Prima di Kimba il leone bianco, prima di Astro Boy, prima di La principessa Zaffiro, quando ancora era uno studente di medicina e aveva pubblicato solo alcune brevi opere (peraltro già di un certo successo grazie ai suoi primi due lavori, Il diario di Ma-chan e La nuova isola del tesoro), il giovanissimo Osamu Tezuka realizza la sua “trilogia della fantascienza”. Un trittico di opere che definisce la sua reputazione come autore capace di suonare con perizia e leggerezza i tasti bianchi e neri della sua infinita tavola da mangaka.
La trilogia giovanile viene pubblicata tra il 1946 e il 1952. Il primo è Lost world, ispirato ai Mondi perduti tendenzialmente sotterranei della letteratura franco-anglo americana di fine ottocento e inizio novecento. Solo che qui il mondo perduto è un pianeta, Mamango, staccatosi dalla Terra 1,5 miliardi di anni fa e popolato da dinosauri. Scienziati e malfattori partono alla sua conquista.
Il secondo volume (terzo cronologicamente) è Next World, delle tre l’opera probabilmente meno riuscita e sicuramente meno conosciuta: la parodia della guerra fredda all’epoca in corso, tra Federazione Uran (sovietici) e Nazione delle stelle (Usa). I test atomici con cui le due nazioni si fronteggiano generano una razza di mutanti, i Fumoon, esseri psichici e più intelligenti dell’Uomo. Intanto, una nube tossica si avvicina alla Terra e c’è chi progetta di evacuarla su una nuova Arca.
Infine, poco prima del 1950, pubblica Metropolis, che è una storia che viaggia a tutt’altra velocità. Il fumetto nasce dall’esigenza degli editori di cavalcare il nascente mercato del manga giapponese, che alla fine degli anni Quaranta si sta consolidando tra i due maggiori centri di produzione: la popolare Osaka e la raffinata Tokyo. L’editore di Tezuka vuole un manga in volume di lusso, un “libro rosso” (dal colore della copertina) di 160 pagine. E lo vuole in tempi molto brevi: sei mesi. Per Tezuka è un lavoro da fare in maniera rapida mettendo assieme parti che l’autore ha già sviluppato in passato, trovando una cornice unica.
Mentre saccheggia vecchi progetti e avanzi di storie (più che altro bozzetti, che l’autore rielabora da buon artigiano e produttore seriale) per la cornice si ispira al film omonimo di Fritz Lang, che era uscito nel 1927 e che l’autore ha poi dichiarato che conosceva solo indirettamente e per sommi capi. Partendo dal manifesto con la donna robot che aveva visto sulla rivista Kinema Junpo, Tezuka cerca di mettere assieme una storia che gli cresce letteralmente tra le mani.
Tezuka si disse compiaciuto del successo del manga e orgoglioso della capacità che ebbe di diffondere idee e cultura fantascientifica tra i bambini giapponesi. La storia è più ricca e articolata di quanto non sembri, e pure molto “americana”. Al centro dell’opera c’è la visione della mega-città, che è un tema ricorrente nelle storie di Tezuka. Sono la Manhattan e la Chicago prebelliche, avvolte nella nebbia generata dai fumi industriali e del riscaldamento a carbone, immortalata dai primi fotografi urbani.
In Metropolis compaiono il duca Red, il cattivo di turno, e Notaarin, che saranno volti ricorrenti dell’autore. Compare Mitchy (in altre traduzioni chiamato Michi), il protagonista, un androide che può diventare sia maschio che femmina, e che sarà la base per sviluppare sia Atom, cioè Astro Boy, che la principessa Zaffiro, anche stilisticamente, ispirato alla “statua con il volto più bello del mondo”, cioè l’Angelo di Roma.
La trama è lineare, da fogliettone, e procede con gusto e brio, spinta anche dal segno incredibile di Tezuka, capace di mescolare registri diversi con disinvoltura e sensibilità: dal comico surreale all’eroico (si ritrovano tracce del Superman di Jerry Siegel e Joe Shuster), sino al triste e al meditabondo.
C’è un accenno di erotismo, tema che entrerà senza problemi in altre opere del “dio del Manga” (come è stato soprannominato Tezuka), ma che qui non è ancora sviluppato. E c’è, assieme alla freschezza di una storia che viene raccontata in maniera straordinariamente attuale e godibile (dopo più di 70 anni!), anche uno sviluppo della trama che il nostro tempo disneyiano a tutti i costi non consente più. La storia è dolce, delicata, quasi infantile, divertente, ma anche spietata e mortale, con un gusto per le variazioni che fa capire perché Tezuka sia stato un maestro del disegno ma soprattutto un grandissimo narratore di romanzi popolari.
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