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Che fine ha fatto Buci?

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Leggendo Raceworld – la nuova storia a episodi in corso di pubblicazione su Topolino, scritta da Roberto Gagnor e disegnata da Claudio Sciarrone – sono rimasto piuttosto sorpreso di non ritrovare, fra i tanti piloti disneyani che affollano questa saga fantascientifica, Buci (Bucky Bug), indimenticato personaggio dell’epoca d’oro dell’animazione e del fumetto Disney.

bucky bug

Perché mai non inserirlo? Magari affiancato, come co-pilota, da un’altra star del fumetto disneyano da tempo in esilio: Penna Bianca. I due personaggi insieme, impegnati in una folle corsa contro l’evil team composto da Ezechiele Lupo e Comare Volpe. E che dire del fantastico duo formato da Reginella e da Codino, un cavallo marino che di sicuro sarebbe stato particolarmente competitivo nel mondo acquatico?

Ah, che gran fumetto sarebbe stato.

Nah, sto scherzando. La nostalgia è un territorio che si può – si deve visitare – ma che è pericoloso abitare. Eppure i terreni di caccia che gli appassionati di fumetto amano più spesso frequentare e rievocare sono proprio quelli avvolti dalla violacea nebbia dei “bei tempi che furono”. In particolare gli appassionati disneyani.

Le discussioni che si sviluppano sulla querelle disneyana fin troppo spesso si concludono con trasognati commenti che sono il corrispettivo fumettòfilo del “qui una volta era tutta campagna”. Peraltro nel caso di Buci, Dinamite Bla, Ezechiele Lupo, ma anche del Topolino delle origini – tutti personaggi dalle forti matrici rurali – un paragone quanto mai adeguato.

Il meccanismo è semplice, in fin dei conti. Il quando dei “qui una volta era tutta campagna” o “ai miei tempi” solitamente coincide con la giovinezza di chi pronuncia o scrive queste frasi. E se non sempre è vero che la giovinezza e l’adolescenza sono i periodi felici che amiamo pensare, di sicuro lo sono nel ricordo di chi giovane non lo è più. Del resto è come sentir dire che “una storia come Johnny Freak non si è più vista sulle pagine di Dylan Dog”. Ma invece dei personaggi e dei fumetti, sono gli occhi a cambiare. In fin dei conti, è solo più facile pascolare con un’erba di cui già si conosce il sapore.

Non che voglia affermare drasticamente che “nuovo è bello”. A me le storie di Buci, almeno le migliori, piacevano e piacciono ancora. Semplicemente, andrebbe ricordato che non tutto ciò che è stato va rivestito dell’aurea sacra che solo una cosa sa conferire, sorpassando logica, discernimento e altre cosette del genere: l’affezione. Un’affezione che è particolarmente forte nei confronti dei fumetti, proprio per la funzione che questi hanno avuto nel periodo più difficile – e, ripeto, non sempre felice – della nostra vita, quello della formazione, che preludeva al nostro affacciarsi alla vita adulta.

Storie come Johnny Freak possono essere state – e possono ancora essere – particolarmente importanti per chi, nel periodo in cui cambia sia il corpo che il nostro sguardo su un mondo che diviene d’improvviso particolarmente ostile, è stato da queste formato, educato in un certo qual modo: alla tolleranza, all’indignazione, al dolore, alla ricezione del diverso. Legittimamente ci si può chiedere se sono queste storie a non esserci più o se siamo noi a essere cambiati, a desiderare altro e a vedere nei fumetti come in altri mezzi di informazione e intrattenimento, un rifugio, una terra dell’oro in cui tutto scorre sempre allo stesso modo. La risposta, aperta e soggettiva, può essere naturalmente anche duplice.

La nostalgia non è, naturalmente, solo il rifugio dei pavidi. Conservare e amare il passato ci permette di capire e interpretare il presente. Ma, di certo, alcuni mondi non ci sono più – o, per lo meno, non sono più così vicini a noi – anche se le storie che in questi mondi sono state ambientate, così come lo stile del racconto/disegno, possono naturalmente ancora parlarci.

L’allegro mondo dei tramp campagnoli di Buci, non esiste più. Ancora meglio: è il nostro modo di osservare quella porzione di realtà che è cambiato e, oggi, descrivere quel tipo di marginalità attraverso toni così scanzonati ci sembrerebbe irrispettoso. Così come non esiste più lo sfondo su cui si muoveva il Topolino degli esordi, anche se quelle storie conservano ancora una freschezza coinvolgente e sorprendente.

dinamite bla

Non esiste, di fatto, almeno nel nostro contesto europeo e urbanizzato, il mondodell’hillbilly Dinamite Bla, oggetto di un recente recupero (a partire dalla storia del 2006 Dinamite Bla e e l’eclissi di sale, di Fausto Vitaliano e Giorgio Cavazzano). Un recupero intelligente da parte dello sceneggiatore calabrese, che usa il burbero montanaro in chiave contrappuntistica nei confronti della modernità e della frenetica vita civilizzata. Ma si potrebbero citare altri esempi: la giustamente nota Topolino e il fiume del tempo (Artibani- Faraci – Mastantuono); il recupero di alcuni character classici come Giuseppe Tubi operato da uno sceneggiatore abile e consapevole come Tito Faraci; e molto altro. Tuttavia, questa formula non si può applicare sempre. Non tutto quello che è stato ha ragione di essere ancora. Non in pianta stabile, almeno.

