In un periodo in cui Sergio Bonelli Editore sta innovando come ha fatto di rado nella sua storia, mettendosi alla prova con generi e formati inediti, prequel, saghe che distruggono universi narrativi e conseguenti reboot, c’è una serie che, invece, continua la sua corsa seguendo tutt’altra traiettoria. Quella della continuità, che porta ogni mese in edicola un albo di buona qualità media sotto tutti i punti di vista, ma che è forse la traiettoria più sorprendente di tutte. Non sto parlando di Tex e di Zagor, la cui costanza di certo non stupisce, ma di un loro consanguineo più giovane: Dragonero, di Luca Enoch e Stefano Vietti.
Il fantasy bonelliano, nato nel 2007 come primo dei Romanzi a fumetti dell’editore e diventato nel 2013 una serie regolare, è una delle migliori letture di intrattenimento seriale che si trovino oggi in edicola, grazie alla sua “innovazione ben temperata”, graduale – ma senza dubbio non solo di superficie – dei canoni narrativi e delle formule editoriali bonelliane. E soprattutto, grazie a un’attentissima cura del prodotto. Dopo quasi sette anni di corsa ininterrotta, gli autori hanno deciso di proporre una svolta: azzerare la numerazione e creare un punto di ingresso per nuovi lettori nel complesso universo della serie. Il primo numero di Dragonero – Il ribelle è uscito a novembre 2019, ed è una buona occasione per fare il punto della situazione.
Dragonero, finora
Gli ultimi due anni sono stati molto impegnativi per Ian Aranill detto Dragonero, ultimo discendente di una stirpe di cacciatori di draghi, ex mercenario, ex ufficiale dell’Impero Erondariano, ex scout e ora ribelle, proprio in conseguenza degli avvenimenti degli ultimi mesi. Lui, i suoi amici, i suoi alleati e tutto il suo mondo sono stati coinvolti in una guerra che ha cambiato completamente lo status quo, quella contro le Regine Nere.
Gli autori hanno preparato questo evento per anni, inserendo nelle trame in tempi non sospetti vari accenni al fatto che gli elfi oscuri, sconfitti secoli prima, sarebbero potuti tornare per vendicarsi. Un paziente lavoro sotterraneo di costruzione che ha iniziato a emergere sempre più spesso fino al novembre 2017, quando il risveglio di un drago rinnegato aveva segnato l’inizio della catastrofe. Nell’episodio #54, Uccisore di Draghi, il logo e la cornice grafica della copertina hanno iniziato a spezzarsi, fino a “crollare” due albi dopo, all’inizio della guerra vera e propria.
Il maxi evento è durato ben otto mesi, da gennaio ad agosto 2018. In quasi 800 pagine Enoch e Vietti hanno tirato le fila di quanto avevano messo sul tavolo negli anni precedenti. A contrastare gli invasori abbiamo trovato tutti i personaggi principali della serie, oltre a molti comprimari apparsi anche solo in qualche albo. Elementi mostrati una volta soltanto sono diventati tasselli cruciali, con un gioco di incastri che ha premiato i lettori della prima ora, senza però rendere la lettura impossibile per quelli ‘casuali’.
La fine del conflitto ha portato a un nuovo status quo, esplorato per circa un anno, posizionando nuovi pezzi sulla scacchiera – un’importante presa di coscienza del protagonista, un nuovo comprimario e il ritorno di vecchi nemici, che potranno essere al centro di nuovi eventi futuri – e una nuova, tremenda minaccia che fa deflagrare ancora una volta la situazione. Colui che era parso il principale alleato di Ian, il nuovo re dell’Erondar rimasto orfano dell’Impero, decide di ricostruire il suo dominio con la forza e un uso immorale delle arti magiche. Dragonero passa così in clandestinità, diventando il leader di un gruppo di ribelli.
