HomeFocusIntervisteDietro le quinte del Nao di Brown. Intervista a Glyn Dillon

Dietro le quinte del Nao di Brown. Intervista a Glyn Dillon

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di Antonio Solinas

Abbiamo intervistato Glyn Dillon, autore de Il Nao di Brown, in occasione della sua traduzione italiana pubblicata da Bao Publishing.

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4 – Il Nao di Brown, di Glyn Dillon (Bao Publishing). Il ritorno del “fratello bravo di quello di Preacher” (Recchioni dixit) al fumetto, dopo 15 anni, è uno dei libri più sorprendenti dell’anno. Da un lato per il trasporto emotivo nel racconto della malattia (disturbi ossessivo-compulsivi) della protagonista. Dall’altro per il tour de force artistico, fatto di acquarelli mozzafiato, storytelling impeccabile e di una vivace contaminazione fra sensibilità grafiche british, francesi e giapponesi. In una specie di equivalenza con l’“iperattività” mentale, l’energia del disegno e dei colori (e dei sogni) sembrano quasi suturare gli scompensi di Nao. E noi, con lei, fluttuiamo in una storia che sembra farci perdere. Come in una strana, misteriosa esplorazione: la ricerca di sé – e dell’amore – da parte di una ragazza unica.

Ti ci è voluto parecchio tempo per completare The Nao of Brown. Come è nato il progetto?

“Quello della progettazione è stato un periodo abbastanza lungo, ma ci sono stati tre giorni strani in cui tutto, quasi per magia, è andato al suo posto. All’inizio, la storia si stava concentrando maggiormente su Gregory e sul rapporto con gli Ichi. Nao doveva essere solo l’oggetto dei suoi interessi amorosi. Ma, una volta che è stato chiaro che avrebbe sofferto di OCD, è stato anche abbastanza ovvio che abbia catturato tutta la mia attenzione.”

Come si è sviluppato, dal punto di vista del processo creativo?

“Una volta focalizzata l’idea di partenza, ho costantemente aggiornato un documento Word in cui, non censurandomi, buttavo giù ogni cosa che mi veniva in mente, senza badare a quanto potesse sembrarmi stupido in quel momento. A un certo punto, l’obiettivo è stato quello di ridurre il materiale, tanto da poterci scrivere un “trattamento” per la sceneggiatura, che all’inizio era lungo all’incirca quattro pagine. In seguito, ho continuato a tagliare ancora, in modo da arrivare a una sola pagina. Quindi ho incominciato a disegnare e dipingere quelle che supponevo sarebbero state le prime pagine.”

A che punto hai iniziato a pensare a un editore, e perché la tua scelta è caduta su Self Made Hero?

“In realtà, non pensavo a un editore. Se non che, quando ho completato le prime undici pagine, un amico che aveva conoscenze alla SMH ha deciso di informarli di quello che stavo facendo, e a quel punto sono stati loro a mettersi in contatto con me. Hanno visto le prime undici pagine e i due trattamenti e mi hanno chiesto di scrivere una sinossi dettagliata, per dimostrare che avevo ben in mente come sviluppare la storia. Così ho consegnato loro undici pagine in cui descrivevo dettagliatamente tutto quello che sarebbe successo nella storia. Dopo di che, siamo stati in grado di negoziare un accordo e mi sono messo al lavoro. Ho dovuto cambiare orari di lavoro per poter scrivere di notte e ho impiegato tre mesi per ultimare la sceneggiatura, che ha visto sei diverse revisioni. La settima bozza l’ho completata dopo aver finito sia i disegni che i colori, nella fase di lettering. Mi è stato più semplice eliminare didascalie e balloon che tutto a un tratto non mi sembravano più necessari.”

Il personaggio principale, Nao, è un hafu, e la sua eredità culturale ha un ruolo di primaria importanza nella storia. Come hai condotto la ricerca delle fonti? Ma soprattutto: perché proprio un hafu come protagonista?

“Un mio amico mi presentò alla sua nuova ragazza giapponese, che si chiamava Nao (che si pronuncia come l’inglese “now”). Immediatamente, ho pensato che fosse un buon nome per un personaggio a causa di questa omofonia. Il “qui e ora” è un concetto importante nel buddismo e si prestava ai temi di cui si voleva occupare il libro. Ma naturalmente, era un nome giapponese e non volevo parlare di un personaggio giapponese perché pensavo fosse al di là delle mie possibilità. Facendone un hafu tutto ha acquistato senso perché potevo farla crescere in Inghilterra e farla sentire veramente inglese, il che significava che mi era più facile scrivere di lei da una prospettiva più onesta. Ma era anche piuttosto conveniente avere un hafu come protagonista, poiché era pertinente al tema della polarità, che viene affrontato nel libro.”

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Anche la POCD (disordine ossessivo-compulsivo puramente ossessivo) è uno dei temi chiave. Sappiamo che hai un legame con la cosa: ce ne vuoi parlare?

“Certo. Mia moglie ne ha sofferto gravemente quando era bambina e nella tarda adolescenza e quando stavo scrivendo lo avevo appena scoperto. Ma, non è la biografia di mia moglie, chiaramente. Ho solo incominciato ad interessarmi alla sua condizione ed ho iniziato a leggere un sacco di roba al riguardo con un desiderio di imparare e capire.”