La nostalgia, come detto, è un rifugio del singolo ma lo è anche della collettività. Eppure come ogni rifugio può svolgere questa funzione solo in forma temporanea. La nostalgia come rito collettivo, una sorta di esorcismo, che consente poi di tornare al presente.  Chi vorrebbe davvero vivere in pianta stabile nel passato? A restarci troppo tempo si finirebbe inevitabilmente per fare i conti con i nostri irrisolti, con gli aspetti meno piacevoli di quello che è stato, che finirebbero prima o poi per riemergere.

runaway

Per quanto riguarda specificatamente l’ambito disneyano è, naturalmente, anche una questione di brand. Il “topo” che compare su magliette, borse, tazze e altre migliaia di oggetti in tutto il mondo è quello classico con i calzoni corti, non quello delle sue molte altre incarnazioni grafico-psicologiche. Lo stesso topo che il rito collettivo riesuma e vive per poi sacrificarlo di nuovo all’altare del presente. Così accadde nel 1997 con il cortometraggio Runaway Brain, così l’anno scorso con quel piccolo gioiello dell’estetica nostalgica che è Get a Horse!, cortometraggio abbinato al modestissimo Frozen. Per tacere poi, di operazioni come La casa di Topolino, che sottendono logiche un po’ diverse…ma non troppo.

horse

O, ancora, si pensi ai molti videogiochi ispirati alle storie classiche di Mickey Mouse e in particolare alla serie di Epic Mickey – forse uno dei momenti più emblematici della storia del recupero nostalgico disneyano – da cui sono state derivate anche delle belle storie a fumetti scritte da Peter David e illustrate magnificamente da tre dei migliori artisti italiani: Claudio Sciarrone, Paolo Mottura e Fabio Celoni.

epic

Del resto anche un riconosciuto maestro del cinema di animazione come Tezuka creò nel 1985 il suo particolare, duplice omaggio, all’epoca dei film muti e alle animazioni à la Tex Avery con Broken Down Film:

http://www.youtube.com/watch?v=KbUYVVmWESg

Si tratta però di singoli episodi, degli scrigni in cui respirare un’aria che non c’è più. Chiedere, come vedo spesso fare a molti, di affondare a piene mani in quel passato, pur così ricco di tesori, sembra una follia. Magari molti pensano davvero di volere, che so, un settimanale tutto dedicato a Buci, ma in quanti lo comprerebbero? Il passato ci affascina e ci consola perché, tautologicamente, è passato.

Tutto questo per dire che i primi due episodi di Raceworld (Topolino nn 3042-3043) sono davvero ben scritti e ben disegnati da Roberto Gagnor (testi) e Claudio Sciarrone (disegni). Una particolare menzione va alla colorazione digitale di Elisa Braglia che testimonia l’attenzione della testata per questo aspetto, in passato spesso troppo trascurato. A suo tempo, se ne era parlato con Mirka Andolfo.

race

La storia, di ambientazione mistico-fantascientifica, racconta della lotta per la conquista dell’universo fra due entità che impersonificano il Caos e la Fantasia. Una lotta che vedrà coinvolti, sui due opposti fronti – e non senza sorprese – i principali personaggi dell’universo disneyano a fumetti, provenienti da Paperopoli e Topolinia (e no, non c’è Buci, mi dispiace).

Raceworld è un bel lavoro proprio per come riesce a dialogare con il passato pur vivendo perfettamente nella modernità. I riferimenti e gli ammiccamenti sono molti e di varia natura e, come accade sempre più spesso, sviscerati nel redazionale collegato alla storia, altro importante elemento di dialogo con i lettori che il settimanale sta recuperando. Si va dalle Guerre Segrete di marveliana memoria, alle Wacky Races di Hanna & Barbera, ai robottoni giapponesi, passando per altri anime e manga, Douglas Adams e altro ancora, per non parlare delle classiche saghe disneyane “interspecie”.

Una summa di riferimenti che, però, non basta a se stessa, non si annulla nella nostalgia ma si risolve in una storia autonoma che, in larga misura grazie alla modernissima impostazione delle sorprendenti tavole di Sciarrone, assolve ad una delle mission più caratteristiche dei fumetti Disney: coinvolgere lettori di tutte le età. Se, infatti, i più grandi – per non dire adulti – oltre a godere di una storia dinamica e ben scritta, possono divertirsi a cogliere i riferimenti che contiene, abbandonandosi momentaneamente a quel rifugio cui accennavamo prima, in un gioco che svolgono con la complicità degli autori (loro coetanei), i più giovani, a cui il settimanale è principalmente indirizzato, possono ignorare la pletora di citazioni e immergersi nella narrazione disegnata.

Da leggere insomma e, fra qualche anno, magari da rimpiangere su un forum.

*La prima parte di questo articolo deve alcuni spunti alla discussione sviluppatasi sul profilo Facebook di Francesco Artibani, che ringrazio insieme agli altri commentatori.

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