Togliamoci subito il pensiero: Thunder Ben, il primo lavoro da autrice completa dell’illustratice Vanessa Cardinali, è un buon libro. Potremmo addirittura sbilanciarci e definirlo ottimo. Se non fosse che, oltre a condensare al suo interno un sacco di aspetti positivi non certo scontati per la gran parte dei prodotti destinati alla stessa fascia d’età, avesse evitato di cadere nel più banale degli errori: la sindrome da favoletta morale che incombe sinistra su chiunque si metta a scrivere storie per bambini e che rischia di far perdere a questo fumetto gran parte della sua grinta.
Thunder Ben è un ragazzino che vive in uno strano mondo diviso a strati verticali. Ogni livello è una sorta di microcosmo a sé, dotato delle proprie regole. Gli unici in grado di attraversare i confini tra una dimensione e l’altra sono i Cavalieri del Cielo, baluardi dell’ordine e della giustizia di questo bizzarro universo a colonna. Mentre i suoi amici si accontentano della loro vita fatta di consuetudini e lumache volanti, il nostro Ben desidera qualcosa di più. Il suo più grande desiderio è di lasciare la placida Saaret e diventare uno dei Cavalieri. Ci prova e riprova, ritrovandosi puntualmente richiamato alla dura realtà. Questo fino al giorno in cui si ritroverà protagonista di un’avventura molto più grande di lui. Sebbene le difficoltà sembrino insormontabili, il Nostro piccolo eroe non desisterà, perseguendo tenacemente il raggiungimento del suo obbiettivo, riuscendo finalmente a coronare il suo sogno.
Vanessa Cardinali mette in piedi un mondo grandioso, una sorta di incrocio tra lo Skyloft di Zelda e la King City di Brandon Graham, e lo popola di personaggi altrettanto curiosi. Gli stessi Cavalieri del Cielo sono un piccolo capolavoro di character design: un pastore a cavallo di una balena volante, un vichingo guerriero e il suo bruco corazzato, una principessa e il suo elegante piccione, un monaco e il suo drago. Il tutto reso con il tratto morbido e accattivante dell’autrice, a metà tra le suggestioni della nuova animazione statunitense e il classicismo europeo che, tra l’altro, non risulta mai troppo zuccheroso.
La splash-page in cui entrano in scena i condottieri volanti è di una potenza davvero tangibile, resa ancora più stordente dalla costruzione perpendicolare della pagina. Quando poi si passa da un livello all’altro le cose si fanno ancora più interessanti. La matita lascia spazio al collage – un classico dell’illustrazione per l’infanzia troppo spesso trascurato – tratteggiando lande solo apparentemente minacciose. Qui, in una svolta quasi alla Miyazaki, incontrerà un grosso e saggio essere dalle fattezze di uccello e delle strane creaturine volanti a forma di pasta gigante.
Sarebbe bastato continuare su questa falsariga – esplorazione, paura, scoperta – per avere tra le mani un gioiello da far leggere a tutti i nostri figli/nipoti/fratelli minori. Come se creare un universo così originale fosse una cosa da nulla. Come se tutti gli stimoli derivanti da un simile concentrato di stili e influenze non fosse già qualcosa di prezioso per i giovani lettori. Qualcuno avrebbe dovuto far notare a Vanessa Cardinali come un risultato simile sia già qualcosa di inarrivabile per molti autori, che troppo spesso ammiccano ai giovanissimi in maniera goffa e inconcludente. Raggiungere questi livelli al primo tentativo, con la sua classe e la sua freschezza, è un risultato da applausi.
Peccato che a un certo punto si entri in zona “lungometraggio Disney”. Quel modo di raccontare per cui all’eroe basta credere fortissimamente di essere destinato a qualcosa di più rispetto ai suoi coetanei per poterlo realizzare. Nell’articolo del The Atlantic You Can Do Anything: Must Every Kids’ Movie Reinforce the Cult of Self-Esteem? l’autore spiegava bene la differenza tra i prodotti per l’infanzia usciti nell’ultima decade e il capolavoro Arriva Charlie Brown del 1969.