Ti sei trovato a fare delle scelte riguardo a ciò che doveva essere lasciato fuori della OCD, perché non in linea con la storia?

“Ho di proposito omesso il fatto che Nao era in terapia, accennando solamente agli esercizi che faceva a casa. Non volevo che fosse tutto concentrato sul suo disturbo. Non volevo stare a spiegare eccessivamente le cose al lettore.”

Anche se la maggior parte dei personaggi sono essenzialmente “britannici”, il pubblico internazionale sembra avere molto apprezzato The Nao of Brown. Lo prova il “Premio Speciale della Giuria” al festival di Angoulême. Hai mani pensato ai lettori stranieri, mentre creavi il libro?

“Ha ha! No! Non avrei mai osato immaginare che avrei avuto un pubblico così ampio. Per quanto mi riguarda, stavo scrivendo per una sola persona: mia moglie. Anche se speravo che l’avrebbe letto anche altra gente che soffriva della stessa sindrome. E infatti l’ho scritto in maniera tale che chiunque soffrisse della OCD avrebbe potuto capire facilmente quello che succedeva, mentre i non affetti dalla malattia avrebbero dovuto faticare, in un primo momento.”

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In tutto il libro, è stupefacente l’attenzione ai dettagli, a ogni piccolo gesto dei personaggi.

“Grazie! Fare storyboard durante gli ultimi diciassette anni mi ha aiutato, senza dubbio, fosse anche solo per quanto riguarda lo stile di disegno. Sono da sempre un grandissimo ammiratore di Hugo Pratt e amo il modo in cui i suoi disegni hanno una forza e una sicurezza, una rilassatezza che ti porta a pensare che tutto gli venisse facile. Avendo trascorso tanto tempo su storyboard che devi disegnare rapidamente e sotto pressione, sicuramente ho perso la mia ampollosa ricercatezza. Non ci sono ancora arrivato del tutto, ma mi sto avvicinando.”

Una delle caratteristiche più sorprendenti è il tentativo di mescolare influenze che provengono da diverse tradizioni, come per esempio la scuola francese o quella giapponese.

“Ammiro tantissimo Katsuhiro Otomo, e quando stavo scrivendo la sceneggiatura leggevo un sacco di manga (che invece non avevo letto tantissimo, in precedenza). Mentre scrivevo, ho letto tutto Death Note e qualche volume di Pluto, e mi sono appassionato molto a Bakuman, cosa che mi sembrava abbastanza pertinente, allora. L’influenza francese è principalmente quella di Jean Giraud, di cui sono un gran fan sin dall’adolescenza. Amo il racconto classico e pulito delle bande dessinées, e la natura cinematografica dei manga ben si allinea con il mio background di disegnatore di storyboard. Quindi sì, penso sia giusto dire che c’è una forte influenza asiatica ed europea, rispetto a quella americana.

A posteriori avresti fatto qualcosa diversamente?

In effetti sì, penso che ci siano cose che oggi farei in modo diverso – ma per fortuna non è possibile. A essere onesti non l’ho riletto interamente, da quando è stato stampato. Certo, è strano: penso che la gente creda che tu debba conoscere il tuo libro a menadito, ma per molti versi per me sta diventando un ricordo sbiadito.

Parte dell’esperienza “totale” di Nao è l’appendice multimediale. Ce ne vuoi parlare?

“Se ti riferisci al sito web “ichi”, sì, mi piaceva parecchio l’idea di creare una piattaforma multimediale. Mi sono trovato a condividere lo studio con Jamie Hewlett durante il periodo dei Gorillaz, che sono stati molto bravi in questo. Non circoscrivevano tutto alla musica e ai video musicali: avevano degli eccellenti siti web che allargavano l’esperienza narrativa. Se, da fan, ci prestavi un po’ di attenzione, ci avresti trovato tantissima roba. Naturalmente, non ero in grado di fare qualcosa di quella portata, ma se dai un’occhiata a www.ichi-anime.jp, puoi trovarci un trailer animato e alcune tracce musicali nascoste (della band di Nao). Abbiamo anche creato un’edizione limitata del giocattolo che appare nel libro e recentemente si può comprare la sua t-shirt rosa con il simbolo del Nulla qui. Mi piaceva l’idea che alcuni degli oggetti che Nao desidera apparissero anche nel nostro mondo, indipendentemente dal libro.”

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Hai visto l’edizione italiana del libro?

“Mi piace! C’è stata tanta cura e attenzione. Bao ha fatto un lavoro eccellente e sono entusiasta di far parte delle loro uscite. Hanno alcuni libri stupefacenti nel loro catalogo.”

Cosa prevede il futuro, per Glyn Dillon, nel campo del fumetto? Possiamo aspettarci un tuo nuovo libro, prossimamente?

“Non certo prossimamente, ma sicuramente prima o poi qualcosa sì. C’è qualcosa che bolle in pentola, ho un po’ di idee e le sto mettendo insieme molto lentamente. Subito dopo Nao, sentivo la pressione di mettermi a fare qualcos’altro, ma ora mi sto rilassando un po’. A tempo debito succederà qualcosa.”

Traduzione di Tonio Troiani

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