Se ha senso, oggi, la definizione “di culto” per un autore di fumetti, può essere il caso di Brian Chippendale. Classe 1973, membro del fondamentale collettivo Fort Thunder fino al suo smantellamento nel 2001, artista da galleria affermato, autore prolifico di cui è difficilissimo leggere qualcosa visto il fallimento della casa editrice che lo pubblicava, membro insieme a Brian Gibson – l’autore del videogioco Thumper – della band noise-rock Lightning Bolt (esperienza che, tra le altre cose, lo porta a girare il mondo un sacco di volte e a collaborare con Bjork; sotto un album intero con copertina sua).
Tra le sue miriadi di attività va ricordato anche un esperimento con i web-comic, ospitato in origine sul sito della defunta Picture Box. Puke Force, questo il simpatico e rappresentativo titolo scelto per la serie (puke = vomito), era costituito da una serie di pagine dal layout orizzontale disegnate con il suo solito tratto deliberatamente grezzo e infantile. La costruzione delle tavole riproponeva ancora una vola il caratteristico senso di lettura a “serpente” – definizione dell’autore – dei precedenti lavori di Chippendale (non si torna mai alla vignetta a capo, ma una volta arrivati alla vignetta più a destra della fascia si passa a quella immediatamente sotto e si procede verso sinistra) e l’idea che ci si era fatti era quella di un racconto corale, un poco sconclusionato e molto improntato all’improvvisazione. Ci sono voluti i tipi della Drawn and Quarterly a convincere Brian a rimetterci mano e a dargli una conclusione definibile come tale, in modo da poterlo pubblicare in versione fisica e fruirlo in maniera degna.
In questo senso va detto che Puke Force è prima di tutto il primo libro normale di Chippendale. Cosa parecchio ironica visto che non era nemmeno destinato a al formato cartaceo. Come facevano giustamente notare sulle pagine di Vice il tomo “non ha uno spessore enorme (come il suo predecessore del 2010, If ‘n Oof), ne è estremamente ampio e difficile da tenere in mano (come Ninja del 2006), o disegnato sulle pagine di un catalogo giapponese (Maggots del 2007)”. Oltretutto è anche il primo lavoro dell’autore di Providence a essere leggibile in maniera godibile (o anche sensata), rendendolo a oggi la sua opera più misurata e avvicinabile da chiunque. Considerando che stiamo pur sempre parlando di un ex-componente di Fort Thunder (collettivo dai connotati spiccatamente sperimentali), quindi non aspettatevi il solito fumetto indipendente fatto di segni tremolanti e intimismo da pochi spiccioli come vorrebbe il più stopposo dei cliché.
Uno dei grandi meriti del collettivo di Rhode Island fu infatti quello di riuscire a portare un certo tipo di immaginario nerd – fantasy, videogiochi, serie di cartoni animati di altre decadi – nel mondo dell’autoproduzione più ruvida, rendendolo una base perfetta per costruirci universi folli e del tutto personali. Da questo punto di vista l’opera più riuscita è Multiforce di Mat Brinkman, di cui un giorno o l’altro speriamo arrivi una qualche ristampa a prezzi umani, che il fumettista Frank Santoro definiva come – riprendo l’intervento da un ottimo artico di Valerio Mattioli – “un’opera stramba, contorta e incasinatissima che mescola fantasie da Lord Dunsany dei bassifondi e horror disturbato, Tolkien e psichedelia indigesta, videogames e bruitisme grafico, combattimenti sanguinari e cittadelle medieval-extraterrestri. I protagonisti sono mostri, giganti e creature deformi che si muovono in un universo buio, labirintico e minaccioso, mentre la trama… be’, difficile ricondurre a una narrativa ordinaria il surreale susseguirsi di incontri, scontri, apocalissi e rivelazioni che scuotono le viscere di Citadel City, teatro della vicenda”. Ecco, Puke Force funziona più o meno nello stesso modo, ma con più punk-rock.
Il volume di Chippendale è costituito da diverse linee narrative ambientate nel folle mondo di Grave City. Una città a metà tra Tromaville e la King City di Brandon Graham, solo disegnata da un tredicenne sui bordi del suo libro di matematica. Tra i viali di questa metropoli tutti si conoscono, si chiamano per nome e passano il tempo ciondolando tra laghi tossici e sale da concerto in rovina. In più c’è un sacco di terrorismo, una sorta di possessione da hater scaturita dal web e che si diffonde a macchia d’olio, nebbie della memoria, un sistema di controllo centralizzato, ribelli, pensatori che preferiscono starsene a casa a comprarsi fumetti rari online, strani bar dove si organizzano quiz mortali, band sconclusionate, gente vestita come He-Man, mostri a forma di granchio umanoide, M&M’s dall’aria piuttosto depressa, robot, emigranti, Gesù/Charles Manson e cioccolato nascosto tra le pareti. Insomma, un autentico microcosmo dove confluiscono un sacco di idee e di visioni raccolte lungo i sette anni di gestazione del volume. Sebbene la storia non abbia uno sviluppo lineare e non si faccia troppi problemi a saltare di palo in frasca, perdendo sovente enormi pezzi di narrazione e arrivando al finale guardandosi bene di chiudere tutti i buchi, la sensazione è quella di un’opera compiuta. Un’autentica finestra su di un mondo dove ci si perde molto volentieri. Brian gioca con il suo umorismo, alternando con naturalezza didascalismo da occupazione liceale, vita vissuta e bassezze da ragazzino. Eppure, nonostante i personaggi insopportabili e meschini non manchino, c’è un qualcosa di estremamente positivo che pervade ogni pagina di Puke Force.
Aldilà della violenza, delle istituzioni invasive e del decadimento generale, al centro dei singoli spezzoni di narrazione ci sono sempre gruppi di personaggi uniti da qualche tipo di affetto. Come abbiamo già detto, per quelle strade pare si conoscano tutti. E, seppure paia una cosa banale, è scontato che per sopravvivere in un universo selvaggio e allo sbando come Grave City i rapporti umani e il senso di comunità sono vitali. A dispetto di ogni previsione il finale del volume è lieto al 100%, così come si risolvono nel migliore dei modi un sacco di altri sub-plot. Non potrebbe esserci testimonianza migliore della maturità di Brian Chippendale se non questa sua forte positività, rispetto sopratutto al sostanziale pessimismo e/o cinismo solitamente diffuso da questo tipo di produzioni. “Il senso di comunità gioca ancora un ruolo fondamentale nella società, ed è più forte che mai. Non solo comunità online, ma anche fisiche, mano nella mano. Viviamo ancora in un mondo solido. Abbiamo ancora bisogno di mangiare. Così la speranza è in questo. Gli esseri umani non saranno mai veramente ottenere risucchiato in un inferno digitale. Le toilette ci terranno ancorati a terra” spiegava l’autore in nell’intervista su Vice già citata.
Guardandosi in giro non ci si può non rendere conto di come Puke Force sia prima di tutto un’opera politica, e che sotto i suoi attacchi facili-facili al populismo del web e al capitalismo selvaggio nasconda una lucidità di visione d’insieme davvero sorprendente. Le pagine di questa bizzarra epopea potranno anche fare di tutto per apparirci il più fini a se stesse possibile, ma a conti fatti finiscono per parlarci di auto-riflessione e di presa di coscienza. Di cosa è stato e di cosa ci circonda in questo momento.
Chippendale riesce a far riflettere su punti così importanti senza mai apparire pesante, né trattandoci con paternalismo o dando spazio a soluzioni scontate. Piuttosto sfrutta il suo bizzarro immaginario per farci vivere il nostro presente attraverso una serie di sequenze sconclusionate, piene zeppe di roba che sembra messa lì per caso. Tenendosi lontano anni luce da certa autoreferenzialità arty-farty, continuando ad approfondire un’estetica personale che nel corso degli anni ha finito per influenzare un numero folle di autori, sfruttando il fumetto come il medium unico che è, l’autore di questo libro ci consegna quello che in molti considerano il suo lavoro migliore. Con la speranza che il pubblico portato dalla nuova casa editrice e le lodi raccolte in questo anno di pubblicazione lo convincano a rimettersi seriamente al tavolo da disegno (magari evitando fanzine da 25 copie come il suo ultimo Antrophy Life).
Puke Force
di Brian Chippendale
Drawn & Quarterly, 2015
120 pagine, b&n – 22,95$