Ci siamo. Finalmente la Meteora si è schiantata sulla Terra e ha portato alla fine del mondo di Dylan Dog per come lo conosciamo. Ci eravamo lasciati a luglio, a valle dell’uscita dei primi otto albi su quattordici del “ciclo della meteora”, l’arco narrativo ideato per traghettare l’Indagatore dell’incubo fino all’episodio numero 400. Faceva caldo, avevo riletto tutti gli albi, e chiudevo con un auspicio: «il mio io ex-lettore fedele incrocia le dita perché la serie riesca a legare tra loro tutti i fili, in modo efficace e stimolante, nei sei albi rimanenti». Ora fa freddo, non ho riletto più nulla (mi son fatto più furbo, annotandomi cose nel corso dei mesi) e qualche lettore potrebbe chiedersi: sarà stato esaudito?
Un prologo lungo 300 pagine
L’aspetto più frustrante del ciclo, scrivevo, era di non essere un vero ciclo: alle storie mancava un collante. Non portavano avanti una trama orizzontale e non si citavano nemmeno tra loro. Erano insomma avventure ordinarie di Dylan Dog con un prologo e/o un epilogo e, se si aveva la cura (o la fortuna) di leggerle senza distrazioni, la sola percezione possibile del “ciclo” poteva passare da un paio di battute poste quasi di sfuggita qua e là, a ricordare che a breve sarebbe arrivata una meteora.
Per fortuna le cose sono leggermente cambiate in questo finale dell’arco narrativo. I tempi di produzione, presumo, hanno permesso di creare episodi più legati tra loro, a costituire un vero e proprio prologo al fatidico albo 399, quello del “matrimonio”. Nel 396, ad esempio, al centro della trama c’è l’ispettore Carpenter, che subisce sulla propria pelle gli effetti della meteora e delle macchinazioni di John Ghost in un modo che sarà utile per la risoluzione della storia; il 397 e il 398 invece mostrano gli effetti collaterali del panico da fine-del-mondo sotto forma di una pestilenza psicosomatica e di un desiderio di morte che si diffondono tra la popolazione. Solo il 395, scritto e disegnato da Carlo Ambrosini, ricade nel problema della prima metà del ciclo e, pur essendo un buon racconto, risulta ben poco allineato a quello che segue.
Tolto quest’ultimo, è interessante notare come gli altri albi siano pensati per preparare finalmente l’avvento della meteora. In particolare il 398, Chi muore si rivede, di Paola Barbato e Paolo Armitano, mette Dylan di fronte a una serie di vecchi antagonisti che vengono spazzati via in massa da John Ghost: un modo chiaro per esplicitare la chiusura di tutte le trame in sospeso del “vecchio” Dylan Dog e prepararsi al cambiamento.
Al tempo stesso – paradosso – si costruisce a posteriori proprio quella mitologia del personaggio da eliminare, altrimenti diluita in decine di migliaia di pagine; sembra che la sceneggiatrice si sia resa conto che per un gran finale fosse necessario chiudere delle sottotrame, ma visto che queste non esistevano davvero per via della continuity quasi inesistente del personaggio – spoiler: tema centrale del numero 400 – ha tirato fuori dal cilindro tutti i nemici a cui è più legata, collegandoli tra loro. Artefatto ma efficace, bisogna ammetterlo.
I temi di queste storie sono canonici, con l’orrore che irrompe nella quotidianità e offre agli autori un pretesto per puntare il dito su un tot di degenerazioni della nostra società. Solo il livello della minaccia è diverso, molto più ampio, universale, più apocalittico del solito, come ci si aspetta che avvenga nei giorni che precedono la fine del mondo. Non siamo di fronte ad albi straordinari – in alcuni casi, soprattutto quando scrive Barbato, la narrazione si scioglie in una retorica un po’ abusata su vizi & speranze dell’umanità – ma di sicuro sono letture più interessanti rispetto a quelle primaverili, e un buon antipasto al gran finale.
Ancora una volta, gran parte del merito va ai disegnatori, abbinati con ottimi risultati alle sceneggiature. Ambrosini gioca facile, scrivendo per se stesso una storia crepuscolare perfetta per il suo stile. La sceneggiatura ricca d’azione di Giovanni Eccher per Dylan Dog 396 nelle sapienti mani di Luigi Siniscalchi acquista un bel ritmo e la giusta dose di crudezza, con sparatorie e qualche testa che esplode, così come i toni cupi e angoscianti di Corrado Roi si sposano alla perfezione con le atmosfere del 397 Il morbo M.
