Ormai si può affermare con una certa sicurezza. La gloriosa tradizione delle “Parodie Disney”, dopo qualche anno costellato da storie opache e poco interessanti, sta vivendo una seconda giovinezza.
Il merito di questo rilancio va attribuito principalmente – ma non solo – a due coppie di autori: Francesco Artibani/Paolo Mottura e Bruno Enna/Fabio Celoni. Ovvero i creatori di alcune delle più interessanti rivisitazioni di classici della letteratura e del cinema comparse sul settimanale Topolino. Stiamo parlando di Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde (Topolino n. 3070), Dracula, di Bram Topker (Topolino nn. 2945 e 2946, del quale abbiamo scritto QUI, QUI e QUI), Moby Dick (Topolino nn. 3003 e 3004), Duckenstein (Topolino n. 3179) e infine il recente Metopolis (Topolino n. 3189), omaggio al classico della cinematografia Metropolis del 1927, per la regia di Fritz Lang.
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Naturalmente le parodie Disney recenti non si limitano a queste. Si è deciso di escluderne altre, pur meritevoli (L’isola del Tesoro e Dieci piccoli Caimani di Teresa Radice e Stefano Turconi ecc.), o meno riuscite (Il Paperopardo di Marco Bosco e Giada Perissinotto e Il principe Duckleto, di Giorgio Salati e Paolo De Lorenzi) per i motivi che andremo ad esporre di seguito.
I meccanismi traspositivi che sono alla base delle parodie Disney sono numerosi ed eterogenei e non è questa l’occasione per indagarli nel dettaglio. Per un’analisi più puntuale si rimanda ai volumi Topolino e il fumetto Disney italiano e Le grandi parodie Disney. Qui ci limitiamo a dire che le strategie adottate più di frequente sono state quelle dell’attualizzazione – l’ambientazione contemporanea di storie del passato, o l’ibridazione con elementi derivanti dall’attualità – della riduzione e della contaminazione con altri generi, principalmente attinenti alla sfera del comico. E naturalmente un insieme di tutti questi processi. All’insegna di una libertà creativa quasi anarchica nei confronti dell’opera-fonte ridotta, in molti casi, a mero spunto di partenza se non vaga suggestione rintracciabile solo nel titolo.
Le diverse strategie delle parodie Disney
Per citare esempi recentissimi, l’ottima Le fantastiche avventure di Don Pipotte e del suo fedele scudiero Miguel Topancho di Fausto Vitaliano e Claudio Sciarrone (Topolino nn. 3155/3157) ambienta ai giorni nostri le avventure dell’hidalgo di Cervantes. Mentre Il Paperopardo (Topolino n. 3158) si ispira solo vagamente al romanzo di Tomasi di Lampedusa, riducendone drasticamente la complessità storica e politica – attraverso un approccio superficiale che non giustifica l’operazione parodica – e concentrandosi solo sulla travagliata storia d’amore fra Tancredi e Angelica. La serie di Star Top ideata da Bruno Enna, invece, è soltanto ispirata dall’universo cine-televisivo di Star Trek, senza la pretesa di offrirne una rivisitazione puntuale.
Le sfumature e le commistioni fra questi “estremi”, poi, sono moltissime. Inoltre, pur senza negare la presenza di qualche momento di vera inquietudine o di sottile crudeltà – si pensi alle parodie classiche scritte da Guido Martina – gli adattamenti disneyani hanno sempre operato delle censure rispetto alle trame originali. Censure che si sono sempre fatte via via più importanti e che hanno riguardato i confini del “raccontabile” del contenitore disneyano.
In estrema sintesi, le parodie Disney si possono dividere in due macro-categorie:
- quelle che, pur attraverso operazioni di adattamento, di riduzione ecc., sono riuscite a conservare lo spirito originario dell’opera fonte
- quelle che, invece, hanno utilizzato libri o film – spesso parte di un indefinito canone di “classici” – esclusivamente come spunto drammaturgico, senza adottare un approccio rispettoso e, se non minimamente, conservativo.
