Umbrella Academy: Hotel Oblivion, di Gerard Way e Gabriel Bá (Bao Publishing)
Il ritorno di Umbrella Academy, favorito dall’uscita della serie tv su Netflix, è un tour de force narrativo che lascia straniti. Certo, con i due capitoli precedenti Gerard Way e Gabriel Bá ci avevano abituato a bizzarrie assortite, ma questa terza storia le supera tutte di gran lunga. È come trovarsi davanti a un puzzle maestoso e molto difficile, che per quanto vicini a finirlo, potremmo non concluderlo mai. E non solo perché Way omette palesemente dei pezzi, ma anche perché l’affresco narrativo è talmente ampio da non poter essere sviscerato nella sua interezza.
Basti pensare alla moltitudine di personaggi che ruotano attorno alle vicende e che, nonostante la loro importanza nel far succedere cose, si vedono solo per un paio di vignette. Alle sottotrame dedicate ai singoli protagonisti, accennate ma non spiegate (già dalla copertina del volume, con Allison che tiene in mano una casa in minuatura: un particolare di cui vi accorgete solo dopo la lettura). O ancora alla moltitudine di idee che potrebbero dar vita ad altrettanti fumetti e che invece vengono risolte in una singola pagina. Benzina necessaria per una storia sopra le righe che mischia distopia, viaggi spazio-temporali, allucinazioni, superpoteri, psichedelia, scienza, tecnologia e mitologia greca. Non sono un caso le citazioni al Dottor Manhattan di Watchmen, ad Aldous Huxley e a Marshall McLuhan.
Hotel Oblivion è una storia talmente folle da non avere neanche un finale. Sta li, a ricordarci le infinite possibilità del fumetto e allo stesso tempo i suoi limiti. E a noi non resta altro che attendere il seguito, con la speranza che Way e Bá non ci mettano altri 10 anni per farcelo leggere.
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