Ogni generazione ha i suoi eroi. Intendo quelli che cantano la guerra per raccontare gli uomini, che descrivono la violenza e la miseria dei conflitti per tratteggiare quegli aspetti dell’animo umano che sfuggono alle narrazioni convenzionali. Il tempo della guerra fa purtroppo da sempre parte del tempo degli uomini, ma spesso ci dimentichiamo di raccontarlo per come era, arrivando alla paradossale conseguenza di non aver imparato niente dalla violenza, dal dolore e dalla sofferenza che provoca. Garth Ennis è uno degli eroi di questa narrazione dimenticata.
Lo scrittore britannico ha adottato negli anni un passo che lo ha reso un autore unico, sia quando si parli di comics supereroistici, sia quando si apra il dossier che gli sta più a cuore, cioè le storie di guerra. Se anche fosse un autore Marvel tradizionale, basterebbero i suoi nove anni come autore di The Punisher. Se fosse un autore Vertigo tradizionale, basterebbe la serie di Preacher (diventata serie televisiva per AMC). E poi Hitman, The Darkness, le decine di storie scritte per Thor, Spider-Man e altri supereroi. E se non ci fosse niente di tutto questo, basterebbe The Boys, sbarcato anche questo in televisione grazie ad Amazon, per dare la dimensione della potenza delle sue narrazioni.
Ma l’autore e cantastorie irlandese naturalizzato americano ha un suo mondo interiore unico e straordinario: tocca i capitoli più violenti e oggi purtroppo quasi dimenticati della nostra storia recente di europei, cioè la Seconda guerra mondiale, per restituirli sotto una luce solo apparentemente spettacolarizzata. Dentro c’è di più.
Infatti, le sue Storie di guerra, pubblicate negli Stati Uniti a partire dal 2001 (in Italia in corso di ripubblicazione per saldaPress in 8 volumi e in ordine cronologico), comprendono alcune delle narrazioni dell’autore più interessanti e amate dalla critica. È la materia che rende grande Ennis ma soprattutto è la materia che getta un ponte con un momento storico e con una generazione – the greatest generation, come viene chiamata negli Stati Uniti – che ha costruito il mondo in cui viviamo.
Nelle sue storie di guerra Garth Ennis ha campo libero nell’incrociare due fili tutt’altro che sottili: da un lato i caratteri e le personalità di uomini (più raramente donne, ma quando ci sono graffiano con spietata durezza) che hanno attraversato un momento critico della storia mostrando una minore complessità rispetto alle generazioni successive, cioè una maggiore capacità di provare stupore, amore, orgoglio, onore, rabbia, odio. Questa semplicità dei sentimenti, che niente toglie alla loro intensità, è quello che rende la greatest generation più efficace e diretta nella selezione degli obiettivi e nel loro perseguimento.
Questo tratto, quasi uno stereotipo, permette a Ennis di estrarre anche un altro senso dalla presenza di uomini in guerra, dalle motivazioni del loro odio e della loro passione, dalla paura, dall’orrore e dal dolore, dalla costante presenza della morte e soprattutto dalla sporcizia e dall’orrore che la guerra porta con sé, cioè corpi e brandelli di corpi. Quello che Ennis trova, sussume partendo dalla materialità della guerra, è l’altro lato, l’altro filo che l’autore incrocia. Sono i tratti simbolici che definiscono una personalità, avvicinandola a ideali e idealtipi e che raccontano di più che non le semplici storie di alcune persone.
Queste storie diventano le storie di popoli, di tipi di personalità, di tratti caratteristici che trascendono i singoli individui e rimettono in campo l’odio e la violenza, la paura e il dialogo, quasi sempre letti e filtrati attraverso lo spirito britannico, del quale Ennis è critico e al tempo stesso cultore.
Tutto questo viene condito con un gusto per la ricerca e la documentazione, un tempo demandata ai disegnatori (per la ricerca dei dettagli grafici) da legioni di sceneggiatori che scrivevano storie con formule da manuale di scrittura creativa, quasi meccanici, magari realizzati da autori plurimi in writers’ room sempre più grandi e industrializzate. Invece, il gusto per la ricerca e la documentazione è quello che rende il lavoro di Ennis unico.
Nelle narrazioni che l’autore mette in campo in questa serie di storie di guerra, infatti, Ennis ha la capacità di trovare percorsi della storia meno noti. Non solo quelli scritti dai vincitori, insomma, per recuperare una prospettiva con un gusto particolare, che solo chi è passato attraverso la guerra ha la capacità di vedere (e che un grande autore riesce a trovare e a donare anche a chi, come noi, per fortuna la guerra non l’ha vissuta).
L’incrocio da un lato della conoscenza nel dettaglio della storia, di quelle parti che evaporano nelle grandi sintesi ideologiche che rimettono in forma le narrazioni nel modo più adatto e conveniente ai vincitori, con dall’altro lato l’aspetto psicologico e la vista in soggettiva, è lo snodo narrativo dove si compie il vero miracolo del lavoro di Ennis in queste storie di guerra.
Restituire la prospettiva di un momento storico alternando il contrappunto controfattuale di cose poco o affatto conosciute con la visione in soggettiva di personaggi che interpretano sia lo spirito che la lettera dei tempi è una dote rara e a mio avviso quello che rende unica e profonda la capacità narrativa di Ennis. Senza togliere il gusto di una narrazione avvincente e senza diminuire l’aspetto epico che fa parte della retorica con la quale si racconta la guerra.
Storie di guerra voll. 1-4
di Garth Ennis, Carlos Ezquerra e altri
traduzione di Leonardo Rizzi
saldaPress, marzo-settembre 2019
cartonati, 128-160 pp., colore
19,90 € cad.
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