Bumf Vol.1, il cui sottotitolo eloquentissimo è Come ho inculato il Kaiser, dovremmo rubricarlo sotto la categoria della satira. Ma, Joe Sacco, famoso per i reportage a fumetti sulla Palestina e per l’interesse filologico e storico per la Grande Guerra, si cimenta con il genere con un’urgenza quasi fisica, con una passione palbabile.
L’incursione nella satira più diretta, frontale, sfacciata si risolve allora – o sarebbe meglio dire si dissolve – in un vorticoso rendez-vous di vignette che sembrano apparentemente divergere dal tema principale, per offrire un giro di giostra nell’incazzatura e nella derisione, quasi una liberazione – come raccontava a Fumettologica tempo fa – dal suo lavoro di reporter certosino. In realtà, tutte queste vignette non sono che una piega, una nota a margine, una digressione utile a ritornare al tema principale. A sostenerlo con più forza. Sino a farne un assurdo e spassoso salmo.
La politica come controllo del sé: il voyeurismo violento di Obama
Più che la spiccata e arguta battuta di spirito, il disprezzo e lo slancio moralistico, la satira di Sacco è intrisa di una schiacciante angoscia. Che nasce dalla cocente delusione verso la politica di Barack Obama. Una politica auto-eletta, a suo dire, come progressiva ed emancipatrice, o una reale possibilità per gli States di uscire fuori dalle pastoie in cui l’11 Settembre l’aveva abbattuta. Per Sacco non è così: Obama avrebbe in sostanza utilizzato l’assillo del terrore per giustificare, sostenere e amplificare una prassi politica conservatrice, in cui la libertà del singolo è stata gettata alle ortiche.
Il tema è noto. E le vicende giornalistiche e giudiziarie, pure: caso Snowden, Wikileaks, Assange… La raccolta pervasiva di dati e metadati sui cittadini hanno creato un clima asfissiante e distopico. Il sogno di Bentham pare essersi realizzato senza l’ausilio di alcuna torre, ma attraverso la collaborazione inconsapevole e quasi volontaria. Un potenziamento involontario sotto l’egida del terrore. Sacco non solo è informato e sensibile su questi aspetti. Li racconta come se avesse a lungo riflettuto – e litigato – e studiato. Nel capitolo terzo di Sorvegliare e Punire, Michel Foucault scriveva a proposito del dispositivo panoptico. In esso
il principio della segreta viene rovesciato; o piuttosto delle sue tre funzioni – rinchiudere, privare della luce, nascondere – non si mantiene che la prima e si sopprimono le altre due […] Dispositivo importante, perché automatizza e de-individualizza il potere… Poco importa, di conseguenza, chi [lo] esercita.
Joe Sacco, allora, riflette attraverso rimandi satirici sul ruolo del potere nella sfera quotidiana: l’unico strumento che l’autore ha a sua disposizione è l’interiorità, lo spazio immaginifico e onirico della fantasia. Il metodo prescelto è fatto di rimandi, incroci e spaesamenti. Il malcapitato lettore si muove in uno spazio mentale in cui confluiscono, senza soluzione di continuità, la parodia – un redivivo Nixon che si sveglia nel letto del sorridente Barack Obama, tra le braccia accoglienti della first lady – e lo sfaldamento onirico. In quest’ultimo, poi, convivono materiali che provengono da una mente ossessionata dalle battaglie di Verdun e della Somme, e immagini del Primo conflitto mondiale. Il tratto semplice e immediato si incupisce e si fa barocco nel tratteggiare campi di battaglia dove corpi devastati vengono mandati al macero.
