Wolverine & gli X-Men è stata una serie che, agli inizi degli anni Dieci del Duemila, ha dato una scossa al parco testate degli X-Men, iniettando nel franchise leggerezza, umorismo e un sense of wonder ruspante. Tutto merito dello sceneggiatore Jason Aaron, ora nome di punta di Marvel Comics e all’epoca bella promessa del fumetto statunitense. Ecco una guida con tutte le tappe obbligate della gestione.
Di cosa stiamo parlando: Nel 2012, Aaron era reduce da una gestione sulla serie Wolverine che lo aveva «messo sulla mappa», come amano dire gli americani. Aveva cioè raccolto consensi e il suo nome era iniziato a girare anche fuori dai circoli più ristretti che lo avevano conosciuto per The Other Side e Scalped.
Alla Marvel, con la possibilità di giocare con personaggi di punta, aveva poi scritto l’evento Scisma, che si era concluso con una frattura ideologica tra Ciclope e Wolverine. Quest’ultimo, si era trasferito a New York ed era diventato il preside della scuola per mutanti che era stata dell’allora defunto Xavier. Ora rinominata Jean Grey School for Higher Learning, l’accademia era popolata da vecchie conoscenze e una serie di nuovi alunni. Questa, a spanne, era la premessa di Wolverine & gli X-Men.
Numero di albi: 44 (Wolverine and the X-Men 1-42, Wolverine and The X-Men 27AU, Wolverine and The X-Men Annual).
Dove li posso leggere in italiano: Per presentare Wolverine & gli X-Men nel maggio 2012 Panini Comics fece le cose in grande e varò una testata nuova di zecca, chiamata – tenetevi forte – Wolverine & gli X-Men, con tanto di edizione variant. Lì, l’editore modenese raccolse la serie omonima più altre collane della stessa linea come Uncanny X-Force, X-Men: Legacy, Amazing X-Men, Storm e Spider-Man and the X-Men, per poi concludersi nel dicembre 2015 con il numero 44.
Nel maggio 2019, Panini ha tradotto il compendio Wolverine and the X-Men nel corrispettivo volumone Wolverine & gli X-Men, novantanovesima uscita della collana Marvel Omnibus, in cui ha raccolto tutti gli albi scritti da Aaron meno tre numeri: Wolverine & The X-Men 27AU e Wolverine and the X-Men 36-37, quest’ultimi contenenti una storia parte della saga La battaglia dell’atomo (ristampata, anche in originale, altrove).
Per la cronaca, i primi otto episodi sono stati raccolti nel volume Wolverine & gli X-Men: Prima lezione nel gennaio 2014, all’interno della collana Supereroi – Il mito di RCS. Un volume che sarebbe un buon disimpegno nel caso la serie vi facesse gola ma non vi andasse di comprare l’Omnibus completo. In ogni caso, a voi la scelta.
Quanto mi ci vorrà per finirlo (ho il comò pieno di arretrati, sii preciso per favore): Non ne ho la più pallida idea. I tempi di lettura sono soggettivi, specie quelli fumettistici (quanto passo a rimirare il tratto o le scelte di un disegnatore, per esempio, o quanto lento sono a comprendere i dialoghi, o quanti dialoghi ci sono in una pagina). Regolatevi voi, sapendo che sono una quarantina di albi spillati da ventidue pagine mediamente verbosi. Per amore di esaustività, comunque, vi do una stima: basteranno due venerdì pomeriggio di ottobre, in cui non c’è molto da fare, il tempo è mesto, la settimana è quasi finita ma è ancora accettabile sentire parlare di scuola, data l’ambientazione del fumetto.
Le storie come sono: Wolverine & gli X-Men ha la costruzione vecchio stile di una serie tv di quelle dal sapore casereccio degli anni Novanta: stagioni che oggi sembrano interminabili (22-24 episodi) con un’attenzione alla trama verticale – quella del singolo episodio – e un occhio a quella orizzontale – che si dipana lungo tutta l’annata.