La prova forse più interessante, però, è quella di Armitano sul numero 398. È un albo pieno di donne fatali e gente che muore male, e il disegnatore si scatena in scene splatter, granguignolesche e al tempo stesso lievemente sensuali. Man mano che si avanza nella lettura aumentano le campiture nere, l’oscurità circonda sempre più Dylan Dog, i volti dei personaggi emergono dalle ombre con linee nette, quasi tagliati con l’accetta, con un effetto inquietante. Non male, davvero.
Finché John Ghost non vi separi
Dylan Dog 399 è forse il fumetto (seriale e italiano) che ha fatto più rumore nell’anno appena concluso. E di questo va dato merito a Roberto Recchioni e alla squadra del marketing e della comunicazione Bonelli. Il motivo lo conoscete tutti: è il matrimonio tra l’eroe e Groucho, nozze che hanno fatto notizia al di fuori della comunità fumettòfila e garantito paginoni sulla stampa nazionale.
Con l’uscita dell’albo in anteprima a Lucca Comics, infatti, la comunicazione Bonelli ha deciso di spiattellare subito il colpo di scena, che era stato tenuto nascosto fino ad allora, per evitare fuoriuscite incontrollate di notizie. Un’ottima mossa, grazie alla quale hanno tenuto saldamente le redini di un cavallo bizzoso: da una parte un’accoglienza calorosa – e persino in modo ingiustificato (poi vedremo perché) – da parte della comunità LGBTQ e dei suoi simpatizzanti, dall’altra lo schiumare di bile di moltissimi lettori (ed ex lettori) omofobi, altrettanto ingannati dal colpo di teatro di Recchioni, che hanno contribuito a fare rumore intorno all’albo. Risultato: chi non voleva rischiare di passare per omofobo si è trovato a incensare l’operazione, i fan hardcore si sono riscaldati, e l’editore ha monetizzato l’enfasi con un bel cofanetto romanticone.
Eppure, a ben vedere, all’operazione brillante corrisponde una specie di “notizie che non lo erano”, come direbbero al Post.it. Si è infatti trattato di una specie di illusione, sia per chi sperava in una nuova icona gay-friendly, sia chi la osteggiava. Perché quello tra Dylan e Groucho non è un autentico matrimonio omosessuale. È vero che i due si sposano, con rito laico celebrato da John Ghost. Ma lo fanno solo perché l’ultima speranza della Terra è un gesto d’amore incondizionato. Un “trucco”, diciamo: dipende da cosa intendiamo per amore, e per matrimonio.
In italiano *amore* è un termine ambiguo, che racchiude quelli che in greco antico erano diversi significati. Tra gli altri, eros e agàpe: il primo è l’amore carnale, sessuale – erotico, appunto – che di solito c’è tra marito e moglie (o tra marito e marito o tra moglie e moglie); il secondo, l’amore fraterno incondizionato, quello tra JD e Turk o, guarda un po’, tra Groucho e Dylan Dog. Se entriamo in questa seconda ottica, l’Indagatore dell’incubo e il suo assistente si amano profondamente e il loro giurarsi amore eterno, più che un colpo di scena, diventa un fatto logico.
Nulla a che vedere, però, con qualsiasi attribuzione ai personaggi di un ruolo “portabandiera” della comunità gay. Tra Dylan e Groucho, dopo decenni di amicizia, il matrimonio non è qui un’epifania che li travolge e cambia il loro rapporto, portandolo sul piano carnale. È più una presa d’atto, spettacolarizzata, di un rapporto profondo sì ma che rimane distante dagli effetti emotivi, legali e sessuali del matrimonio (etero o meno che sia).
Spoilerando in anticipo il matrimonio, il team editoriale è riuscito a mettere in ombra (SPOILER, occhio) il triplice colpo di scena finale:
- la morte di Groucho
- la morte di John Ghost per mano di Dylan
- la fine del mondo
Tutte le macchinazioni messe in atto in questi dodici mesi non sono riuscite a deviare la meteora, che precipita sulla Terra con conseguenze che al momento non sono ancora chiare. Forse non l’ha distrutta, forse sì, e la narrazione dopo il numero 400 in poi si sposterà in mondi paralleli – chissà.