Il corpo è posto da Sacco al centro dell’opera: corpi nudi, disfatti, veri, privi di qualsiasi belletto imperversano per le pagine del volume. Tra le vessazioni fisiche dei prigionieri di Guantanamo – laddove persiste contro qualsiasi disposizione temporale la tortura come processo d’espiazione della pena, insieme alla segregazione come separazione totale dal corpo leviatano dello Stato – e i cittadini osservati non v’è alcuna differenza apparente, per Sacco. Entrambi, nudi e con il volto coperto, sono sottoposti ad un regime di controllo in cui carnefici e vittime si confondono in un gioco a rimpiattino. Un gioco in cui l’artista – coscienza critica e sguardo eccentrico – cade nella trappola del dispositivo della propaganda: apologie post-moderne in cui la massa possa riconoscerci. Basta una storia d’amore per magnificare il potere: una “qualsiasi” storia d’amore con cui poter empatizzare e in cui il fruitore medio si riconosce acconsentendo. Sarebbe opportuno lanciare un’occhiata all’ampia piscina in cui sguazzano gli artisti e gli opinionisti conniventi per comprendere che qualsiasi forma di svago diviene, per Sacco, una forma di controllo: uno spettacolo diffuso che sovverte la dialettica tra verità e menzogna.
Sacralità e licantropismo: la maschera tragica del presidente
Non è neanche un caso che il redivivo Richard Nixon viva la sua ascesa, inebriandosi del potere che le nuove tecnologie militari gli forniscono, in senso messianico. Sino a denudarsi di qualsiasi identità: non è importante che vi sia Nixon, Obama o Bush Jr. alla guida degli States. Chiunque sia al comando, l’organismo statale prolifera anche e soprattutto nell’indifferenza del volto: nell’anonimia totale.
Il Presidente è un Leviatano dalla fattezze canine: un cinocefalo. Ed anche qui Sacco sembra porre un legame indissolubile tra il potere e la fede: l’asservimento dei cittadini è una piega della fede cieca, un affidarsi quasi disperato all’abbraccio e alla cura pastorale del leader. Se l’autore costella e fa parlare i suoi personaggi attraverso i versetti della Bibbia, tra un salmo e l’altro, tra un proverbio e un verso del Genesi – laddove Dio pone il reale strappandolo all’abbraccio del nulla, in guisa della terra vuota e desolata pone il rigoglio edenico – la trasfigurazione del Presidente come entità messianica è simile a quella del Cristo come Buon Pastore. Sulle sue spalle indossa e sostiene un capro, simile all’Anubi egiziano, le cui spalle erano coperte da un montone. Si pone così – senza troppe elucubrazioni – una continuità tra i poteri, tra i miti, tra le figure che esercitano il potere stesso come narrazione di sé. Il potere dà di sé un’immagine rassicurante: esso si prende cura delle anime e delle vite.
Ancora Foucault – in Sicurezza, territorio, popolazione – scriveva:
Siamo di fronte all’aspetto paradossalmente distributivo del pastorato cristiano: la necessità di salvare il tutto implica che all’occorrenza, si debba accettare di sacrificare una pecora quando questa potrebbe compromettere la totalità. La pecora che dà scandalo, la pecora corrotta che rischia di corrompere tutto il gregge, deve essere abbandonata, eventualmente esclusa, cacciata ecc.
In questo orizzonte economico, la confessione diventa una pratica di controllo e cura: non più contrizione individuale, ma comunicazione al potere, che dispone così personalmente dei più reconditi segreti dell’individuo. Traslando, il potere odierno – apparentemente laico – fa uso massivo delle forme di confessione individuale: tutti si sentono in dovere di confessare e far passare attraverso i gangli e gli affranti della rete la propria individualità. Ci si confessa, ci si mostra esponendo il proprio corpo – a chi per lui – rendendo un favore ai guardiani della torre. La presenza come trappola, come il darsi in pasto alla fiera: il volto canino che chiude il primo volume dell’opera satirica di Joe Sacco è segno eloquente.