Rarissimi sono i casi in cui la riscrittura parodica ha mantenuto quasi inalterato lo spirito dell’opera originaria, senza evidenti traslazioni da un genere all’altro, e cioè senza contaminarla con il registro del comico. A memoria viene in mente solo l’anomala Topolino in: “Relitto e castigo” (1993), di Guido Scala. Il quale, pur attualizzando il celebre romanzo di Dostoevskij ne conserva i toni cupi e l’andamento avvolgente e soffocante, così come – in parte semplificandola – la riflessione morale su cui è fondato.
Una nuova ‘fedeltà’ verso le fonti, e la peculiarità di Metopolis
Rispetto a questa lunga tradizione, gli esempi recenti, e in particolare quelli creati dalle coppie Artibani/Mottura o Enna/Celoni, offrono invece un qualcosa di parzialmente inedito. Ovvero: una adesione particolarmente rispettosa ai testi scelti come fonte.
In Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde, Dracula, di Bram Topker e Duckenstein ciò è particolarmente evidente, attraverso un’operazione di riscrittura dei romanzi originali che ne rispetta (quasi) integralmente la struttura, cioè la trama. L’intento parodico delle sceneggiature di Bruno Enna è evidente attraverso una traslazione nel registro del comico che non tralascia però di riprodurne, parzialmente, gli aspetti più perturbanti. In Metopolis, invece, assistiamo a qualcosa che chiamare parodia sembra per lo meno limitativo.
Se la parodia, infatti, può essere definita un’imitazione di un testo allo scopo di fornirne una versione burlesca o caricaturale, Artibani e Mottura, limitando gli slittamenti grotteschi e umoristici, in Metopolis offrono quella che può essere definita più come reinterpretazione. Una rilettura, attraverso gli stilemi disneyani, del seminale film di Fritz Lang (tratto, non dimentichiamolo, dal romanzo della moglie del regista, l’attrice tedesca Thea Von Harbour).
Le gag umoristiche in questa reinterpretazione, non a caso, sono pochissime. Sopravvivono invece gli aspetti più caratteristici della pellicola, quelli che anche chi non ha mai visto il film per intero probabilmente conosce. L’opprimente e disumanizzante rappresentazione della vita operaia, la divisione fra città alta e città bassa, le macchine viste come Moloch capaci di inghiottire vite umane… e, naturalmente, la trasformazione di Maria in un robot. Uno dei momenti maggiormente iconici della storia del cinema.
Una interpretazione (insolitamente) cupa
La storia di Metopolis riproduce inoltre abbastanza fedelmente quella del film. E sebbene, per ovvi motivi, le sequenze più violente o pruriginose (quella del bordello, l’esecuzione della Maria-Robot, ecc.) sono state eliminate, Artibani e Mottura riescono a proporre alcuni dei momenti più intensi e disturbanti visti nel fumetto disneyano degli ultimi decenni.
Sia ben chiaro: la morte continua ad essere esclusa dall’orizzonte immaginifico dei fumetti disneyani. Eppure in Metopolis è continuamente evocata. L’esplosione della macchina in questa versione non uccide degli operai come nel film, ma non per questo, considerando il contesto, la corrispondente sequenza fumettistica risulta meno forte. Il robot con le fattezze di Maria non viene legato ad un palo e bruciato (rivelando così la sua natura sintetica), ma la sua versione disneyana sembra comunque perire quando si avvicina al cuore incandescente della fabbrica.