Una macchina perfetta
Uno dei punti di forza del fumetto è evidentemente la sua capacità di intessere storie di lungo respiro all’interno di una serialità abbastanza blanda, con un ottimo bilanciamento fra trame orizzontali e verticali. Alcuni albi sono quest singole, che si chiudono a pagina 96, altri sono tasselli di narrazioni più ampie, come quella delle Regine Nere.
Questo è possibile in primo luogo grazie al coordinamento di ferro della testata, operato dai due showrunner che sono anche autori di 89 soggetti su 90 pubblicati tra serie regolare, romanzo a fumetti e speciali e di quasi tutte le sceneggiature. Un lavoro di equipe così stretto fa sì che la redazione abbia chiaramente il pieno controllo delle uscite, con un’idea chiara di dove porteranno i fili principali delle trame.
Le conseguenze sono di grande importanza per la riuscita di Dragonero, non solo per realizzare storie interessanti, ma anche per un elemento fondamentale di ogni buon fantasy: l’ambientazione. Il mondo in cui si muovono i personaggi di Enoch e Vietti è chiaramente stato immaginato a tavolino, sebbene molti dettagli sembrano essere stati sviluppati dopo. Il fatto che i due autori abbiano il timone nelle loro mani riesce però a evitare che il tutto deragli, sommerso da un accumulo disordinato di elementi. L’Erondar è un universo compatto e plausibile (per quanto possa esserlo un mondo con draghi e magia), che i lettori esplorano poco alla volta seguendo i viaggi di Ian e soci.
Gli ideatori sono partiti dai classici elementi dell’high fantasy, quel sottogenere che ha le sue origini nelle opere di J.R.R. Tolkien e che vede tra i suoi rappresentanti più illustri giochi, libri, videogame come Dungeons & Dragons, Dragonlance, Warhammer, Warcraft, il ciclo di Shannara, The Witcher, Magic the Gathering, Le cronache del ghiaccio e del fuoco…
In Dragonero abbiamo quindi maghi saggi che praticano magia bianca e stregoni oscuri dediti alla necromanzia; elfi silvani, elfi oscuri, elfi del nord, elfi del deserto; nani, minatori, testardi e amanti della birra; orchi selvaggi, in guerra continua con gli umani; orride creature degli abissi, troll, ghoul, draghi e così via.
Lavorare per stereotipi diffusissimi tra chi pratica il genere permette agli autori di parlare la stessa lingua di chi li leggerà e, facendo leva su ciò, di inserire con facilità tanti piccoli elementi originali che rendono molto meno banale del solito il loro universo. Tutti i personaggi più importanti sono ricollegabili ad archetipi del fantasy, ma allo stesso tempo hanno qualche tratto che li rende più originali e interessanti.
Un esempio su tutti, ancora una volta, sono le Regine Nere. Che non vogliono distruggere il mondo perché sono malvagie ma che, anzi, vorrebbero riportarlo a una purezza primordiale, quando la natura non era ancora stata ferita da uomini e nani. Uno scopo nobile, sulla carta, che non può lasciare indifferente un lettore della nostra epoca, in cui i temi del rispetto del creato e dell’ecologia sono in primo piano. Gli eroi non si pongono dubbi, ma a noi viene naturale domandarci chi abbia ragione tra queste Grete oscure a cavallo di drago e chi vuole difendere lo status quo.
Dragonero non è quindi una brutta campagna di D&D popolata da personaggi bidimensionali. Enoch e Vietti approfondiscono le loro creature, arricchendo i loro background durante le avventure principali, con brevi racconti in appendice agli albi e con due serie prequel, la conclusa Dragonero Adventures, che racconta le avventure da ragazzini di Ian, di sua sorella Myrva e dell’orco Gmor, e lo spin-off Senzanima, con storie del periodo in cui il protagonista è stato soldato di ventura.
Inoltre, gli autori non temono di dare ai personaggi archi narrativi tragici, come quello dell’elfa Sera, che da ragazza spensierata diventa una spietata cacciatrice di uomini dopo aver toccato con mano l’egoismo dei suoi simili, la crudeltà umana e aver perso una gamba in guerra.
