Quando, ormai 7 anni fa, è stato svelato il nome del successore di Albert Uderzo e soprattutto di René Goscinny ai testi di Asterix, in Italia siamo rimasti un po’ stupiti: Jean-Yves Ferri era completamente ignoto dalle nostre parti, se non per la serie umoristica Ritorno alla terra, scritta per Manu Larcenet, disegnatore la cui fama lo metteva in ombra.
Eppure, la scelta delle Editions Albert-René si è rivelata corretta: dopo una partenza incerta con Asterix e i Pitti, lo scrittore sembra aver trovato una sua strada con Il papiro di Cesare e soprattutto con La figlia di Vercingetorige, uscito lo scorso autunno in occasione dei 60 anni della serie.
L’aspetto più straordinario della nuova gestione di Asterix è senza dubbio il coraggio di Ferri nel cercare una nuova strada per raccontare le avventure degli irriducibili Galli, uscendo dal solco tracciato dai suoi predecessori. Non è una cosa scontata: nel fumetto francese spesso chi prende in mano una serie cerca di rispettarne pedissequamente lo spirito per non spaventare i lettori storici. In qualche modo questo succede anche per i disegni di Asterix: Didier Conrad si discosta molto poco dallo stile di Uderzo, se non in qualche nuovo personaggio, così che l’aspetto superficiale delle opere sia tranquillizzante anche per i fan più talebani.
Il rispetto grafico per il canone nasconde però un piccolo, continuo lavoro di rivoluzione nei testi. Come il miele – di lucreziana memoria – serve per far bere la medicina amara ai bambini, così i disegni classici servono a far accettare tanti piccoli cambiamenti che stanno modificando l’anima della serie.
L’abbiamo già visto nelle storie precedenti: Ferri è molto bravo a tratteggiare personaggi interessanti, molto più di quanto facesse Goscinny. Come scrivevo altrove, il co-creatore di Asterix utilizzava molto i tormentoni «per caratterizzare i suoi personaggi, che perdono qualsiasi sfaccettatura o tridimensionalità per diventare maschere immediatamente riconoscibili: Asterix e Obelix (ma anche Lucky Luke, i Dalton, Iznogoud, Nicolas…) dicono sempre le stesse cose e fanno sempre le stesse cose, anche se messi di fronte a situazioni diversissime». Goscinny lo faceva con tutti, protagonisti, personaggi ricorrenti e comparse. È chiaro che non gli interessasse approfondire i loro caratteri, quello che voleva era solo fare ridere, tanto e nel modo più immediato.
Ma Ferri non è Goscinny. Da una parte non sembra avere la stessa verve e preferisce un’ironia un po’ smorzata all’umorismo puro; dall’altra viene dopo la lunga gestione del solo Uderzo, che aveva pian piano portato Asterix sempre più dalle parti di una serie avventurosa, cosa che gli ha dato più spazio di azione per quello che gli interessava scrivere: i personaggi prima delle risate.
Asterix e la figlia di Vercingetorige è al momento il miglior esempio di questo nuovo approccio per un motivo su tutti: al centro della trama ci sono dei personaggi adolescenti: i figli del pescivendolo Ordinalfabetix e di Automatix il fabbro e Adrenalina, l’erede di Vercingetorige.
Si tratta quasi di una prima volta per la serie, che aveva sempre messo in scena soltanto adulti, anziani e bambini e mai giovani, se si esclude il ventenne Menabotte di Asterix e i Normanni. Ferri tratteggia i suoi teenager a partire dai classici stereotipi legati a quell’età, ma riesce a sgrezzarli approfondendo le loro motivazioni ed emozioni.
Non siamo ai livelli di approfondimento psicologico di un fumetto intimista, sia chiaro, ma lo stacco rispetto a quanto faceva Goscinny è ben evidente. Il modo migliore è proprio confrontare come vengono caratterizzati Menabotte da una parte, Adrenalina, Sushix e Selfix dall’altra.
Il nipote di Abraracourcix ha pochissimi tratti caratteriali, molto semplici e anche abbastanza scontati: giovane di Lutezia (Parigi), non è abituato a combattere e disprezza la vita campagnola, alla quale contrappone usi e mode di città. L’unica cosa che vorrebbe è tornare a casa, invece è obbligato a restare in vacanza nel villaggio dell’Armorica per temprare il carattere. Goscinny lo utilizza per fare blanda satira sui giovani della beat generation (Asterix e i Normanni è del 1966) e ne mette quindi in primo piano gli strani gusti musicali, il rifiuto per la tradizione campagnola e gli atteggiamenti “da fighetto”. Oltre non va: Menabotte è lo stereotipo di un teenager di quegli anni, trasportato nel 50 a.C. per far ridere.
Anche i figli del fabbro e del pescivendolo vengono dalla città, da Condate (Rennes) dove sono stati mandati a studiare, ma sono tornati al villaggio per imparare il mestiere dei genitori. Il loro rifiuto delle tradizioni del villaggio è più profondo di quello di Menabotte: nati e cresciuti lì, hanno scoperto la città e vorrebbero portarne gli usi presso i genitori. La classica ribellione adolescenziale in loro si manifesta come un’opposizione a pozione e cinghiali, simboli del mondo dei padri. Al tempo stesso, però, non hanno il coraggio di rompere completamente con le loro origini, collaborano con Abraracourcix e i suoi e si fanno tentare dal provare la bevanda magica. Alla fine riusciranno a trovare un equilibrio, togliendosi dalle ombre dei padri senza rompere completamente con la tradizione.
