Quello che vedete sotto è uno dei dettagli fumettistici che mi hanno colpito maggiormente nel corso del 2016. Ho pochi dubbi sul fatto che sia la sequenza di balloons più affascinante che ricordi negli ultimi tempi, opera di un autore sostanzialmente ignoto in Italia. Per la verità da parte di Néjib, di cui avevo già apprezzato la quasi-biografia di David Bowie incentrata su Haddon Hall, mi aspettavo un altro buon libro. Stupor Mundi ha invece spernacchiato le mie aspettative, offrendo un graphic novel tanto sobrio quanto scoppiettante e, persino, geniale. Più di quanto avessi immaginato. E fra le diverse ragioni, ci metto anche questo dettaglio balloonologico (che spiego dopo una doverosa premessa):
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Perché la questione, quando si parla di balloons, tende a essere la seguente: ci si chiede se sono graficamente armoniosi, coerenti con il lettering o la calligrafia, ma anche equilibrati nel peso del testo che contengono, visivamente belli o creativi, e funzionali alla composizione del disegno. Ovvero, un mix raro da trovare, sia nelle mani di un singolo artista che in un team con un bravo art director. Ma la sfida che devono compiere i balloons più riusciti, per colpire la retina e fissarsi nella memoria, è ancora più difficile da immaginare e, soprattutto, da governare. L’arte del balloon tocca il suo apice quando uno o più di questi piccoli, ‘banali’ dispositivi grafici è in grado di arricchire di significati – o persino incarnarne la quintessenza – dell’opera cui appartiene.
Il balloon-mondo
E qui qualcuno dirà Andrea Pazienza, o anche Paolo Bacilieri. Qualcuno dirà saggiamente “è un gran lettering a fare la differenza”. Che però non significa solo il lettering manuale, come ha insegnato quasi 80 anni fa Crockett Johnson con Barnaby. E allora, a ben vedere, anche nel fumetto Marvel si possono trovare balloons incantevoli e, perché no, persino i balloons geometrici e standardizzati di Diabolik, in fondo, contribuiscono a costruire la grammatica grafica di un certo fumetto. A volte, basta davvero guardare un balloon per capire di cosa o di chi stiamo parlando.
Nel fumetto gettare un “colpo d’occhio” è anche una necessità. Un’azione inevitabile. Tutti voi lettori sapete bene che un qualche balloon, spesso, è lì pronto ad attrarre proprio quel primo colpo d’occhio. Il che può essere non un ostacolo, bensì un valore aggiunto al piacere della lettura fumettistica. Aprire un libro (un albo) significa anche gettare lo sguardo sui balloon, e quello sguardo significa subito “sentirsi a casa”. O, viceversa, sfogliare per un solo attimo può produrre la sensazione di trovarsi catapultati in un qualche altrove, magari idiosincratico e iper-soggettivo, a causa di balloons dalle forme mai viste prima.
Tutto vero e tutto giusto. Ma se ci riflettiamo un po’ dobbiamo fare attenzione. Non possiamo ridurre la questione a un dibattito sul balloon come stilema, ovvero come marchio di fabbrica di uno stile individuale o di una formula editoriale. Quello che voglio sottolineare è che fra i tanti balloons piatti e mediocri, e i pur numerosi balloons eccellenti, esistono anche quelli che chiamerò, da ora in poi, balloons-mondo.
Un balloon non è che una parte di un tutto, uno strumento al servizio di un progetto più vasto e complesso. Ma quando questo piccolo dettaglio, da solo, riesce a farsi autentica metafora di un’opera a fumetti, o chiave unica per rappresentarne uno snodo cruciale, il balloon diventa allora un balloon-mondo. Un balloon, cioè, che con il suo carattere grafico e con il suo comportamento visivo si rivela in grado di offrire qualcosa di più di un supporto alla narrazione o di un sostegno decorativo alla coerenza stilistica complessiva (dell’autore, o del prodotto editoriale collettivo): una narrazione grafica a sé stante. Così era riuscito a fare David Mazzucchelli, qualche anno fa, in Asterios Polyp. E così è riuscito a fare anche Néjib.