Ma alle analisi del filosofo francese, verso cui il rimando è d’obbligo, Sacco sovrappone le idee di Giorgio Agamben, citato e ringraziato insieme a Cesare Beccaria. L’influenza delle riflessioni del filosofo italiano sono ben evidenti nelle invenzioni grafiche ed immaginifiche dell’autore americano: dalla natura sacrificale del cittadino in quanto homo sacer al volto canino del Presidente dopo l’avvenuta trasfigurazione, Sacco traduce – è il caso di dirlo – le teorie di Agamben in immagini, sedimentando nell’iconico strati di storia teologico-politica. Sondando i meandri della storia giuridica medievale, il filosofo individua un’idea fondamentale:
Quello che doveva restare nell’inconscio collettivo come un ibrido mostro tra umano e ferino, diviso tra la selva e la città – il lupo mannaro – è, dunque, in origine la figura di colui che è stato bandito dalla comunità. Che egli sia definito uomo-lupo e non semplicemente lupo (l’espressione caput lupinum ha la forma di uno statuto giuridico) è qui decisivo.
Homo Sacer – sacro anche e soprattutto nel senso di separato dal resto della comunità, quindi colui che viene bandito e in quanto tale sacrificabile – e licantropo sono facce della stessa medaglia. Rileggendo la teoria hobbesiana della nascita del potere, Agamben scrive:
il fondamento del potere sovrano non va cercato nella libera cessione, da parte dei sudditi, del loro diritto naturale, quanto piuttosto nella conservazione, da parte del sovrano, del suo diritto naturale di fare qualunque cosa rispetto a chiunque, che si presenta ora come diritto di punire. […] La trasformazione in lupo mannaro corrisponde perfettamente allo stato di eccezione, per tutta la durata del quale (necessariamente limitata) la città è sciolta e gli uomini entrano in una zona di indistinzione con le belve.
Il sovrano-lupo sorveglia e punisce, bandisce e sacrifica la nuda vita in uno stato di eccezione che in virtù della minaccia dell’altro – in questo caso il fondamentalista islamico, l’antitesi visibile dell’american-way-of-life – diviene più che permanente. Una teologia rovesciata, quella dello “stato d’eccezione”: la comunità civile fondata su un timore reverenziale nei confronti di un messianesimo degli ultimi giorni, laddove l’attrito tra Occidente e Oriente crea una nuova apocalittica.
Il potere sovrano è il Dio-lupo, il Fenrir norreno, la cui mascella libera divora il mondo, e osserva brandendo droni i nostri corpi, perennemente esposti e sacrificabili; inglobabili nel dispositivo dispotico dello Stato.
Ogni Storia d’amore è una storia di fantasmi
Sacco il cronista lascia spazio all’affabulatore con un andamento sussultorio, che ricorda quasi la scrittura del Flann O’Brien di At-Swim-two-Birds (gentilmente tradotto con il titolo Una pinta di inchiostro irlandese). Il fumettista interseca qui mitologia, storia, cronaca, invenzione letteraria, filosofia e satira, cercando di mostrare da dentro il meccanismo del potere.
Nelle pieghe del potere, inoltre, si aggirano esterrefatti gli amanti, due dei personaggi più bizzarri fra quelli che attraversano Bumf come un filo rosso. Sul finire del tempo, gli amanti dal viso coperto sono l’immagine dei nostri amori, ormai visibilmente esposti nei loro vissuti più abietti: nella loro fantasmatica riduzione a dati incorporati nel vasto sistema dell’informazione. Sacco irride e mostra che tutto ormai è economicamente inserito negli ingranaggi del potere: ogni conversione, ogni storia d’amore, ogni racconto, ogni emozione coopera allo stato d’eccezione, alla nostra sacrificabilità, all’impostura mordente della libertà.
L’abito oscuro del Presidente sormontato dal totemico volto canico di Fenrir è uno dei nuovi volti del Grande Inquisitore. Sacco lo sa e mostra come le nostre vite siano imposture: anche la sua satira è ingurgitata nella nuova religiosità popolare dello Stato. Tuttavia, Sacco getta un seme, un granello nella sconfinata pianura lunare in cui il potere ha esiliato la nostra libertà.
Bumf Vol. 1
di Joe Sacco
Traduzione di Boris Battaglia
Rizzoli Lizard, 2016
128 pagine, 16,00 €