Bisogna ammettere che la conclusione è spiazzante. All’inizio del “ciclo della Meteora” non ci si sarebbe aspettati che questa precipitasse davvero fino a cancellare, come un colpo di spugna, tutta la storia editoriale precedente. È la prima volta in Bonelli in cui un universo narrativo viene completamente resettato.
Nemmeno la caduta di Urania in Nathan Never o la guerra contro le Regine Nere in Dragonero avevano fatto altrettanto. Un atto radicale, insomma. Peraltro voluto, rivendicato – «Il testo è una sorta di commiato dalla sua straordinaria eredità, così gigantesca e inarrivabile da essere diventata una specie di fardello per tutti gli autori che si sono cimentati con il personaggio. E ho capito che non è questa la strada giusta», scrive Recchioni nell’editoriale del numero 400 – e dunque coraggioso. Ammetto di essere curioso di leggere quello che ne seguirà.
Come accade troppo spesso, però, a una buona idea purtroppo non si accompagna qui uno svolgimento altrettanto convincente. E lo stesso Recchioni, senza dubbio il motore creativo di questa operazione coraggiosa, che aveva firmato l’albo migliore della prima metà del ciclo, si trova ad essere l’autore, in queste pagine, del peggiore. Nell’introduzione al ciclo narrativo era riuscito a bilanciare bene azione e spiegazioni; qui, invece, non arriva a replicare quell’alchimia.
Dylan Dog 399 vive in un paradosso, muovendosi tra due difetti opposti senza trovare un equilibrio. Da una parte ha bisogno di chiudere tutte le trame rimaste aperte, ed è quindi pieno di spiegoni, rimandi, citazioni, personaggi che compaiono per poche vignette per tirare in fretta le fila del proprio destino narrativo. Dall’altra vuole giustamente approfondire i protagonisti e dare a tutti il loro spazio. Aggiungiamo che in un paio di punti sembra “fare melina”, prendere tempo per riempire pagine in attesa del triplo colpo di scena conclusivo. Il risultato è un albo che lascia insoddisfatti, che sembra volersi concentrare sui rapporti tra i personaggi – scelta giustissima – ma che deraglia anche in sequenze superflue che tolgono spazio a quello che dovrebbe essere il cuore del racconto.
Un esempio calzante è la lunga sequenza d’azione che si trova all’incirca a metà del fumetto. Dylan, Groucho, Bloch, Jenkins, Carpenter e Raina affrontano i vampiri nazisti del sovrintendente con una serie di trovate ispirate a Dal tramonto all’alba e Buffy l’ammazzavampiri. In chiusura arrivano addirittura un mostro lovecraftiano e Lord Wells, che lo sconfigge a furia di citazioni di Peter Jackson. Scena divertente, ben animata dai disegni di Luca Casalanguida, in cui i personaggi sono messi in situazioni a cui di solito sono estranei, ma che a conti fatti è poco importante per l’economia della storia. È solo un pizzico di action per movimentare il racconto in un albo che probabilmente ne avrebbe potuto fare a meno, e la chiusura di una sottotrama horror/politica che alla fine non ha portato a niente.
La trama frammentata è però un modo per coinvolgere un numero molto alto di disegnatori, affidando a ciascuno una sequenza che metta in luce le loro qualità. Se a Casalanguida tocca l’azione, a Roi la sequenza onirica iniziale e a Nicola Mari un confronto tra Dylan e Ghost, in cui i suoi chiaroscuri netti diventano funzionali per la caratterizzazione dei due antagonisti. Marco Nizzoli si occupa della parte principale, il primo matrimonio sfumato, con tanto di rappresentazione di moltissimi personaggi provenienti dai fumetti di tutto il mondo, invitati alla celebrazione. Sergio Gerasi realizza un gioiellino di sei pagine, in cui un dialogo fondamentale tra Dylan e Groucho si regge quasi esclusivamente sulla recitazione teatrale dei suoi personaggi. Ad Angelo Stano, disegnatore del primo numero della serie, il compito di disegnare la sequenza conclusiva, perché tutto finisca come è iniziato.
Ma il problema principale di Dylan Dog 399, e in generale della conclusione del ciclo, è che un sacco di elementi messi sul tavolo non portano da nessuna parte. Quello che all’inizio sembrava il più originale, ovvero i vigilantes che prendono spunto da Dylan Dog, non viene più citato se non di sfuggita nel numero 398, quando uno sgherro dei cattivi dice di essere stato il “Dylan” del suo quartiere ma che adesso ha smesso. Una frecciatina satirica sulla volubilità dell’animo umano, certo, ma anche un’occasione sprecata per affondare la penna nell’interessante discorso sociale e politico del quale erano state gettate le basi.
