Se ci dovessimo limitare alla descrizione data in quarta di copertina di Storto (storto) <storto> potremmo pensare che per il suo nuovo libro Danilo Manzi si sia limitato a muoversi tra «l’orrore dei cannibal movies di Ruggero Deodato e un’ambientazione fantasy desolante». Eppure basta una lettura superficiale per rendersi conto che – e lo dico con tutto l’infinito rispetto che provo per Monsier Cannibal – tra queste pagine c’è molto di più.
In primo luogo incontriamo una ricerca di worldbuilding che pesca a piene mani da quanto fatto da China Miéville in titoli come Embassytown. Al di là dell’organizzazione del mondo dei grotteschi omuncoli protagonisti della storia e degli spietati meccanismi che ne regolano la sussistenza, nel libro di Manzi c’è un lavoro sulla lingua davvero notevole. Non è certo maniacale e approfondito come quello del romanziere di Norwich, ma abbastanza da rappresentare il vero motore narrativo della parte iniziale del volume.
Prima ancora che cominci a svilupparsi una trama nel senso più tradizionale del termine ci si cala nella lettura di Storto (storto) <storto> solo per capirne le regole interne, cercando di decodificare in maniera soddisfacente il linguaggio stratificato di un mondo che pare uscito da qualche incubo di Egon Schiele.
Il lavoro di progettazione di Manzi non punta alla complessità come arma principale. L’autore porta avanti un numero limitato di idee, tutte necessarie al dipanarsi della storia. Bastano un paio di schede a mo di infografica (in apertura ad alcuni capitoli) e abbiamo tutto quello che ci serve per capire che nulla è lasciato al caso.
In Storto (storto) <storto> non ci sono scelte gratuite dettate dalla voglia di realizzare qualcosa di strano per il mero gusto di essere strani, ma solo pezzi di un meccanismo elaborato che servono a calarci in un mondo alieno e minaccioso. La gestione delle anatomie non solo è grottesca e sgradevole, nodosa e deformata, ma anch’essa funzionale alla narrazione.
Manzi non disegna i suoi omuncoli in maniera tanto esasperata solo per il piacere di farlo. Quegli arti e quelle teste così sovradimensionate avranno un utilizzo ben specifico nello scorrere della storia. L’autore investe pagine su pagine per mostrare i loro effetti su corpi normali, schiacciandoli e dilaniandoli come se fossero finiti in qualche macchinario fuori controllo.
Quella che all’inizio viene presa come una semplice scelta stilistica acquista tavola dopo tavola consistenza e peso specifico, dando al mondo contenuto nel libro una concretezza del tutto inaspettata. Perfino il cubo con cui gli omuncoli si celano il viso cambierà di significato proprio in relazione a un cambio di anatomia che non è solo metaforico, bensì fisico nel senso più letterale del termine. Se un minuscolo copricapo appoggiato su di una nuca smisurata ha un senso, calato su un cranio normale ne acquista uno del tutto diverso.
Scendendo più in profondità, le cose si semplificano leggermente, nonostante i piani di lettura siano tanti. Il cannibalismo a cui si accennava prima è effettivamente una delle tematiche principali del volume, ma per capirne il significato bisogna immaginarselo in un mondo che è sospeso tra mutazioni da L’attacco dei giganti e un continuo ribaltamento di ruoli tra buono e cattivo (o meglio, tra cattivo e cattivo) come quello portato avanti da Yorgos Lanthimos nel suo The Lobster. Come nel film del regista greco anche tra queste pagine quello che vorrebbe essere un gruppo di rivoluzionari non riesce a dimostrarsi molto meglio del sistema da abbattere.
A complicare ulteriormente le cose si aggiunge una riflessione spietata sul rapporto tra generazioni e sull’implacabilità del corso della storia. Molti spunti che forse non vengono mai davvero approfonditi, semmai sfruttati per mettere in piedi metafore visivamente potenti ed efficaci. Al centro della pagina c’è il corpo che si trasforma, spappolato, trafitto o straziato da un colpo di fucile a pompa in pieno petto.
Manzi si concentra spesso sul linguaggio degli omuncoli, su come questo modelli la loro società privandoli letteralmente delle menzogne. Eppure, alla fine a riempire le pagine e a risolvere i conflitti è sempre un turbinio di carne in costante metamorfosi. Non a caso la lunghissima scena che anticipa il prologo si compone di oltre venti pagine completamente mute di massacro senza pietà. Cronenberg racchiudeva tutto il senso del suo capolavoro Videodrome nelle parole di Max Renn «Gloria e vita alla nuova carne!». Storto (storto) <storto> si conclude allo stesso modo, con un nuovo inizio tutt’altro che consolatorio o conciliante, ma che celebra la carne, le sue deformazioni e le nuove mutazioni.
I vecchi rapporti non si possono riallacciare semplicemente perché non ci sono mai stati e la nuova generazione – che verrà dopo di noi e dopo i nostri figli – è pronta a masticare e sputare senza troppa importanza quello che c’è stato prima. Danilo Manzi non ci tiene a darci la sua opinione, piuttosto registra quello che vede succedere ogni giorno davanti ai suoi occhi e ce lo restituisce filtrato nella maniera a lui più congeniale, fissando un nuovo traguardo al percorso iniziato nel 2017 con il già notevole e altrettanto disturbante Infetto.
Storto (storto) <storto>
di Danilo Manzi
Hollow Press, novembre 2019
brossurato, 192 pp., colore
19,00 €
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