi arrivò questo fumetto assolutamente ridicolo su un poliziotto cannibale che ha a che fare con un mondo terrorizzato dai polli, e fu un successo. Non fece uno scalpore eccezionale – non è mai arrivato fra i primi 100 libri venduti, figurarsi i primi 10 – ma era ed è un’impresa redditizia, ha ricevuto riconoscimenti e premi, e soprattutto, rimane un gran buon fumetto anche dopo sette anni. Non solo, è il prodotto di due autori poco noti.
Parafrasando Anton Ego di Ratatouille, «non tutti i fumetti possono diventare dei grandi successi, ma un grande successo può celarsi in qualsiasi fumetto.» Chew ne era la prova. Ha mostrato a chiunque nel settore che i fumetti non devono essere una cosa particolare per avere successo: possono essere qualsiasi cosa immaginiate, se fatti bene. anche se non si può ritenere responsabile della creazione dei grandi creator-owned di oggi, è facile guardare a Chew come alla prova del fatto che per ottenere successo non c’è bisogno di un grosso accordo con la TV quanto di qualcuno che fa fumetti per se stesso.
Ho chiesto a Stephenson dell’influenza di Chew, e la pensava in modo simile.
«In nessun modo avrei potuto chiedere a John di promuovere un libro come Chew. Doveva venire da lui, e da Rob, ed è questa la bellezza del miglior lavoro creator-owned. John e Rob hanno avuto un successo incredibile facendo esattamente quello che volevano fare, raccontando la loro storia esattamente come volevano raccontarla, e con i loro tempi,» spiega Stephenson. «Per molti versi penso che Chew sia il libro che ha mostrato agli altri sceneggiatori e illustratori che potevano fare letteralmente qualsiasi cosa volessero e avere una chance di successo.»
Mentre Layman esitava nel far eco al mio sentimento, Guillory confessava di averlo già sentito dire in giro prima. Secondo lui, al momento dell’accordo con Image, loro si sono trovati «nel posto giusto nel momento di allineamento delle stelle», ma concordava su un mio punto.
«Se Chew può prendersi il merito di qualcosa, penso sia il fatto che il suo successo ha ispirato probabilmente altri autori ed editori a provare le proprie idee più folli,» dichiara. «La lezione è: se Chew può avere successo, qualsiasi cosa è possibile.»
La più grande differenza fatta da Chew, però, è stata nelle vite dei suoi autori. Se entrambi ammettono che piace loro pensare che senza Chew sarebbero ancora in qualche modo nel mondo dei fumetti, è dura per entrambi immaginare cosa sarebbero state le loro vite senza di esso. Layman confessa che probabilmente avrebbe un lavoro al di fuori dei fumetti, ma che altrettanto probabilmente sarebbe ancora lì a provare a fare il fumettista preoccupandosi di ogni dettaglio nelle e-mail dagli editor.
«A questo punto è giusto dire che Chew ha completamente cambiato la mia vita,» afferma Layman. «Ho visto il mondo e ora ho un certo grado di sicurezza finanziaria, e, è vero, mia moglie ha ancora un lavoro – anzi, ne sta iniziando uno eccezionale – ma l’idea di potermi prendere tre mesi di pausa (dopo Chew) e ricaricarmi creativamente… non tutti lo possono fare.»
«Sono consapevole di quanto sono pazzescamente fortunato.»
Layman sta diligentemente lavorando alla sceneggiatura finale, anche se fin dall’inizio sapeva come sarebbe andata a finire la serie. È eccitato all’idea di prendersi una pausa dai fumetti, ma c’è un sacco di lavoro da fare – personaggi da uccidere, questioni da risolvere, e un opportuno «finale Soprano-esco» da scrivere.
Mentre gli scrittori hanno l’elasticità per affrontare diversi progetti, negli ultimi otto anni Guillory è stato fedele esclusivamente a Chew. Per cui, gli mancherà soprattutto il suo collaboratore.
«Mi mancherà soprattutto l’andirivieni con Layman. Ovviamente rimarremo amici, e ho ancora intenzione di seccarlo di tanto in tanto, ma non c’è niente come un collaboratore creativo,» dichiara Guillory. «È come se fossimo stati nel mezzo di una lunga conversazione per otto anni. È folle. Per cui mi mancherà, finché non lavoreremo di nuovo insieme.»
«E naturalmente, mi mancheranno i personaggi, ma ho la sensazione che disegnerò Poyo fino alla fine dei miei giorni.»
La cosa più importante, però, per Guillory, è quanto Chew abbia cambiato la sua, in parte per il modo in cui la sua vita personale correva parallela a quello che gli capitava a livello professionale.
«Quando ho iniziato a lavorare a Chew, avevo 26 anni. Mia moglie e io eravamo sposati da poco più di un anno. E dal punto di vista della carriera, io ero un novizio nel settore,» disse. «Otto anni dopo, ne avevo 34, ed ero sposato da quasi un decennio. Avevamo avuto tutti e tre i nostri figli durante la lavorazione di Chew. E a livello ancora più personale, sono diventato cristiano durante la lavorazione di Chew, e ci sono più pace e gioia nella mia vita di quanto non abbia mai avuto.»
«E naturalmente, dal punto di vista della carriera, Chew mi ha aperto opportunità praticamente con ognuno dei maggiori editori di fumetti, per cui mi sento come se avessi un campo spianato di fronte a me. Davvero non riesco a esprimere in che modo questo libro mi abbia cambiato le carte in tavola,» aggiunge. «Mi ha permesso di provvedere alla mia famiglia in un modo che non avrei immaginato, e mi ha portato in luoghi che non avrei nemmeno sognato. Mi ha aperto molte porte, professionalmente e personalmente.»
«Per molti versi, Chew ha apparecchiato la tavola per quello che verrà dopo. E mi chiedo quando si tornerà con i piedi per terra; è un buon gioco di parole culinario per una chiusa, no?»
La fine di Chew inizia il mese prossimo con il numero #56, e qualsiasi cosa succeda nei cinque numeri rimanenti, il suo impatto continuerà a essere percepito dai lettori che lo hanno amato, gli autori che ha ispirato, gli editori con cui è uscito, e soprattutto i due uomini cui ha cambiato tutto.
*David Harper vive in Alaska, si occupa di marketing e pubblicità ed è tra i principali critici ed esperti di fumetto americani. È stato editor del sito specializzato Multiversity Comics, che ha lasciato per aprire Sktchd, rivista online sul fumetto dedicata ai longform. Attualmente scrive di fumetto come free lance e realizza il podcast Off Panel.
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