Adrenalina è personaggio ancora più interessante, anche se vive un’evoluzione minore nel corso dell’albo. Lei non vuole la responsabilità che le addossano i suoi padri adottivi, che vogliono farne il simbolo della resistenza gallica contro i Romani, vorrebbe solo fuggire e creare una comunità per orfani per aiutare chi è più sfortunato di lei. Vuole al tempo stesso smarcarsi dalla responsabilità che le viene imposta e addossarsene un’altra che si è scelta da sola: qualcosa di più di una semplice ribellione adolescenziale, quindi, piuttosto il desiderio di poter controllare finalmente la propria vita.
L’approccio con cui tratteggia gli adolescenti Ferri lo utilizza sempre, l’aveva mostrato anche negli albi precedenti. I nemici che inventa per Asterix hanno motivazioni più complesse di quelle che si sono viste nei 50 anni precedenti, e spesso hanno un’evoluzione all’interno dell’albo stesso, spesso sono più infidi che violenti.
Come ha dichiarato Ferri stesso, «è la loro debolezza che li rende dei cattivi»: Bestsellerus del Papiro di Cesare sembra una persona mite ma si mostra sempre più spietato man mano che la situazione si complica; l’avversario Coronavirus della Corsa d’Italia non è nemmeno il vero cattivo, a differenza del senatore Lactus Bifidus che non esita a corrompere e tramare pur di conservare il suo posto.
In Asterix e la figlia di Vercingetorige la minaccia è il traditore Nerdflix, gallo biturigo che vuole vendicarsi del leader gallico perché ha sempre preferito i suoi Arverni a qualsiasi altra tribù alleata. Malvagità nata quindi da insoddisfazione e gelosia, per un cattivo con motivazioni umane, quasi realistiche.
Anche i personaggi classici sotto le mani di Ferri subiscono una trasformazione che li rende più interessanti. Pensiamo ad esempio al capo Abraracourcix e a sua moglie Mimina: già Goscinny aveva tratteggiato il loro rapporto di coppia come quello di un capo e del suo sottoposto (ovviamente il capo è lei), ma è nel Papiro di Cesare che raggiunge la maturità. La gag ripetuta che era alla base di classici come Gli allori di Cesare viene approfondita, sfaccettata. Avete presente la “vecchia imbellettata” di Pirandello? Seguendo la lezione del Nobel siciliano, Ferri ci mostra cosa si nasconde dietro la risata, un rapporto di coppia lacerato e sofferente. Le sfuriate di Mimina contro suo marito rimangono divertenti, ma ci fanno provare pure pietà per due esseri umani così insoddisfatti dal loro matrimonio.
Obelix stesso negli ultimi libri si è arricchito di qualche sfumatura, in particolare in Asterix e la corsa d’Italia, pubblicizzata proprio come un’avventura del grande guerriero. È una strategia dello sceneggiatore, convinto che «il fatto di spingere Obelix in primo piano, mettendone in luce delle caratteristiche eroiche, metta in risalto ancora di più l’intelligenza e l’astuzia di Asterix». Un’ottima idea per trasformare pian piano Obelix da semplice mangiatore di cinghiali e intagliatore di menhir in un personaggio con aspirazioni e desideri, proseguendo sulla strada già tracciata – questa volta sì – da Goscinny e Uderzo.
Ma forse chi cambia di più sotto la penna dell’ex nuovo sceneggiatore è Giulio Cesare. Il nemico per eccellenza dei Galli è sempre stato tratteggiato come superbo, desideroso di vincere gli avversari anche con metodi non cristallini; Ferri rincara la dose, calcando la mano sul suo orgoglio e facendogli fare qualche caduta di stile.
Nel Papiro di Cesare in particolare il dittatore permette a Bestsellerus di depennare dal suo De bello gallico il capitolo dedicato agli irriducibili Galli per non rischiare di diventare zimbello del senato e dei posteri. È la vanità a farlo cedere: in un primo momento l’idea di censurare la verità l’aveva disgustato, ma le parole del suo editore lo convincono al taglio. Cesare inizialmente supporta questo piano subdolo, ma alla fine della vicenda, nel momento in cui rischia di ritorcerglisi contro, punisce colui che l’ha ideato. Nella sconfitta, Cesare riassume la dignità imperiale che gli spetta, si mostra un avversario corretto e di parola come già visto innumerevoli volte. Cosa che non gli impedirà, la volta dopo, di lasciarsi tentare da un nuovo consigliere con in testa un piano infido per sconfiggere i Galli…
Questa diversa ricchezza di caratterizzazione tra i personaggi di Goscinny e quelli di Ferri è la differenza principale tra le loro opere. Al primo bastava fare ridere con la parodia del ragazzo impallinato di rock ‘n’ roll; il secondo va oltre, volendo raccontare una storia prima di suscitare una risata. Approcci diversi, figli di epoche, capacità e gusti differenti. Ma quella tracciata da Ferri è una strada interessante, che ci sta dando un Asterix originale rispetto a quello classico ma buono come non si vedeva da decenni, e che vale sicuramente la pena di seguire.
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