Nonostante Lo fallo perduto fosse solo un esordio, si trattava di un lavoro in grado di mettere sul tavolo tanti validi motivi per cominciare a seguire il suo giovane autore, David Genchi. Era palese il fatto che, per esempio, in pochi come lui in Italia riuscissero a maneggiare il grottesco in maniera tanto organica e disinvolta. O che il suo spettro di influenze fosse di una vastità folle, tracciando un trait d’union tra Go Nagai e la novella boccaccesca passando per ogni deriva gore vi passi per la testa. Che la sua cura per composizione della pagina, le scelte linguistiche e i meccanismi comici avessero davvero pochi pari.
Si trattava di un libro che riusciva nel miracolo di essere disgustoso, divertente e raffinatissimo allo stesso tempo. Un oggetto alieno che sfuggiva da ogni catalogazione, rischiando davvero di risultare incomprensibile. Non male per essere il primo lavoro lungo dopo la consueta gavetta fatta di autoproduzioni e narrazioni più contenute. Tra le critiche che gli si poteva muovere c’era forse l’eccessiva natura di divertissement di tutta l’operazione, come se Genchi non fosse ancora del tutto pronto a mostrarci il suo sguardo sul mondo. Una mancanza che oggi, con La Gameti (edito nuovamente da Hollow Press), è stata colmata.
Riducendolo ai minimi termini, La Gameti è una storia d’amore fatta di bisticci e di riappacificazioni, rivista attraverso il filtro deformante – o chiarificatore? – di un autore che non cede mai, neppure per un istante, alla banalità. Si parte con un logo di chiara matrice death metal, si prosegue con una manciata di pagine che paiono tratte da un libro di medicina e ci si ritrova in un Eden surreale, dove Adamo ed Eva battibeccano mentre un serpente cerca di fare da paciere.
Poi ecco che il quotidiano fa improvvisamente breccia. Prima in maniera fedele e distaccata – il trucco colato dopo un pianto, la colazione solitaria di chi dorme suo malgrado da solo – poi, poche pagine dopo, stiamo scrutando ancora una volta il mondo attraverso gli occhi dell’autore. Come in Essi vivono indossiamo un paio di occhiali che rivelano la vera natura del mondo. Anche durante un semplice viaggio in treno la protagonista si ritrova a indossare un’armatura per poter sopravvivere all’ambiente circostante, il controllore del convoglio è un sadico in tenuta da cenobita barkeriano mentre gran parte dei posti è occupata da carcasse già in decomposizione. Non certo la prospettiva più rosea che si possa avere sulla vita di tutti i giorni, eppure non si può non sorridere alle fustigate che Genchi ci riserva senza pietà.
La strada per la redenzione è lastricata di morte e interiora, ma alla fine ecco arrivare la riappacificazione. Per arrivarci bisogna brandire spade di fuoco e sconfiggere draghi, come novelli San Giorgio. Anche quando il peggiore degli scenari sembra scongiurato tutto torna a disgregarsi, fino all’inevitabile catarsi finale dove assisteremo allo scontro tra una morte a cavallo di un destriero scheletrico e un enorme uovo, simbolo di resurrezione e fertilità. Il risultato sarà qualcosa di completamente nuovo, con le spoglie del passato destinate a marcire a terra.
Con La Gameti Genchi mira altissimo senza voler accettare nessun compromesso, mettendo ancora più a fuoco la propria poetica. Rispetto a quanto fatto in passato la ricerca grafica non è mai stata così libera, regalandoci alcune delle sequenze più clamorose viste quest’anno. A livello linguistico l’aspetto più virtuoso lo si riconosce nel come le singole tavole siano pienamente funzionali alla narrazione nonostante la loro matrice chiaramente illustrativa. C’è un volo di gabbiano reso come forse nessuno aveva mai pensato di fare, dettagli medicali come se piovesse, paesaggi quasi astratti nel loro rigore grafico.
Le pagine puramente di raccordo non sono più di una decina su oltre centoventi totali, mentre tutte le altre sembrano progettate per essere considerate singolarmente, nonostante le transizioni tra una e l‘altra siano cesellate con precisione da miniaturista. Come se si trattasse di un film fatto solo di scene madri. Una scelta solitamente suicida, eppure tutto funziona alla perfezione. Non ci si ritrova mai a chiedersi cosa stia succedendo, il ritmo fila liscio come un orologio svizzero e la regia ci accompagna in maniera chiara ed efficace lungo tutto il dipanarsi della vicenda.
Va detto che non si tratta di una sceneggiatura particolarmente arzigogolata o complessa, ma i rischi di perdersi in banalità didascaliche o nella temibile lanetta dell’ombelico da aspiranti Carver – seppure in chiave splatter – c’erano tutti. Un pericolo che viene evitato soprattutto grazie ai barocchismi dei disegni, ai riferimenti mai banali e all’intelligenza di non buttarsi mai troppo nell’analisi scontata. Perché, a dispetto della personalissima visione del mondo, quella di Genchi è non una rilettura del quotidiano, ma la cronaca di una serie di eventi che tutti conosciamo alla perfezione. Probabilmente non li abbiamo mai visti come ce li racconta Genchi ma, bene o male, ci siamo passati tutti.
Nonostante non si tratti certo di una lettura consigliabile a tutti, La Gameti è un libro prezioso che ci consegna un autore di primo piano dotato di un talento unico. Se Lo Fallo Perduto risultava più fresco e deflagrante nel suo attraversare i generi, questo nuovo libro di Genchi è la classica prova di maturità a cui sarebbe stato prima o poi chiamato in qualsiasi caso. Forse l’aspetto intimista e quotidiano potrebbe risultare repulsivo per qualcuno, ma non esiste dimostrazione più limpida di quanto la sua poetica sia ormai compiuta del declinarla in maniera tanto convincente in narrazioni agli antipodi tra loro.
La Gameti
di David Genchi
Hollow Press, settembre 2019
cartonato, 128 pp., colore
25,00 €
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