Nei primi – che si tratti di Planes, Turbo, Kung-Fu Panda, Ralph Spaccatutto poco importa – i protagonisti riescono, nell’arco di un film, a raggiungere il loro più grande obbiettivo. Nel secondo Charlie Brown parte come perdente e finisce come… perdente. Solo un po’ più tosto, più maturo e più consapevole che dopo ogni sconfitta ci si può sempre rialzare in piedi. Lo impara a proprie spese, investendo tutte le energie per dimostrare agli altri di valere qualcosa vincendo una gara di ortografia e facendosi eliminare in finale. La sola sequenza, rigorosamente muta, in cui il Nostro se ne torna a casa solo e s’infila mestamente sotto le coperte, è qualcosa di inimmaginabile per la produzione contemporanea. Il giorno dopo per la vergogna Charlie non riesce neppure a presentarsi a scuola. Ci vorranno le parole del suo saggio amico Linus a scuoterlo a fondo:
«Mi rendo conto di quello che provi. Il concorso è stato molto faticoso per te e ora immagino che pensi di aver deluso tutti, di esserti reso ridicolo e tutto il resto. Però hai notato un cosa, Charlie Brown? Non è stata la fine del mondo».
Una volta uscito di casa capisce che nulla è cambiato, che nessuno lo sta aspettando per additargli il suo fallimento e che, dopotutto, la vita va avanti in qualsiasi caso.
Se volessimo trovare esempi più calzanti da contrapporre al libro della Cardinali potremmo tirare in ballo il Casello Magico di Norton Juster. Anche in questo caso si parla di un ragazzino qualunque chiamato a salvare un intero reame da una terribile minaccia. All’apparenza sembrerebbe un fantasy con tutti i crismi del genere, pieno di creature curiose e di incredibili giochi di parole, ma in realtà tutta la vicenda si risolve nell’arco di un’ora nel mondo reale. Il giovane protagonista porterà anche a termine la sua missione a Oltremondo, ma alla fine della fiera tornerà a essere lo stesso, anonimo ragazzetto di prima. Impossibilitato perfino a tornare a visitare quelle terre incantate. Forse perché il succo di tutta la faccenda non è il perseguimento di un obbiettivo ma l’amore nel percorso per poterlo raggiungere.
Il discorso, mi pare chiaro, è ben diverso. Ci passa tutta la differenza tra un film d’azione anni Ottanta, dove la sequenza dell’allenamento solitamente era riassunta in un montaggio di un paio di minuti a base di testi motivazionali e sintetizzatori da discount, e il film simbolo delle arti marziali La 36ª camera dello Shaolin. Nell’opera di Liu Chia-Liang, su due ore di durata totale, più di un’ora è dedicata al percorso formativo del protagonista. Così facendo si sposta l’asse dell’attenzione sulla preparazione dell’eroe piuttosto che sulla risoluzione dei conflitti.
Thunder Ben sarebbe un libro più riuscito, se non avesse indugiato così tanto nel voler per forza di cose lasciare qualcosa di positivo al proprio giovane lettore. Sia chiaro, nessuno intende mettere in dubbio il valore pedagogico della fiaba. Si vuole solo far notare come la percezione di questa forma di narrazione si sia modificata nel corso degli anni. Provate a leggere qualsiasi libro pre-Disney e vi renderete conto di come spesso gli autori non si facessero certo grossi problemi a rendere le cose sgradevoli o crudeli.
Basti vedere come Roald Dahl, autentico monumento della letteratura per l’infanzia, si divertiva a tratteggiare gli adulti, dividendoli in due categorie ben precise. I meschini e crudeli da un parte e gli inetti, incapaci di mantenere la propria prole, dall’altra. Altro che solide e paterne figure di riferimento. Nessuna meraviglia, visto che dalla penna di quest’uomo è uscito quell’incubo allucinato di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato e perle meno conosciute, ma altrettanto crudeli, come La Magica Medicina.
Tanto per farvi capire quanto il bisogno di dare a un’opera un’aurea educativa sia del tutto gratuito, in quest’ultimo libro il piccolo protagonista si liberava della tirannica nonna avvelenandola. Altro che salvare il mondo.
Thunder Ben
di Vanessa Cardinali
Bao Publishing, 2016
129 pagine, 19,00 €