Quello dei fumetti su licenza è un sottogenere su cui di rado è valso spendere qualche parola, a volte perché alla nomea dei titoli adattati si accompagna una certa debolezza nelle braccia dei realizzatori, altre nemmeno la forza dei grandi nomi basta per sollevare questi prodotti. Vi ho già raccontato della perversione che nutro verso queste traduzioni di altri media. Nello iato tra un fumetto e un film (o un libro, una serie tv, un videogioco) succede qualcosa di violento, spesso magico, a volte orribilmente sbagliato.
All’interno di questo universo di titoli, c’è un sotto(sotto)genere che presenta sfide ancora più dure: l’adattamento fumettistico di opere cinematografiche, quello più diretto possibile. Non una storia a fumetti ambientata in quel mondo, ma la pura e semplice trasposizione del film. Essere originali, inventivi o interessanti con queste premesse non è facile. Vale in generale: quante belle novelization ricordate di aver letto?
In ambito fumettistico, c’è il 2001: Odissea nello spazio di Jack Kirby, i primi Star Wars marvelliani, poco altro. Negli anni Novanta, periodo d’apice del boom fumettistico (in cui ogni cosa veniva trasformata in fumetto, perfino la Bibbia e gli album musicali), uscì anche Dracula di Bram Stoker, scritto da Roy Thomas e disegnato da Mike Mignola, per i tipi di Topps Comics, ramo editoriale della compagnia nota per gomme da masticare e le figurine.
Il Dracula di Thomas e Mignola era l’adattamento a fumetti della trasposizione cinematografica di Francis Ford Coppola dell’omonimo romanzo di Bram Stoker. Una frase del genere, solo a pensarla, fa già presumere quanto fioca possa essere rimasta quella luce che illuminava l’opera originale. Un adattamento di un adattamento di un’icona che è già stata adattata un’infinità di volte, che grado di interesse potrà mai avere? Quando glielo proposero, Mignola si fece venire gli stessi dubbi. Per di più, l’offerta proveniva da una neonata casa editrice che era famosa per le figurine dei giocatori di baseball.
Il disegnatore, che aveva una passione smodata per il genere vampiresco (alla NPR avrebbe detto: «Quando lessi Dracula pensai “Basta, ho finito di pensare ad altro. Ho trovato quello che fa per me”»), accettò l’incarico perché «si trattava di Coppola e di Dracula». Con la scusa di visionare la sceneggiatura, i set e i materiali iconografici, si trovò a collaborare con il regista de Il padrino e, in un inciampo di casualità, finì per lavorare come designer e storyboardista per un breve periodo (avrebbe poi minimizzato, dicendo che «c’è un castello che si vede in un flashback, ed io l’ho parzialmente disegnato. Tutto qui»).
In forza dei nomi coinvolti, quello che poteva essere un rimasticamento effimero fu invece un lavoro con una propria dignità artistica. Nella sua rilettura del classico gotico, Coppola cercava, attraverso una resa estremamente stilizzata (i costumi, le tecniche di ripresa e montaggio reminiscenti del cinema di primo Novecento), di parlare dei corpi e della dualità. Thomas, colonna portante della Marvel Comics degli anni Settanta, recuperò invece una dimensione più letteraria che poi Mignola avrebbe di nuovo spinto tra le braccia delle suggestioni di Coppola, riprendendone i fotogrammi migliori.
Mancavano i simbolismi, c’erano più parole e meno azione. Questo provocò degli evidenti limiti nel restituire una lettura forte del personaggio ma allo stesso tempo riuscì a rendere più evocative scene che nella pellicola non erano altrettanto incisive (le apparizioni di Lucy Westenra, vittima di Dracula che irradia un bianco vibrante, più efficace sulla pagina che non sullo schermo) o fece diventare accettabili sulla carta certe soluzioni che nel film sconfinavano nel kitsch.
Mignola sapeva usare lo spazio negativo, sapeva quando affogare la pagina nel nero e poi accecare il lettore con campiture di bianco. E trovò anche lo spazio per inserire i suoi “mignolismi”, come i dettagli racchiusi in piccoli inserti tra le vignette. Con Dracula eravamo sul limitare di una mutazione che avrebbe portato Mignola a scoprire la sua cifra stilistica, che da Hellboy in poi non avrebbe fatto che raffinare ma che sarebbe rimasta sostanzialmente quella.
La famosa (e parodiata) scena dell’ombra che agiva indipendentemente dal corpo che la proietta prendeva tutto un altro senso alla luce della poetica di Mignola: non più la minaccia incombente che si nasconde dietro le apparenze ma la creatura mostruosa che cerca libertà dal giogo umano cui è sottomessa.
Ora, come insegnava Roger Ebert, le opere vanno valutate all’interno di un contesto. Quello appena illustrato è certamente un terreno di gioco esiguo, tuttavia anche per essere “grande pesce in piccolo stagno” c’è bisogno di impegno e merito. E il Dracula di Thomas e Mignola si impegna per essere un prodotto che valga il tempo della lettura, meritandoselo.
Dracula di Bram Stoker
di Roy Thomas e Mike Mignola
traduzione di Andrea Toscani
Panini Comics, novembre 2019
cartonato, 136 pp., colore
19,00 €
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