Al pari di quei classici della letteratura che le case editrici si premurano di avere costantemente in catalogo, le opere di autori come Dino Battaglia dovrebbero essere sempre di facile reperibilità.
Negli ultimi anni, grazie soprattutto alla distribuzione nelle edicole, autori fondamentali della nostra tradizione – in particolare Hugo Pratt e Milo Manara – hanno goduto di una enorme diffusione. La pubblicazione dell’opera omnia di Andrea Pazienza, non senza qualche eccesso forse superfluo di “completismo”, è giunta recentemente a conclusione. Sergio Toppi è stato interessato da iniziative editoriali di altro tipo, forse non sempre proporzionate alla sua importanza, per ragioni di formato editoriale e scarsa reperibilità. Per Gianni De Luca, purtroppo, andrebbe fatto un discorso diverso. Per una serie di motivi la sua “riscoperta”, più volte tentata, non è mai stata coronata dal successo. Ancora non pervenuto, invece, un editore che si prenda carico di far conoscere, in un’edizione adeguata, il fondamentale lavoro di Guido Buzzelli.
Ma torniamo a Battaglia. La cui imponente – anche dal punto di vista della foliazione – opera non è mai stata ristampata integralmente, sebbene molti dei suoi lavori sono stati oggetto di riedizioni anche in anni recentissimi, in particolare da Grifo Edizioni. L’iniziativa editoriale della casa editrice NPE, pur non puntando ad una riproposizione dell’intera produzione dell’autore, ha il merito di rendere di nuovo disponibili alcuni dei suoi lavori più importanti.
Il primo volume della collana è dedicato, intelligentemente, alle trasposizioni a fumetti dei racconti fantastici e orrorifici di Edgar Allan Poe, uno degli autori letterari più frequentemente rivisitati a fumetti. Troviamo infatti qui già un Battaglia nella pienezza della sua maturità artistica, capace di un eclettismo grafico che si sposa perfettamente con la vasta gamma tonale dei racconti dello scrittore statunitense. Racconti, anche i più terrificanti, che Battaglia interpreta spesso attraverso l’efficace chiave deformante del grottesco.
La distanza tra il primo Battaglia – maggiormente composto, con un segno di chiara ascendenza caniffiana e legato a layout ‘classici’ – e quello il cui lavoro si può ammirare in questo volume, è particolarmente evidente. Già nella prima storia, Re Peste, troviamo rivelata tutta l’ampiezza dello spettro espressivo che l’autore poteva vantare. La verve caricaturale, debitrice dell’opera di Ronald Searle, con cui ritrae i due dinamici protagonisti in fuga e quella, tra il grottesco e l’inquietante – a “là Grosz” – che serve a riportare i personaggi che si stringono intorno alla corte del Re Peste; gli sfondi caliginosi con i neri graffiati e nebbiosi, tamponati sul bianco della pagina; il lettering usato in senso eloquente e coerentemente grafico, uno dei segni maggiormente distintivi (e meno analizzati) del Battaglia disegnatore e forse uno dei territori di ricerca, fra i tanti della sua sperimentazione, in cui si mostrò più all’avanguardia.
Il lettering, già. È evidente, nell’opera del Battaglia maturo, l’intenzione di giungere a un superamento di un approccio puramente tipografico nella resa grafica delle parole. Lettere che non solo cercano di rendersi espressione grafica del parlato, ad esempio attraverso l’uso del grassetto per mimare l’urlato e della deformazione per riportare l’effetto di una voce particolarmente inquietante, ma che si integrano graficamente e architettonicamente nella struttura di una tavola. Una pagina intesa come tutto, come unicum, e non come assemblaggio di una ‘scontata’ sequenzialità grafico-narrativa.
Le tavole-Wunderkammer e il segno ‘antiquario’
Le tavole di Battaglia, e la composizione inedita della pagina in cui gli elementi si organizzano, sono una delle dimensioni più potenti del suo contributo alla storia del fumetto. Le sue tavole prendono forma non secondo una gabbia predefinita ma attraverso schemi liberi, sottomessi ad un’intenzione primariamente narrativa, eppure sempre tese alla ricerca di uno spazio organizzativo anche estetico. Una direzione che verrà portata alle estreme conseguenze da Sergio Toppi.
Queste storie si presentano dunque, sotto il profilo grafico, come la summa delle influenze e delle passioni dell’autore, dal cinema espressionista, alla pittura del Secessionismo Viennese, dai grandi maestri della caricatura come i già citati Searle e Grosz alla pittura simbolista ed espressionista fino al cinema americano dei decenni precedenti ma anche al fumetto “nero” italiano contemporaneo ecc. ecc. Influenze che raramente si concretizzano in citazioni – semmai “omaggi” – ma che vanno a comporre l’intrico di tavole-Wunderkammer.
Non a caso il segno di Battaglia è un segno che si potrebbe definire “antiquario”, caratterizzato da quei grigi che stendono su ogni cosa una patina polverosa che astrae l’opera da una precisa contestualizzazione storica, quasi che ogni tavola fosse un reperto rinvenuto nella bottega di un robivecchi. Un risultato che, fra parentesi, era frutto di un approccio al lavoro né semplice né immediato, considerato il sovrapporsi di linee, sfumature, ombreggiature, graffi, tamponature presenti in ogni tavola. Ed è proprio la (apparente) disomogeneità degli stili a caratterizzare questi adattamenti. Una disomogeneità che Battaglia usa con estrema libertà ma anche con un certo rigore drammaturgico.