Si diceva poco prima che nel fumetto di Artibani e Mottura sono state conservate quelle sequenze o invenzioni visive che, grazie anche alla riproposizione continua in altri media, hanno maggiormente inciso sull’immaginario collettivo, riducendo conseguentemente l’impatto di quelle più retoriche e romantiche, in gran parte dimenticate o comunque meno considerate anche dai più grandi estimatori dell’opera originale. Da questa operazione di sintesi, che consapevolmente esclude, ad esempio, il lezioso giardino delle delizie in cui il protagonista trascorre la propria vita, Artibani trae una propria versione di Metropolis che, non tralasciando del tutto gli aspetti romantici – la storia d’amore fra Topolino e Minni – si focalizza su quelli ancora attuali. Metopolis, insomma, riduce all’ossatura più profonda e originale il film di Lang, offrendone una versione se possibile – sempre considerando il contesto e i paletti imposti dall’ambientazione disneyana – ancora più cupa e fatalista.
La tetraggine opprimente delle scenografie, la rappresentazione asfissiante e disumanizzante della vita operaia, quella della lotta di classe e dello sfruttamento da parte di un’élite in parte inconsapevole e intrappolata in un paradiso artificiale, la riduzione della componente romantica… sono tutti elementi, questi, che non permettono di definire Metopolis una parodia quanto, piuttosto, una riscrittura del film del 1927.
Inoltre Artibani, con una certa dose di coraggio, si può immaginare – anche se, con altri toni ma non con minore efficacia, lo stesso tema è parte imprescindibile della poetica di un altro autore Disney, Casty – affronta i temi del dominio dello sfruttatore sullo sfruttato, e della lotta di classe. Territori, questi, di rado – e con molte cautele – frequentati dal fumetto Disney.
Non si può concludere questa analisi di Metopolis senza parlare dello splendido lavoro fatto da Paolo Mottura. Il disegnatore trae, come è evidente, gran parte dei suoi riferimenti dal film stesso. Ma il suo lavoro di reinterpretazione non si limita al mero omaggio. Da un lato c’è il fatto che la città di Met(r)opolis è quasi completamente reinventata sia nelle scenografie che nel segno. Bisogna però riconoscere che lo stesso punto di vista registico di Lang (per lo più frontale e simmetrico) viene stravolto, sia attraverso un layout della tavola dinamico e spezzato – gran varietà delle vignette sia in termini di dimensioni che di forma – sia attraverso un reiterato uso di scorci angolati, inquadrature affollatissime e primissimi piani che contribuiscono al generale senso di soffocamento. C’è molto di Metropolis in Metopolis, ma non solo. Mottura prende a piene mani dalla pittura espressionista tedesca e dalle avanguardie pittoriche e grafiche del periodo (nelle sequenze del rapimento di Minni e del rilascio della sua controfigura robotica, ad esempio) fondendo tutti questi elementi in un insieme coerente. E soprattutto coinvolgente, che se non esclude isolati prezzi di bravura e strizzate d’occhio, non sovrasta mai la narrazione.
Il colore, inoltre, completa il segno grasso e tratteggiato del disegnatore senza mai limitarne la potenza, grazie anche all’uso di un’ombreggiatura scontornata e tamponata che dialoga dinamicamente con le ombre nette e dai contorni scenografici di molti film tedeschi del periodo. Sarebbe interessante poter vedere le tavole in bianco e nero di Metopolis. E la cosa, visto quanto accaduto con l’edizione cartonata de Lo strano caso del dottor Ratkyll e di Mister Hyde, probabilmente accadrà.
Va detto, peraltro, che l’espansione dei prodotti Disney/Panini nel circuito librario e delle fumetterie, con il conseguente sguardo verso un pubblico parzialmente diverso da quello abituale del settimanale Topolino, sta svolgendo un ruolo importante. Non solo ‘celebrativo’, ma probabilmente propositivo, se non ‘motivazionale’ per agli autori: valorizzare la creazione di opere complesse e pensate, graficamente, per la riproposizione in edizioni di lusso e di grande formato. Sulle nuove strategie editoriali e commerciali di Panini/Disney, e su come esse stiano influenzando quelle artistiche, toccherà tornare a riflettere.
Metopolis (su Topolino n. 3189)
di Francesco Artibani e Paolo Mottura
Panini Comics, 2016
70 pagine a colori, € 2,50