Aaron si approccia allo stesso modo, bilanciando molto bene le storie autoconclusive eppure mantenendo un respiro largo. La sensazione è quella di una versione a fumetti di Star Trek: The Next Generation, in cui ogni settimana Picard e la sua squadra finivano in un racconto di Shakespeare, nel Far West, a lezione di scultura o dal veterinario intergalattico.
C’è un po’ di Grant Morrison, un po’ del Peter Milligan di X-Statix. Aaron, da questi due autori, recupera alcuni personaggi (Doop, Quentin Quire) e soprattutto l’idea realistica dell’esperienza mutante. Non supereroi che condividono l’origine dei loro poteri ma essere umani – studenti, insegnanti, bidelli – che hanno sviluppato una loro sottocultura, come tutte le minoranze.
Tratta il tema delle forze evolutive in contrasto con la natura delle cose. L’evoluzione non è una forza ontologica ma una crescita personale su cui l’individuo può avere il controllo. Come Krakoa, la terra senziente cresciuta in cattività e istruita all’odio che chiede di poter diventare un X-Men.
È l’Aaron più fiabesco, dolce e amorevole che vi capiterà mai di leggere. Aggettivi del genere non si addicono granché al canone degli X-Men, per questo a tratti Wolverine & gli X-Men va fuori parte. Pur filtrati, lo stile sbracato e l’immaginario sudista che gli avevano fatto guadagnare l’incarico su titoli di seconda fascia (Black Panther, Punisher MAX e Ghost Rider) e poi su Wolverine, rimangono integri.
Wolverine & gli X-Men è la dimostrazione che Jason Aaron non può smettere di essere Jason Aaron, mai (ambienta perfino una scena in Alabama, con tanto di contadino in salopette). Succedono cose folli, e Aaron non fa nulla per giustificarle o inserirle in un flusso raziocinante. C’è una costante atmosfera da ricreazione che può risultare anche frustante, a volte.
Personaggi da seguire: Il suo nome dà il titolo alla serie, è il protagonista ed è effettivamente messo in un contesto che tira fuori degli aspetti diversi del suo carattere e lo fa evolvere lungo la strada. Insomma, Wolverine qui è al centro del progetto nell’inedita veste di tutore.
Logan non si è mai sobbarcato responsabilità verso gli altri e ha sempre fatto i conti con i propri coinvolgimenti emotivi a cose fatte. Questo lo ha messo in netta opposizione a Ciclope, leader del gruppo, maturato precocemente e pronto a caricarsi sulle spalle il peso del mondo, di fronte a un padre putativo (Xavier) con cui si è trovato spesso in dissenso, quando non assente. Dopo i fatti di Scisma però i ruoli si sono invertiti, Wolverine è diventato Ciclope, rigoroso, responsabile, e Ciclope ha assecondato i moti rivoluzionari che covava nel profondo dell’animo. L’emarginato ribelle è diventato il capoclasse e viceversa.
Wolverine si è integrato nella società supereroistica, comparendo in quasi tutti i principali supergruppi (è un problema quando uno dei tuoi personaggi più amati dal pubblico è un lupo solitario e per sfruttare il suo appeal commerciale finisci per snaturarlo). «Vi ricordate quando Wolverine era figo? Neanche io» fa scrivere Aaron a Quentin Quire nei bagni della scuola.
E più avanti il giovane mutante Mudbug fa un commento che sembra uscire dal diario privato (e risentito) dello sceneggiatore, che si sarà visto censurare più di una scena: «Una volta Wolverine mi piaceva, quando piantava gli artigli in faccia alla gente, ma ora si è rammollito, vero? Ho sentito che adesso gli artigli li usa solo contro i veri cattivi. Che razza di baggianata buonista è mai questa?». Per questo, il suo ruolo di dirigente scolastico è allo stesso tempo una prospettiva inedita e interessante eppure uno sradicamento innaturale. E a lui è dedicato il bel finale della serie. Emozioni contrastanti, insomma.
Quindi, nonostante a Wolverine succedano un sacco di cose (anche a livello di vita amorosa 🥰🥰🥰), più che lui e gli altri X-Men adulti, a vivacizzare la serie è il cast dei giovani scolari, tra cui si segnalano Kade Kilgore, rampollo dodicenne di un trafficante d’armi affiliato al Club Infernale e nuovo Re Nero del club dopo l’uccisione del padre, commessa da Kade stesso, Kubark (figlio del Gladiatore degli Shi’ar), Quentin Quire (Kid Omega), Broo, Krakoa, Warbird ed Evan Sabahnur (clone dodicenne di Apocalisse).
Aaron ha il debole per i ragazzini sensibili (Broo, Evan) o per quelli geniali, tracotanti e con la lingua lunga (Kade, Quentin, Kubark) e si vede che ha ingegnerizzato la testata attorno a loro, assecondando le loro trame con tanto impegno quanto quello dedicato agli adulti. Vederli crescere, instaurare rapporti, imparare, fallire è la parte più divertente del fumetto.
Storia “Vabbè vai al Louvre e non vedi la Gioconda?”: Sono tanti i momenti imprescindibili della serie, quasi sempre marcati dal gusto un po’ rozzo di Aaron: Wolverine che va su un pianeta casinò per finanziare la scuola, gli studenti che finiscono nella giungla in Scuola di sovravvivenza; un circo itinerante che pratica il lavaggio del cervello sugli X-Men facendoli diventare saltimbanco della compagnia; Kitty Pryde incinta della Covata. A emblema della serie sceglierei però La saga infernale (Wolverine and the X-Men 31-35), che racconta lo scontro tra Wolverine e il nuovo Club Infernale guidato dal supergenio preadolescienziale di Kade Kilgore. È il momento in cui Aaron, dopo rodaggi, false partenze e deviazioni, ha ormai padroneggiato l’intruglio di umorismo, dramma, soap opera, amore e azione che caratterizza la testata.
Momento preferito: Io ho un cuore di panna che si scioglie di fronte a colpi bassi di ruffianeria come il finale del volume. Dopo centinaia di pagine, la conclusione che si inventa Aaron – e che chiude il discorso sulla sua visione del personaggio di Wolverine – è il fiocco perfetto per chiudere la serie.
Questo invece potete anche saltarlo: Di solito i momenti fiacchi di questi prodotti sono i passaggi obbligatori dentro qualche crossover. Succede anche qui, per ben tre volte (Avengers vs. X-Men, La battaglia dell’atomo, Age of Ultron) ma una volta tanto è solo il fuori serie dedicato a Age of Ultron a risultare dimenticabilissimo, mentre gli altri due sono più che buoni. Sono invece deboli tutte le trame che riguardano Angelo, un personaggio che provoca facili sbadigli ogni volta che appare sulla pagina. E allora il numero che lo mette al centro del discorso, Alla ricerca di qualcosa di nuovo (Wolverine and the X-Men 20), si becca la medaglia d’oro di salto dell’albo.
L’angolo della vergogna: Wolverine & gli X-Men scricchiola un po’ nei disegni, non sempre ispirati, e nella levità insita nel progetto, che a volte prende strade facili e sintomatiche di un atteggiamento che poi si traduce nelle storie. Aaron sembra dire: sono conscio che non sto scrivendo Duncan the Wonder Dog, quindi lasciatemi divertire con qualche trovata scema.
C’è anche una visione del personaggio di Wolverine che può risultare alienante per alcuni lettori (come già spiegato) e, soprattutto, una normalizzazione di Quentin Quire, l’irrequieto mutante creato da Grant Morrison e Frank Quitely che Aaron recupera dandogli nuova vita ma privandolo anche delle asperità che lo rendevano affascinante.
Dialoghi memorabili: «Si dice che a trent’anni Alessandro Magno avesse già conquistato gran parte del mondo conosciuto. La mia unica domanda è: perché ci ha messo tanto?» (Kade Kilgore).
Miglior disegnatore: Man mano che la serie progrediva con la numerazione – e probabilmente scendeva nelle vendite – gli editor hanno affidato i disegni ad autori sempre meno famosi e dalla mano debole – Jorge Molina, Pepe Larraz, Steve Sanders – con l’eccezione della manciata di albi disegnati da Ramón K. Pérez, l’autore di Tales of Sand (ma, per quanto bravo, è troppo poco rappresentativo della serie per eleggerlo a simbolo). I disegnatori che maggiormente hanno contribuito alla serie in termini di design e tono complessivo sono Chris Bachalo – artefice dei primi numeri – e Nick Bradshaw, che ne ha disegnato la gran parte.
Bachalo, un veterano del mondo mutante fin dagli anni Novanta, non fornisce la sua prova migliore. Il canadese ha alternato periodi di enorme confusione grafica a gestioni più minimalistiche, in cui le forme si sono semplificate a favore della chiarezza. In certi casi è riuscito a gestire queste tensioni stilistiche raggiungendo un buon equilibrio tra limpidezza narrativa e sovraffollamento della pagina. In Wolverine & gli X-Men non mi pare sia riuscito nell’intento. Non inquadra bene Wolverine (e lo disegna maluccio), esagera un po’ troppo le fisionomie ed è meno brillante nel costruire la pagina.
Bradshaw è un figlio illegittimo di Arthur Adams, con il quale condivide lo stile cartoonesco, l’amore per il dettaglio e l’horror vacui che lo porta a saturare le vignette. Non mi piacciono i manieristi, e Bradshaw lo è con tutte le scarpe, però devo ammettere che le suntuose pagine ambientate sul pianeta casinò o le sequenze in cui mette su carta ogni singola goccia di sudore dei personaggi hanno il loro perché. In questo contesto, la spunta sul resto dei colleghi.
Miglior albo: Proprio per la natura vecchio stampo della scrittura, trovare albi autoconclusivi soddisfacenti è molto più facile nel caso di Wolverine & gli X-Men. Per esempio c’è un episodio dedicato alla nascita di Warbird (Warbird nata, su Wolverine and the X-Men 10), molto bello. Ma il migliore è senza ombra di dubbio L’arma segreta di Wolverine (Wolverine and the X-Men 17), in cui Aaron e un freschissimo Michael Allred raccontano come Doop sia entrato nello staff della scuola.
Pagina che mi fa ricordare perché esistono i fumetti: Bachalo non offre qui la sua prova migliore ma vince a mani basse in questa categoria grazie a una doppia pagina caricata a pallettoni tratta da Braccare (Wolverine and the X-Men 12), in cui Wolverine chiama in aiuto i suoi compagni di merenda Avengers.
Miglior copertina: Wolverine & gli X-Men non ha copertine particolarmente artistiche o evocative. E infatti la mia preferita è un’immagine a sfondo umoristico. Quentin Quire che, nel bagno della scuola, ha lasciato un graffito che irridere il protagonista della serie e si fa megafono di una generazione di lettori che ha visto Logan venire abusato allo sfinimento dalla Casa delle Idee: «Vi ricordate quando Wolverine era figo? Nemmeno io». Dolorosamente perfetto.
Se vi è piaciuto, l’algoritmo vi consiglia anche: La miscela di schermaglie scolastiche, poteri mutanti, alunni fuori dalla norma, compiti e campanelle che ha fatto la fortuna di Wolverine & gli X-Men non è certo una formula inedita. Se vi è piaciuta, troverete quegli stessi gusti in SuperMutant Magic Academy di Jillian Tamaki, fumetto che è una versione indie e low-fi della serie di Aaron, e My Hero Academia, manga (e anime) shōnen di Kōhei Horikoshi.
Un romanzo che gira su piste simile è anche Il gioco di Ender di Orson Scott Card (leggete il libro, non guardate il film), ma anche Il mago di Lev Grossman (o potete optare per l’adattamento televisivo, The Magicians). C’entra quasi nulla, ma riguardo al tema scolastico ci tengo a consigliare Bad Teacher – Una cattiva maestra, un mio guilty pleasure nonché perla nella filmografia di Cameron Diaz. L’attrice recita nei panni dell’insegnante scorbutica e malmostosa in una scuola media americana, alle prese con adolescenti, riunioni con i genitori e tutte le altre cose che mandano ai pazzi Wolverine e lo fanno sentire insicuro del proprio ruolo – quindi alla fine c’entra eccome, mi stupisco di me stesso.
Rispiegamelo tutto, ma in un tweet:
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