Così ne La caduta della casa degli Usher l’approccio più “tradizionale” delle prime tavole, seppur sviluppato in senso soggettivo e psicologico, cede presto il passo, in concomitanza con l’accrescersi del senso di inquietudine del protagonista, ad un frenetico accumularsi di invenzioni e impressioni di segno prettamente antinaturalistico: sovrapposizioni, scontornature, ripetizioni ritmiche, fino all’esplosione, quasi un urlo, rappresentata dalle due tavole conclusive. Battaglia riesce, in uno sviluppo che potrebbe apparire caotico, a mantenere un perfetto controllo della narrazione per immagini.
Andiamo un po’ più nel dettaglio. La caduta della casa degli Usher è l’adattamento di Battaglia che maggiormente presta il fianco alle accuse, da cui lo difende egregiamente Gianni Brunoro nell’introduzione al volume, di deriva “da illustratore”. Il peso della narrazione verbale nell’economia complessiva dell’opera è sicuramente notevole ed è possibile ottenere una comprensione del narrato abbastanza soddisfacente senza rivolgersi alla componente grafica. Eppure di superfluo, qui, c’è ben poco. Anche se, al di là della loro fisica compresenza sulla pagina, parole e immagini sembrano reciprocamente indipendenti (o quasi) sarebbe sbagliato considerare le prime come un correlato illustrativo delle seconde.
Guardiamo la seconda tavola di questa storia. La voce narrante recita: “Lo guardai con spavento e pietà!!… Non riuscivo a riconoscere in quel volto spettrale il mio vecchio compagno d’infanzia”. Subito sotto queste parole nella vignetta che chiude la tavola vediamo l’oggetto di tale descrizione, un uomo dal volto bianchissimo, allampanato, dagli occhi minuscoli ma al tempo stesso spalancati a dismisura in un muto sconvolgimento.
Questa vignetta certamente illustra ed espande la descrizione verbale dell’uomo, ma nella narrazione fumettistica di Battaglia svolge anche un altro ruolo: fermare un racconto fino a questo punto dominato dalle parole. Ha una funzione ritmica. A dispetto della sua dimensione e della sua collocazione è il punto focale su cui lo sguardo si concentra e si ferma più a lungo prima di proseguire. Ed è presentata non solo come la conclusione dell’attesa generata dalle altre vignette, ma è anche sovrastata fisicamente da queste, da cui si distacca anche per il brusco stravolgimento dei rapporti fra aree chiare e aree scure.
L’intera tavola, l’intera casa, opprime l’uomo in senso sia psicologico che fisico. Un risultato, fra l’altro, ottenuto attraverso anche un’operazione di sottrazione: una campitura bianca (il volto dell’uomo) su un fondo nero rotto solo da alcune linee verticali, in contrasto con la profusione di ombre e tratteggi che ha caratterizzato le vignette precedenti. In senso più tradizionale il senso di oppressione che la casa genera nei propri ospiti era stato già rimarcato nelle vignette precedenti con escamotage più tradizionali (le inquadrature estremamente angolate che schiacciano il nuovo arrivato e mostrano l’atteggiamento “rapace” dell’edificio) ma è solo in questa che il crescendo drammaturgico della tavola, prima di una ripartenza nella seguente, trova il proprio apice. Un apice che contrappuntisticamente viene raggiunto attraverso, come detto, una sottrazione, un togliere, una riduzione un lavorare apparentemente di sordina.
Torniamo alla tavola di apertura. La casa ci viene mostrata per la prima volta attraverso una lunga vignetta verticale che mostra un sottile crepa sulla facciata della stessa.
Battaglia ripropone più volte vignette della stessa forma lungo le poche tavole della storia, per sottolineare l’approssimarsi della fine rovinosa della vicenda. Nell’ultima coppia di tavole, Lady Madeline compare in una cornice della stessa forma; così come la luna che fa capolino fra le rovine della magione ormai distrutta. La verticalità funera di queste vignette viene usata a contrappunto delle altre presenti nelle tavole, per lo più di orientamento orizzontale. Si tratta di vignette terrorizzanti e, a dispetto della profusione di parole, le più “sonore” di tutte le altre. Notiamo l’urlo muto di Lady Madeleine, il quale però risuona forte nelle orecchie interiori del lettore con una fisicità quasi palpabile che ricorda un basso sostenuto di pianoforte. Qualche pagina dopo, con la stessa muta forza troviamo la Luna. Fa capolino attraverso la crepa della casa. Lapidaria – in molti sensi – nella sua staticità, rimanda ad orrori innominabili che i convulsi e precipitosi avvenimenti rappresentati nelle vignette adiacenti non sono minimamente in grado di evocare con la stessa, incisiva, forza. Anzi, la loro natura, qui sì “illustrativa”, ne aumenta la forza per contrapposizione. Un gioiello e un esempio dell’estrema e anticipatrice consapevolezza del mezzo che poteva vantare Battaglia.
E di gioielli come questo il presente volume, così come altre opere di Battaglia, ne è pieno. Eppure non è un caso che Battaglia abbia ottenuto i migliori risultati e compiuto le sperimentazioni più libere e ardite durante le sue frequentazioni dei territori del fantastico, del favolistico e del grottesco. Pur dimostrandosi un ottimo fumettista “tradizionale” (a modo suo) quando si è cimentato in fumetti western o di guerra, è in adattamenti come quelli da Poe e nelle favole che è stato più libero di esprimere la propria arte poliedrica. Iniziare la ripubblicazione delle sue opere con questo lato della sua pur variegata produzione, accantonando secondari criteri cronologici, è stata un’ottima scelta.
Edgar Allan Poe
di Dino Battaglia
NPE, 2016
96 pagine, 14,90 €