Allo stesso modo, molte piste finiscono nel nulla: perché gli autori ci hanno mostrato che la Regina Elisabetta è un Grande Antico innamorato di John Ghost e che insieme stavano lavorando per la grandezza dell’Inghilterra, se poi non avevano intenzione di sviluppare la trama? E il “tradimento” di Groucho all’inizio di Eterne stagioni, quando complottava con Ghost, a cosa è servito? Solo a fargli recuperare gli anelli nuziali da Safarà? Sembra quindi che l’editor-narratore abbia lavorato “per accumulo”, buttando nella scarna trama orizzontale del ciclo molti elementi e colpi di scena per fare numero, senza però che nessuno fosse davvero rilevante al momento di tirare le fila.
Il piano di John Ghost stesso sembra essere strutturato allo stesso modo. Non è affatto chiaro cosa abbia in testa il miliardario del male, che mette in campo ostacoli per Dylan per poi sbarazzarsene, e lavora per il futuro sapendo che tutto funzionerà (forse) solo se l’eroe lo ucciderà. A volte sembra che il suo progetto sia studiato nei minimi dettagli, a volte sembra contraddirsi da solo. Coinvolge moltissima gente nel progetto (tipo i nazisti vampiri) senza apparentemente un’idea precisa di dove andare a parare. Recchioni intanto, per bocca sua, ci svela che moltissimi avvenimenti dei suoi anni di gestione hanno fatto da base per questo gran finale. I pezzi sembrerebbero doversi incastrare tutti nel puzzle, se non fosse che il disegno generale resta un grosso mah.
«Dicono che la madre delle invenzioni sia la necessità»
E poi? Che succede una volta che si è schiantata la Meteora? Succede la metanarrazione. Come in quasi tutti i “numeri anniversario” della serie.
L’albo numero 400 di Dylan Dog si apre su una Londra distrutta, con i Doors nelle didascalie e un Old Boy che non ricorda il suo nome e la sua professione. Più avanti viene definito un immemore. Quanti lo siano, se sia una conseguenza della meteora o che altro non è dato saperlo, né importa davvero. La storia – uscita prima in bianco e nero in un volume da collezione in anteprima a Lucca Comics e a fine dicembre in edicola a colori con ben quattro copertine diverse – è il racconto di un viaggio onirico ispirato a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, e di riflesso ad Apocalypse Now, che porta Dylan a confrontarsi con suo padre. E a ucciderlo.
Stavolta però non siamo di fronte al solito scontro con Xabaras, ma con un padre di un livello ancora superiore: Tiziano Sclavi stesso. Il creatore del fumetto-cult bonelliano è rappresentato come un uomo gigante, in ossequio a un’iconografia che viene dal colossale Kingpin disegnato da Bill Sienkiewicz in Devil: Amore e guerra. Una presenza ingombrante, che getta la sua ombra su Dylan anche anni dopo la fine della sua gestione della serie.
Quello che raccontano Roberto Recchioni e Angelo Stano, “secondo padre” del personaggio, è la storia della curatela editoriale di Recchioni. Anche qui una presa d’atto, peraltro un po’ più destabilizzante rispetto alle premesse: nella storia della serie, il meta-rapporto con il “Tiz” non era mai stato messo in scena così esplicitamente.
La metafora letteraria funziona: Dylan Dog si trovava a vagare tra storie tutte scollegate e desolate, come le isole che incontra nel suo viaggio, finché non ha trovato il coraggio di uccidere il suo creatore. In realtà – ci dice lo sceneggiatore – è stato Sclavi stesso a invitare la sua creatura a ucciderlo. Fuor di metafora, il plot non è che una rivendicazione del curatore sulla legittimità del suo operato – essere stato scelto dal padre del personaggio – e dunque un messaggio traslato sul fatto che la sua gestione abbia sempre avuto la benedizione del “creatore”. (SPOILER ulteriore) Sarà infatti proprio la testa mozzata di Sclavi a diventare la Meteora che porrà fine alla serie così come la conoscevamo.
