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Chrononauts, una pazza giornata di vacanza

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Avete mai visto Una pazza giornata di vacanza? Per chi non lo sapesse, si tratta di un cult della commedia giovanilistica diretto da John Huges nel 1986. Il protagonista è un adorabile scavezzacollo di 17 anni, capace di macchinazioni folli pur di non presentarsi a scuola e godersi una giornata all’insegna del più sfrenato edonismo ottantiano.

Per tutta la durata della pellicola assistiamo, senza riuscire a non compiacercene, alle sue trovate da lavativo. Poi, prima della fine, tutto si rimette a posto e il Nostro ne esce da autentico trionfatore. Dopo essersi goduto la libertà con rara dissolutezza non c’è nessuno scotto da pagare. Le conseguenze sono tutte a carico chi ha provato a fermarlo. Il sogno di chiunque e un chiaro spaccato della decade che racconta.

Chrononauts è praticamente il remake in chiave fantascientifica di questa pellicola, con tanto di autorità sbeffeggiate a ogni costo – qui il capo della sicurezza, la il preside della scuola. Al posto di Matthew Broderick e della sua cricca abbiamo una coppia di scienziati dal quoziente intellettivo di 240 e corpi da divi di Hollywood.

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I due pensano bene di dare un taglio alle loro insoddisfacenti vite piene di successi andandosene a zonzo per lo spazio-tempo a combinarne di ogni. Farsi eleggere re, uscire con donne bellissime, passare per grandi guerrieri e geniali inventori, accumulare ricchezze folli e scattare selfie in una certa stalla di Betlemme… Prima della fine della miniserie capiranno però quanto tutto questo sia profondamente sbagliato – aspetto vagamente moralizzante assente nella pellicola di Huges – e in un pugno di pagine rimetteranno tutto a posto, tornando al punto di partenza più felici e migliori di prima. Dopo essersi goduti, nel frattempo, anni di bagordi sfrenati. Tanto “chi lo saprà mai?” si chiede raggiante uno dei due protagonisti. Miracoli dei paradossi temporali.

Dietro a tutto questo c’è lo sceneggiatore scozzese Mark Millar, qui non al massimo nella veste di autore di fumetti ma al suo zenit come produttore di sé stesso. Chrononauts contiene tutto quello che lo ha fatto diventare una presenza imprescindibile nell’industria dell’intrattenimento statunitense: ritmo folle costruito su una conoscenza certosina dei meccanismi narrativi, un sacco di sparate a effetto piuttosto gustose, nessuna attenzione alla verosimiglianza, un grosso e grasso concept riassumibile in tre parole e un disegnatore al top della graduatoria mondiale. Manca giusto la solita attinenza all’attualità – da sempre uno dei punti forti del Nostro – preferendo piuttosto il rifugio della rassicurante nostalgia (vedi i numerosi richiami a Ritorno al Futuro). Su queste pagine abbiamo riassunto questi punti già fin troppe volte, ma vale sempre la pena mettere nero su bianco come quest’uomo abbia trovato una ricetta magica che non smette mai di funzionare.

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Soprattutto in casi come questo, dove abbiamo una proprietà intellettuale spudoratamente studiata per essere venduta al cinema. Aspetto evidente dal ritmo di questo volume – introduzione da commedia nei primi due numeri, rottura dell’equilibrio nel terzo, svolta action negli ultimi due – e dalla sua natura autoconclusiva. Come a racchiudere in sé una soggetto adatto a essere trasposto sul grande schermo senza nemmeno doverci lavorare troppo. Chiaro in questo senso la scelta di co-creare il titolo in collaborazione con Sean Gordon Murphy, probabilmente il disegnatore più cinematografico con cui lo scrittore si sia trovato a lavorare dopo Bryan Hitch su Ultimates. L’autore di Punk Rock Jesus e di una prossima serie di Batman è infatti uno che non si fa problemi a incorniciare la splash-page in conclusione del primo numero con due belle bande nere da proiezione in 16:9. Tanto per dare un’idea dell’impostazione grafica di tutta la serie.

Aldilà di trovate così folkloristiche, la scelta del disegnatore si trova perfettamente in linea con lo spirito di tutto Chrononauts. Murphy è uno dei pochissimi autori in grado di donare una certa profondità all’estenuante plasticità del fumetto seriale statunitense. Nonostante non si faccia mai mancare personaggi bellissimi, spettacolarità insistita e una certa propensione al gratuito – le vetture che disegna paiono impossibilitate a poggiare contemporaneamente tutti e quattro gli pneumatici sull’asfalto – la finezza del suo tratto e la ricchezza di particolari non possono non avvicinarlo a certa sensibilità europea.

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Millar è troppo intelligente per non capire che uno così era l’unico modo per non scivolare in maniera definitiva nella gazzarra da quattro soldi senza rinunciare all’effetto blockbuster. Quindi eccolo inserito in men che non si dica nella nutrita lista di fenomeni chiamati nel corso degli anni a dare forma alle redditizie idee dello scozzese.

Chrononauts è tutto qui, un fumetto che si legge davvero alla velocità della luce e che non lesina su tutto quello che il pubblico si aspetta di trovarci dentro. Spensierato e cazzone come certo intrattenimento vorrebbe sempre essere e come Millar e la sua cricca riescono quasi sempre a realizzare. Vedete voi se vederlo come un lato positivo o meno. Nel frattempo aspettiamo di sapere qualcosa di più sul suo arrivo al cinema, nella speranza che a metterci le mani sia Matthew Vaughn. Forse il migliore fra tutti gli interpreti, disegnatori compresi, chiamati a dare forma e colore agli sgangherate sfaccettature del Millarworld.

Chrononauts
di Mark Millar e Sean Gordon Murphy

Panini Comics, 2016
120 pagine, 16,00 €

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