Alla ricchezza del mondo concorre anche una scelta linguistica originale, fondamentale, come insegna Tolkien, per dare un’identità a un mondo. Gli autori hanno quindi deciso di staccarsi dalla tradizione di lingua anglosassone, imperante anche nei pochi fantasy made in Italy, e costruire una loro lingua basata sul latino e sul greco antico, come si può facilmente leggere in questa poesia:
«Ahm fhoste amôthe, dar ara mă reddhi adhome
Blânde mângâhere şi privhe afectha
Fethe frathe şi soresse shoâmbe ahmine
Ahm fhoste amôthe, dar ara shio mă reddhi adhome.»
«Sono stata lontana ma ora sono tornata a casa
Dolci carezze e sguardi affettuosi
Volti di fratelli e sorelle che mi sorridono
Sono stata lontana ma ora so di essere tornata a casa.»
Disegnare il fantasy
Tutto questo però non basterebbe se gli episodi non fossero, e con regolarità, buone cavalcate di action adventure. Le avventure scritte da Enoch e Vietti sono sempre solide, ricche di azione ben bilanciata con gli approfondimenti etnico-storici, i focus psicologici dei personaggi, le traversate quasi turistiche – in stile gaming – nei paesaggi. Non tutti gli albi sono altrettanto buoni – in particolare i primi quattro non sono molto riusciti, un’unica lunga avventura spezzettata meno interessante di quanto ci si sarebbe aspettati, che a suo tempo fece abbandonare il campo al collega Antonio Dini – ma il livello medio è ottimo. E nel tempo, rodati i meccanismi e la squadra produttiva, gli episodi filler sono praticamente spariti.
Anche il team di disegnatori fa la sua parte, con stili diversi che però hanno in comune un buon mix tra disegno bonelliano e supereroistico. Non a caso tra i veterani troviamo Giancarlo Olivares e Giuseppe Matteoni, il primo già attivo su Nathan Never, il secondo autore del romanzo a fumetti di Dragonero, entrambi disegnatori di Spider-Man per le storie pubblicate su Il Giornalino.
Con loro, diversi autori con esperienze negli Stati Uniti (Gianluigi Gregorini, Gianluca Pagliarani), in Francia (Giuseppe De Luca, Luca Malisan, Riccardo Crosa) o sulle testate Bonelli più “innovative” (Alessandro Bignamini), in particolare Nathan Never (Ivan Calcaterra, Antonella Platano, Francesco Rizzato), oltre a un buon numero di disegnatori che non avevano mai lavorato prima per la casa editrice milanese (Fabio Babich, Fabrizio Galliccia, Emanuele Gizzi, Salvatore Porcaro, Walter Trono).
La serie di Vietti ed Enoch è dunque una lettura davvero piacevole, se ciò di cui andate in cerca è il buon intrattenimento seriale fatto di universi fantastici, azione e avventura. Ma la sua qualità sembra passare inosservata. Spulciando la rete alla ricerca di articoli (compreso il nostro archivio, va detto) e gli elenchi di candidature e premi di fumetto, è facile osservare di quanto poco si parli di Dragonero. Che il suo peccato originale sia di essere un fantasy?
Sarebbe una vecchia storia, e molto italiana: nonostante eccezioni come Licia Troisi, lo spazio che il fantasy riesce a ritagliarsi nel panorama giornalistico e critico italiano, era e rimane scarso. Più scarso di quanto accada non solo negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, ma anche in Francia o Germania. Continuerà ad andare così, dopo l’uscita della serie televisiva animata che da qualche anno è in produzione? Chissà. Per ora, limitiamoci ai fatti: Dragonero è uno dei migliori fumetti italiani che possiate attualmente leggere in edicola. E la ripartenza con Dragonero – Il ribelle può essere l’occasione giusta per scoprirla.