Più che un’avventura, il fumetto è quindi un manifesto programmatico di Recchioni per i prossimi anni della testata. Non sappiamo dove andrà a parare, ma la promessa c’è ed è forte: sarà una strada ancora inesplorata. Verranno quindi a mancare i punti di riferimento che ci avevano accompagnati fino a qui: Groucho, morto nel 399, ri-muore in questo 400 e al suo posto, scopriamo nelle ultime pagine, tornerà Gnaghi, l’aiutante di Francesco Dellamorte in Dellamorte Dellamore, “prototipo” di Dylan ideato da Sclavi per l’omonimo romanzo del 1991 e già protagonista di un adattamento cinematografico (diretto da Michele Soavi nel 1994), oltre che dello Speciale Dylan Dog 3 del 1989, Orrore nero, in cui Dylan e Francesco avevano vissuto un’avventura comune.
Da quanto si è potuto vedere nelle anteprime, i prossimi sei albi saranno un ciclo di racconti strettamente collegati che, almeno all’inizio, vedrà dei veri e propri remake di avventure classiche. È piuttosto evidente che siano stati pensati in un’ottica di licensing, legata anche alla serie tv in produzione, per la quale sarebbe difficile utilizzare il personaggio di Groucho visti i paletti legali che hanno sempre posto gli eredi dei Fratelli Marx. Non stupirebbe scoprire che l’uccisione dell’assistente baffuto e quindi la trama del 399 siano nate proprio come soluzione a questo problema. La madre delle invenzioni è proprio la necessità, come sosteneva Conrad in Il compagno segreto.
Tornando all’albo 400, tocca ripetersi: ancora una volta, come per il 399, l’episodio ha un concept chiaro ed offre spunti interessanti ma, purtroppo, si perde nello svolgimento. Il problema questa volta è l’uso delle citazioni, testuali o visive: in quasi ogni pagina se ne trova almeno una, tratta da un film, da un videogioco o da una canzone. I rimandi spaziano dalla letteratura al cinema, dalla musica al fumetto, cultura “alta” o popolare, attinenti alla trama o provenienti da contesti molto distanti. È una cifra di tanto immaginario dei nostri tempi, ed è una caratteristica dello stile di Recchioni, siamo d’accordo. Peccato che in questo caso, rafforzato dal contesto metafumettistico, la soluzione finisca con il suonare fuori misura: ok il remix, ma forse qui si esagera.
L’eccesso, infatti, indebolisce il potenziale evocativo che questi inserti da altre opere avrebbero potuto avere, se centellinati e gestiti con maggiore sobrietà ed eleganza. Dylan Dog 400 sembra un grande gioco con i lettori, un quizzone senza nemmeno un no prize in palio. Lo sceneggiatore lavora per accumulo in maniera quasi stordente.
L’allegoria trasparente del viaggio e dell’omicidio del padre si trova così annacquata in un polpettone di cultura pop: il creatore ha autorizzato la libertà creativa, e per dimostrarla si offre una lista di rimandi – per la verità in parte nuovi, in parte no – come se in questo bagaglio intertestuale, più che in altre invenzioni, risiedesse la nuova capacità di raccontare della serie.
Due parole, infine, su Angelo Stano, presente nel fumetto in prima persona nei panni del suo alter ego Crandall Redd, già apparso altre volte e qui ultimo fumettista sulla Terra. L’ex copertinista della serie riesce a realizzare tavole ben riuscite, forse la sua opera migliore da un po’ di tempo a questa parte.
Alcune pagine di questo numero 400 sono davvero ispirate, soprattutto quando si tratta di visioni oniriche, campi larghi, inquadrature ardite. In altri passaggi, invece, la recitazione dei personaggi risulta un po’ legnosa, in forte contrasto con il dinamismo plastico richiesto dai momenti di azione: è evidente la differenza tra i punti in cui si è appassionato e sbizzarrito e altri in cui si è divertito meno.
La sceneggiatura che Recchioni ha scritto per lui lo porta – legittimamente – in molti territori che ha già esplorato e si basa sui suoi punti di forza, come le donne, il mare, gli zombi, gli scenari in rovina Più volte riprende vignette, inquadrature o elementi di albi precedenti, che sono diventati canonici nel mondo di Dylan proprio grazie al suo segno.
Grazie anche al coinvolgimento di Stano, quindi, Dylan Dog 400 poggia solidamente sul pregresso del personaggio che dichiara di voler distruggere. Una scelta intelligente – inevitabile? – ma anche contraddittoria – pure inevitabile, forse – per il primo passo di un viaggio editoriale che speriamo, senza complessi di Edipo e vincoli editoriali superati, possa finalmente portare il personaggio verso il “nuovo”.
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