Un thriller teatrale
Se potessimo usare ogni tanto qualche espressione pratica del cinema, Stupor Mundi sarebbe “un fumetto in costume”. Ma dalle nostre parti l’espressione non funziona, perché sembrerebbe di descrivere un fumetto di supereroi, più che un thriller ambientato nel Medioevo. Sta di fatto che la sinossi è semplice: nell’Italia del XIII secolo, Hannibal, “il più insigne sapiente di tutto l’Oriente” (per qualche scettico, però, sarebbe “il diavolo in persona”), è accolto con un misto di curiosità e sospetto dai suoi colleghi europei nella fortezza di Castel del Monte, in Puglia, sotto la protezione dell’Imperatore Federico II. Un uomo celebrato da molti per i molteplici talenti e interessi, e definito stupor mundi. Confidando nella fama di mecenate del monarca, Hannibal cerca supporto economico e scientifico per perfezionare la sua ultima invenzione: la “casa della luce”. Ovvero, una vera e propria [spoilerino] macchina fotografica. Fra intrighi di corte, dispute teologiche, ambizioni e fallimenti, il suo bizzarro progetto finirà per … [ok, niente spoileroni].
Stupor Mundi è uno di quei fumetti che sarebbe tuttavia impossibile definire “cinematografico”, tanto quanto sarebbe sciocco qualificare come “letterario”. Piuttosto, tocca descriverlo come “teatrale”. E non tanto per la trama, che solo in parte somiglia a una pièce “a porte chiuse” da teatro dell’assurdo, quanto per la recitazione dei personaggi e, soprattutto, per la scenografia.
L’economia di mezzi grafici, nel disegno di Néjib, è infatti un equilibrio ben distillato fra dire e suggerire, mostrare e nascondere. Più che un’evoluzione nella nobile tradizione della linea chiara, mi pare una compiuta affermazione della più recente tendenza alla linea tenue. Nonostante l’abbondanza di fatti e personaggi storici ben documentati, così come la ricchezza degli elementi – una trama corale, personaggi oscuri e frequenti colpi di scena – che collaborano alla suspense della storia, Stupor Mundi riesce a mantenere tutta la leggerezza della sua parabola suggestiva. Un racconto che è, in fondo, un esercizio di immaginazione e astrazione, che si presenta come un romanzo storico-fantastico alla Il nome della rosa, ma si rivela invece un racconto allegorico, essenzialmente atemporale, intorno al tema del sapere come più profonda (e rischiosa) forma di potere.
Il balloon-eco di Néjib
La sequenza di vignette contenute a pagina 50 mi pare allora emblematica della semplicità, della leggerezza e al contempo della forza con cui Néjib riesce a costruire il clima e il senso del racconto. Una sequenza che rappresenta visivamente un effetto di eco, così come si verifica all’interno di un luogo specifico della fortezza. Nell’ultima vignetta della tavola precedente (p. 49) Hannibal è condotto da Gattuso, il bibliotecario, in una stanza dalle caratteristiche particolari. Vediamo i due, in una larga vignetta orizzontale, abbozzati dentro a un rettangolo, quasi fossero banali ghirigori inseriti giusto a indicare gli ‘ingombri’ spaziali in uno schizzo planimetrico:
Alla fine di pagina 50, Gattuso parlerà di quella stanza come di un “prodigio architettonico”: “il suono delle voci, sussurrate, segue la volta da un angolo all’altro”. Néjib non visualizza nessuna forma architettonica speciale, e quel che si limita a fare lungo 7 vignette è mettere in scena – oltre ai due personaggi – una linea e un balloon. Niente altro. Perché per rendere l’idea di quei sussurri che seguono la volta, ciò che serve è dare corpo ad uno “spostamento sonoro nello spazio”. Ed ecco la trovata: a spostarsi è proprio un balloon, che nello spazio delle vignette si muove lungo la linea nera tratteggiante le pareti della stanza:
La frase pronunciata nella terza vignetta da Hannibal (“Très clairement. C’est étonnant”), nella quarta vignetta si ‘stacca’ dal corpo del personaggio e corre lungo la linea della parete, dirigendosi verso l’alto. Nella quinta vignetta vediamo che il balloon campeggia in alto, lungo la volta; nella sesta ridiscende verso Gattuso; nella settima raggiunge la testa del bibliotecario. In questa vignetta il filatterio del balloon è rivolto verso l’alto: la frase ‘proviene’ dalla volta, e la direzione del filatterio ribadisce, secondo le convenzioni grafiche del fumetto, che non si tratta di una frase ‘pronunciata’ da Gattuso; il balloon è rimasto lo stesso ’emesso’ da Hannibal; semplicemente, si è spostato lungo lo spazio.
