Nelle Lezioni sul metodo dello studio accademico (1803) Schelling scriveva: «Io parlo di un’arte sacra…che, secondo l’espressione degli antichi, è uno strumento degli dei, una messaggera dei segreti divini, la rivelatrice delle idee; parlo di una bellezza increata, il cui raggio non profanato illumina solo le anime pure che esso abita e la cui figura è così nascosta e inaccessibile allo sguardo sensibile, quanto quella della verità stessa».
Sono parole che calzano a pennello per definire l’arte di Caspar David Friedrich, ma soprattutto l’opera di finzione romanzesca che al pittore romantico dei notturni ha dedicato Sebastiano Vilella col titolo: Friedrich. Lo sguardo dell’infinito.
Il fumettista barese sottopone la vita di Friedrich a una rilettura fantasiosa, come aveva fatto in passato con De Chirico (Interno metafisico con biscotti) e Erik Satie (L’armadio di Satie). La cornice è quella del noir metafisico: un orizzonte che permette a Vilella di giocare con alcuni episodi della vita del pittore tedesco costruendo un puzzle affascinante in cui thriller, mistica e citazionismo si rincorrono in una lettura agevole e ispirata con improvvisi squarci lirici.
Il carattere malinconico e solitario di Friedrich è la materia su cui Vilella crea un racconto fatto di ossessioni e escapismo metafisico, grazie alla dialettica tra Caspar David Friedrich e Carl Gustav Carus. Il fisiologo e pittore tedesco rappresenta la parte razionale della pittura naturalistica di Friedrich e serve a Vilella per mettere in moto il dispositivo narrativo: è proprio il dottor Carus a cercare il poeta disperso e accusato di avere una parte attiva nella vicenda dei beati: uomini ormai ridotti ad uno stato di catatonia estatica.
Non è certo questa la sede per parlare approfonditamente della trama, rischiando di rovinare la lettura a quanti non abbiano ancora deciso di leggere quest’opera. È interessante notare invece come Vilella giochi con registri alti e bassi, con il genere e la citazione raffinata, cercando un equilibrio impossibile. L’esempio di Mercurio Loi con le sue sospensioni narrative, con i rimandi continui e plurimi, nonché con la sadica voglia di mettere alla prova la gratificazione del lettore medio dice molto sulla difficoltà degli ibridi. Eppure, Vilella si rivela un equilibrista provato, nonostante le leziose concessioni alla citazione e al virtuosismo calligrafico.
Il segno semplice e asciutto, a volte apparentemente approssimativo, resta comunque funzionale alle parti narrative, brillando invece di luce propria quando deve evocare lo stile romantico di Friedrich: è un Vilella maturo, lontano dal segno quasi futurista e barocco di opere come Il mitico operaio, un autore attento al meccanismo del racconto, ma che si concede allo sguardo.
Resta comunque sempre un po’ di amaro in bocca, sarebbe bello vedere Vilella all’opera su opere più lunghe, divise magari in più volumi, evitando così il rischio di dover sentire il fiato sul collo, la necessità di dover correre verso la risoluzione a effetto, verso la conclusione a tutti i costi. Ad oggi, Vilella sembra aver trovato una peculiare voce in questa mistura di classicismo, noir e citazionismo, una forma in cui incanalare la voglia popolare di raccontare storie e l’attenzione ad aperture verso un’arte spesso rarefatta e altera, che si screzia e si sporca mostrando le pieghe inconsuete dell’immaginazione e della fantasia.
Friedrich. Visioni di infinito
di Sebastiano Vilella
Oblomov Edizioni, luglio 2019
brossurato, 104 pagine, colore
19,00 €
Leggi anche:
• “Nippon Folklore”: le leggende giapponesi raccontate a fumetti da Elisa Menini
• Sopravvissuti a un triste ordinario
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui.