Per la nostra rubrica Lo scaffale di…, abbiamo chiesto a Valerio Gaglione (autore di Uccidendo il secondo cane per Oblomov) di scegliere e commentare 5 fumetti dalle sue letture più recenti.
Il gioco, di Milo Manara
È possibile comandare a distanza il piacere sessuale di una giovane e avvenente donna con un semplice selettore che va da un minimo a un massimo? Per Manara sì. Questo incantevole e divertentissimo fumetto del grande maestro dell’erotismo mi è stato consigliato a Lucca da un certo Manuele Fior (uno che se ne intende parecchio). Tornando da Lucca lo scorso anno l’ho acquistato a Genova, l’ho sfogliato e letto voracemente in treno. Mi ha fatto eccitare e divertire al contempo: due componenti base del termine “gioco”.
Ogni pagina è una rivelazione, l’incontenibile protagonista ha rapporti nei cinema, in spiaggia, nella foresta, sulle gelide alpi, in una stalla, in sontuose stanze dal gusto liberty. Questo è il dolcissimo e pericoloso prezzo da pagare per aver rifiutato le avance di un grottesco pretendente; la vendetta ha mille modi per presentarsi al cospetto del suo malcapitato, fra i tanti vi è il piacere… un piacere che va oltre ogni regola, ogni morale, ogni forma di buon costume. Lo definirei un fumetto sex-punk per la sua irruenza, la sua anarchica e geniale capacità di far piombare il lettore in un mondo che se ne frega della privacy e del bon ton.
La vita non è male malgrado tutto, di Seth
Sono impazzito per reperire questo volume, edito da Coconino Press nel 2001 e, ahimè, mai più ristampato in italiano. Il fatto è che lo dovevo avere già solo per quel maledetto titolo: La vita non è male malgrado tutto. Mi sono chiesto più volte, che vorrà dire con quella frase? È un modo di accontentarsi di un quotidiano spesso e denso come la neve dell’Ontario? Oppure cela il resoconto d’una esperienza infelice, come la vita adulta che afferra e strangola l’inerme protagonista di un qualsiasi romanzo di formazione?
La risposta non esiste. La risposta è un continuo vagare, vignetta dopo vignetta in paesaggi freddi e desolati. Rincasare con la mente piena zeppa di cartoonist del New Yorker, fumare sigarette al freddo, bere caffè e chiacchierare con Chester Brown. La scena più commovente è quando Seth abbraccia il suo bel gatto ciccione e gli dice: «Come farei senza di te? Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata».
Ecco dunque, sparata in faccia come un proiettile colmo di cianuro, la triste verità che accomuna una buona fetta di anime solitarie in questo sporco mondo, ossia il ritrovare quel pizzico d’amore necessario per la sopravvivenza in un peloso animaletto d’appartamento.
Si avverte la solitudine in questa novella grafica. Avverto ciò che provo ogni giorno d’inverno in provincia, lo stesso peso nel petto, le gambe che si muovono soltanto per mettere in moto meccanismi cognitivi, verso una nebulosa di sovrappensieri surreali, verso un’insofferenza che (malgrado tutto) non è male.
Barcazza, di Francesco Cattani
Una recente (ri)lettura. Questo fumetto mi ha fatto venire voglia di fare fumetti quando non ne avevo mai fatto uno. Copiai Cattani per anni, lo copiai male, lo copiai spudoratamente. Avevo in testa solamente quella perfetta anatomia, quelle situazioni così concrete e surreali al contempo e continuavo a chiedermi: come diamine ci riesce? Un giorno glielo chiederò.
Nel frattempo continuo a gustarmi Barcazza, la luminosità di una linea sinuosa, l’odore del mare che improvvisamente arriva e sale dalle narici. Basta una vignetta con una finestra a oblò disegnata per evocare il fresco interno di una casa in pietra, una pianta di fico, una barca a vela in lontananza, una terrazza… cazzo! Tutto è così perfetto e soave, perfino i tesi rapporti d’una coppia in vacanza, che poi, saranno davvero in vacanza? I personaggi sono sospesi, come in una vecchia Polaroid, eppure ci troviamo in un qui e adesso meraviglioso. Com’è meravigliosa la vignetta in cui la ragazza stende il lenzuolo sul letto. Sento perfino il profumo dell’ammorbidente, mi viene voglia di esserci io in quelle lenzuola immacolate.
Autoroute du soleil, di Baru
Questo super tomo di Baru mi fa venire voglia di rubare una macchina, di ubriacarmi, di rileggere tutto Jack Kerouac con l’ingenuità che avevo a 13 anni. Quel che più mi piace dei suoi personaggi è che corrono sempre, non si fermano mai, scappano da qualcosa e non sanno nemmeno loro da cosa. Possono fuggire da una pistola, da un marito inferocito perché usurpato della propria supremazia eterodiretta, fuggire da se stessi… chi lo sa. La maggior parte delle volte fuggono e basta, corrono, volenti o nolenti senza nemmeno prendere fiato. I corpi in corsa diventano come le figure nella pittura futurista, si deformano, seguono un dinamismo folle e imbizzarrito, prospettive lynchiane che ingigantiscono o appiattiscono profili.
E poi, vogliamo parlare delle auto? Sono bellissime, si sente il gusto della cromatura e il rombo dei motori. Sulla strada, ancora e ancora, odore di pompe di benzina, di autogrill, di ferro e asfalto, della notte folleggiante sulle teste di queste anime grottesche, così pure e violente, così ammirevoli nella loro concretezza e invincibile mortalità umana.
École da la misère, di Yvan Alagbé
Dopo la splendida mostra a BilBOlbul dedicata a Yvan Alagbé mi è venuta voglia di possedere questo volume, di ritrovare fra le mie mani quelle stupende e disperate tavole. Una carica di tristezza ed erotismo senza pari, le fioriture del colore e dell’acqua che stemperano la carta di grigi e neri tenebrosi. Due colpi di pennello ed ecco evocata la sensualità, altri due colpi e vi è un paesaggio, un flashback, un trauma passato. La memoria si fa narrazione e la narrazione si fa immagine. Ma mai un’immagine nitida. Tutto è sfocato, come una notte d’amore ubriaca della quale il giorno dopo conservi solo qualche frammento. Questi frammenti di memoria che Alagbé riesce con magistrale padronanza a evocare sono stati per me un’enorme rivelazione.
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