Rappresentare la eco diventa perciò una questione che mette in gioco sia il comportamento – il movimento, per così dire – del balloon che la sua stessa forma. Nonostante il suono non sia più quello uscito dalle labbra di Hannibal, ma una sua rifrazione, Néjib non tocca gli elementi formali del balloon: niente modifiche al contorno del balloon, né al lettering. La forma dello speech balloon viene conservata per ciò che è – il suono di una frase pronunciata da una persona – e ciò su cui si concentra l’azione del fumettista è quasi solo il suo spostamento. Che avviene, non dimentichiamolo, con la minore enfasi grafica possibile: la presenza di una semplice linea nera a suggerire l’andamento dello spazio architettonico.
Il balloon di Hannibal “prende vita” dunque non in un gioco grafico fine a sé stesso. Anzi, il balloon non offre alcun virtuosismo e, almeno sul piano plastico, non presenta nessun carattere autonomo: non è un balloon insolito, al contrario la sua forma è ‘normale’, analoga a tanti altri. Ciò che conta, tuttavia, è che il suo comportamento – questo sì, innovativo – è inserito in una strategia compositiva tale da renderlo un oggetto grafico dotato di un senso narrativo a sé stante. La sua funzione narrativa si basa su una sinestesia visiva: rappresenta un suono e la sua propagazione nello spazio di una stanza.
Non solo. Questo comportamento avviene in un preciso momento ‘rivelatore’ del racconto. Con questa sequenza, infatti, iniziamo a capire che la fortezza comprende spazi peculiari, che contengono aspetti segreti. L’edificio in cui si muove Hannibal si rivela un luogo tutt’altro che trasparente, al cui interno albergano altri prodigi e altri misteri. Lo stesso destino cui appartiene un certo libro, nascosto e introvabile, intorno alla cui ricerca si muoverà gran parte della storia. Ma è anche un segnale sui personaggi, come Gattuso, che esibiranno diversi saperi intorno a conoscenze antiche e arcane.
Il balloon-mondo di Stupor Mundi infine, riesce a sollevare un ulteriore livello di considerazioni. Il movimento semplice di un oggetto (grafico) quasi banale, lungo spazi e assi tracciati da linee tenui senza troppe pretese, può essere un atto denso di implicazioni (misteriose) e conseguenze (sorprendenti). La sequenza della eco fa un uso del balloon-mondo che, proprio in questo senso, si fa anche metafora dell’intero ruolo della figurazione nel fumetto: disegnare, nel fumetto, non significa produrre né “poca” né “tanta” figurazione, né precisa né evanescente. E questa metafora fiorisce con disinvoltura all’interno di un’opera in cui proprio il tema della figurazione – l’invenzione tecnologica stupefacente di Hannibal – è il vero cuore pulsante del racconto. Al punto che il protagonista, per “stupire lo Stupor Mundi” Federico II, si troverà ad affrontare la sfida – e il paradosso – di tradurre in figurazione un qualcosa che è radicalmente irrappresentabile: l’immagine che sarà chiamato a ‘fissare’ sarà la più sacra tra le immagini sacre… [e ok, anche qui mi fermo per evitare spoiler]
I meriti che hanno condotto Stupor Mundi a giocarsi la finale tra i 10 candidati a Migliore fumetto dell’anno al Festival di Angoulême 2017, non sono certo riducibili a qualche breve passaggio – pur geniale – in un graphic novel lungo quasi 300 pagine. Tuttavia mi piace pensare che tra i selezionatori, lettori certamente preparati e sensibili, un dettaglio del genere abbia rafforzato la consapevolezza di avere di fronte un lavoro di primaria importanza, ben lontano dal mero sfoggio di abilità tecnico-grafiche. O forse, senza nemmeno badarci troppo, quella sequenza potrebbe avere acceso la scintilla che può scoccare da un capolavoro autentico, anche quando esso non faccia della propria eccellenza un richiamo evidente. I balloons-mondo sono oggetti rari, e la loro apparizione non può che produrre un piacere dell’occhio – e quindi della lettura fumettistica – particolarmente intenso.