Italo. Educazione di un reazionario, di Vincenzo Filosa (Rizzoli-Lizard)
Dopo il racconto attorno alla passione per il gekiga (il manga per adulti, spesso sperimentale, degli anni 50/60) di Viaggio a Tokyo, e quello dell’infanzia all’ombra di un padre assente e mitizzato di Figlio unico, Filosa torna a parlare di sé. Inevitabile: come ha spesso riconosciuto, il fumettista di Crotone fatica a inventare mondi e personaggi che siano frutto di pura invenzione (eccezione: la serie con Nicola Zurlo Cosma e Mito), preferendo mettere sul piatto quella che è l’esperienza personale, naturalmente romanzata in fumetti che lui stesso ha definito «infedelmente autobiografici».
Italo. Educazione di un reazionario è la prosecuzione ideale di questo percorso: Italo è un fumettista apparentemente realizzato, con una famiglia amorevole e un lavoro gratificante. È anche dipendente dagli antidolorifici. Il percorso di disintossicazione rivelerà le insicurezze e i problemi di una personalità molto più conformista di quanto volesse (far) credere.
Come una piccozza contro il ghiaccio, Filosa frantuma il proprio doppelgänger senza remore, con uno sguardo analitico e distante da ogni pietismo, riuscendo a inserire discorsi sullo stato del fumetto italiano e sulle sue storture. La vita di Italo è messa su carta con un segno che sembra filtrare Peter Bagge e Charles Burns attraverso una sensibilità nipponica, e un bianco e nero ipnotico e cristallino. Italo è insomma una bella conferma: delle capacità immaginifiche di Filosa, nonché del suo stile anfibio, il più giapponese degli autori italiani, il più calabrese dei mangaka.